SE IL 2019 DOVEVA ESSERE UN ANNO BELLISSIMO FIGURIAMOCI IL 2020

 

di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

La situazione

La crisi del 2007 non ha ancora cessato di mordere e, quel che è peggio, non abbiamo nessuna strategia per rivoltare la situazione; siamo il paese che da quella data ha già fatto registrare tre recessioni tecniche; il nostro PIL, unico in Europa, non ha ancora ricuperato i livelli registrati prima della crisi; la produttività è ferma da lustri in un momento storico che è caratterizzato dalla rivoluzione tecnologica 4.0; la conversione all’elettrico della produzione automobilistica ci vede in colpevole ritardo; la crisi dell’Ilva sta diventando drammatica e rischia di renderci schiavi dell’acciaio estero; la faccenda Alitalia sta volgendo alla sua definitiva scomparsa; le delocalizzazioni che avevano visto un rallentamento stanno riprendendo e noi continuiamo a inseguire un modello export-led che, per essere competitivo, vede l’azienda Italia puntare, con le poche meritevoli eccezioni, sul basso costo della mano d’opera, col duplice danno di deprimere i consumi interni e di non attivare l’incentivo all’innovazione tecnologica, effetto che gli economisti definiscono effetto Ricardo.

Sul fronte internazionale il cielo è nuvoloso e minaccia turbolenze; i dazi, questo fattore di origine nazionalistica tornano a scatenare azioni e contro-azioni tra Stati Uniti e Cina, coinvolgendo nelle ripicche una debole ed inetta Europa; la crescita della Cina sta rallentando sensibilmente coinvolgendo tutti i paesi a vocazione mercantilista; la Germania, nostro più importante paese di sbocco per le nostre esportazioni, è entrata in una crisi seria, aggravata dalla situazioni della sua banca leader; il Quantitative easing, con tutte le critiche e riserve con cui l’abbiamo commentata, che pur dava un qualche sostegno all’economia europea, ha cessato di operare; le impredicibili conseguenze della Brexit sono elementi che rendono fosco il cielo dell’anno che sta per iniziare.

Negli USA ritornanono i mutui subprime che hanno raggiunto i 45 miliardi di dollari, e naturalmente sono stati cartolarizzati. Le famiglie statunitensi sono soffocate da una montagna di debiti per pagare lo studio, la sanità, l’auto. Il 74% del credito è stato concesso al 90% meno abbiente. Ancora una volta l’economia statunitense si fonda sul debito, e ciò spesso prelude allo scoppio di bolle speculative con risultati devastanti. Dopo il 2007 nulla è cambiato nelle politiche atte a porre una diga a queste ricorrenti crisi, il povero Obama e il suo Frank-Dodd act, sono un ricordo travolto da Trump.

Stiamo, impotenti, temendo che una nuova crisi più potente delle precedenti, più mondializzata, ci aspetti in tempi non lontani ma ineluttabili, portando tutto il globo in una stagnazione secolare. Ciò smentisce la posizione fatalistica di chi sostiene che la “ciclicità” sia un elemento insito nel capitalismo, per cui recessioni che seguono a crescita e sviluppo sono nella natura del capitalismo, come è sempre successo. Che il mercato, da solo, sia comunque in grado di risolvere queste situazioni di crisi, è una credenza che ormai non convince più nessuno; subentra un’altra convinzione, ovvero che i nostri figli staranno peggio di noi, e ciò si avvicina ad una dichiarazione di fallimento.   

La strategia della Lega

Di fronte a questa situazione la Lega rilancia la potenza degli animal spirits reclamando la non ingerenza dello stato negli affari economici ed utilizzando il messaggio berlusconiano del “meno tasse per tutti”. Questo della negatività delle tasse è ormai divenuto un mito, ovvero una verità indiscussa e indiscutibile accettata e propalata da tutti, anche dagli avversari politici, che anche quando contrastano le tesi della destra, partono dall’assunto che le tasse devono diminuire. E’ il tipico fenomeno del pensiero egemonico delle classi dirigenti che diviene “senso comune” diffuso non solo tra i subalterni ma anche tra gli avversari di classe: direzione e dominio. Questo senso comune è entrato anche nel linguaggio pubblicitario, avrete notato che spesso invece di annunciare che un certo prodotto gode di uno sconto, il messaggio è invece quello per cui “non vi facciamo pagare l’iva”, messaggio che oltre che falso conferma il mito egemone.

Lo scenario proposto dalla destra riesuma i dazi, la sanatoria fiscale generalizzata, la contrattazione sindacale regionalizzata, la riconquista della sovranità monetaria, la difesa della piccola impresa, lo smantellamento della burocrazia ma soprattutto la flat-tax. Quantificando gli interventi previsti si arriverebbe ad un deficit pari a 50 miliardi di euro, da sanare con un condono fiscale. Sanatoria che, se funzionasse, funzionerebbe solo il primo anno, ma che tuttavia non mutrebbe il deficit strutturale e sarebbe chiaramente l’inizio dell’uscita dall’Europa. Se cerchiamo di delineare la visione della destra in fatto di economia, possiamo individuarlo nella ricerca della competitività puntando sulla piccola media impresa, che non ha nè la dimensione adatta a perseguire l’innovazione tecnologica, nè la cultura imprenditoriale per sopravvivere in un mondo globalizzato. L’unico elemento concorrenziale sarebbe nel basso costo della mano d’opera di cui ridurre il costo con continue svalutazioni della moneta sulla quale si è ricuperata la sovranità. La piccola e media impresa da molti indicata come la spina dorsale dell’azienda Italia, costituisce a mio modo di vedere un problema e non la soluzione di esso. La strategia della Lega, guidata più dalla ricerca di un consenso facile che da una visione ragionata del futuro del nostro paese, punta su ataviche paure del diverso ma soprattutto sull’individualismo bottegaio di quella piccola imprenditoria che basa la sua economia su bassi salari, evasione contributiva, flat-tax, fatturato in nero e svalutazioni competitive.

La Lega con questa politica vede i consensi elettorali salire e mira a conquistare i “pieni poteri” alle prossime elezioni politiche. Ma non si rende conto che lo sviluppo tecnologico, sovrano nella rivoluzione 4.0, relega il modello economico perseguito dalla Lega alla marginalità, destinando il paese o al divenire una colonia di qualcuno degli stati-continente ormai strutturati, o alla progressiva autarchia. 

La auspicabile strategia del mondo del lavoro.

Il mondo del lavoro produttivo, ogettivamente in collisione con la finanziarizzazione dell’economia globale e con un capitalismo finanziario egemonico, si sta rendendo conto che i tempi sono maturi per costruire un vero Patto per il lavoro tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Riprendere «il Patto per la fabbrica», firmato a marzo scorso, e ampliarlo includendo anche la partecipazione alle politiche industriali e, si spera, la mai attuata norma sulla rappresentanza delle imprese.
“Per la Cgil è importante rimettere al centro del dibattito nel nostro Paese il tema del lavoro, così come proponiamo da tempo. Insieme a Cisl e Uil abbiamo elaborato una piattaforma unitaria che abbiamo presentato al governo con le nostre proposte. Gli importanti accordi sulle relazioni industriali e sulle regole della rappresentanza raggiunti con Confindustria e con tutte le altre associazioni imprenditoriali pongono la questione di aprire la fase della loro piena applicazione. Oltre ad una legge capace di misurare la rappresentanza sindacale e datoriale e dare certezza alla validità erga omnes degli accordi sottoscritti, per la Cgil lo sviluppo delle relazioni industriali dovrà essere finalizzato al rafforzamento degli investimenti per infrastrutture materiali ed immateriali, a partire da istruzione e welfare, indispensabili sia per la tenuta sociale e la riduzione del divario Nord-Sud. Dovrà inoltre avere come obiettivo prioritario il lavoro stabile e di qualità, estendendo tutele e diritti a tutti i lavoratori”.

Per Confindustria il vero spettro da evitare è la recessione. «Occorre mettere mano ad un piano B, preparandosi ad un rallentamento dell’economia globale, che impatta anche sull’Italia». Ovvio che in questa ottica il presidente degli industriali insiste pensi ad un nuovo «decreto sblocca cantieri».  «Serve un grande Patto sociale, al cui centro va messo il lavoro, per la crescita in modo da scongiurare i rischi di una nuova fase di recessione».

Occorre superare il mercato autoregolato, occorre ricercare un’alleanza inedita basata sull’anticapitalismo finanziario e sul confronto fra soggetti, lavoratori e imprenditori schumpeteriani, che credono alla repubblica italiana “fondata sul lavoro”. Ciò significa puntare alla riforma di un’Europa liberista per attuare una unione che si ispiri al federalismo, con un sostanzioso budget europeo ispirato ad una pianificazione del tipo “piano Juncker” ma più determinata e ampliata.

Oggi, dunque, si ripropone, dopo anni di damnatio memoriae, l’attualità storica del socialismo che permetta il superamento della produzione anarchica e l’affermazione della produzione pianificata sotto il controllo dei produttori liberamente associati.