A QUARANT’ANNI DALLA MORTE RICORDARE PIETRO NENNI

di Franco Astengo |

Ricordiamo Pietro Nenni a quarant’anni di distanza dalla sua scomparsa.

Un ricordo che si sviluppa in un momento particolare di vita politica nel corso del quale da un piccolo angolo di militanza a sinistra come quello che troviamo a doverci ritagliare, stiamo proponendo alla sinistra italiana un percorso di ricostruzione nell’idea di superare divisioni antiche e ormai anacronistiche sviluppo un percorso di confronto denominato “Dialogo Gramsci – Matteotti”.

L’idea del “Dialogo Gramsci – Matteotti” è quella di riuscire a elaborare una proposta proiettata in avanti, verso il futuro, senza smarrire le radici che ci sono offerte dalla nostra comune memoria storica da raccogliere nei punti più alti dei suoi pensatori, uomini politici, militanti.

In questo senso il ricordo di Pietro Nenni appare indispensabile da conservare e da utilizzare come elemento di riflessione. Sarebbe lungo ricostruire un percorso così complesso non nascondendoci la necessità di elaborare un’articolazione di discorso che necessariamente richiederebbe l’evocazione di contraddizioni anche rilevanti.

Contraddizioni sulle quali si è esercitata la storiografia politica e i suoi biografi.

In questa occasione è il caso di ricordare semplicemente la sua forte dirittura morale, l’antifascismo, lo stare sempre e comunque dalla parte dei lavoratori anche quando l’esercizio della “politique d’abord” lo aveva portato a scelte difficili su di un versante o l’altro che via via si presentavano nella vicenda politica italiana: dall’unità d’azione tra socialisti e comunisti, al Fronte Popolare, all’autonomismo socialista fino al centro – sinistra.

Per racchiudere questa complessità è stata così scelta la pubblicazione di un solo articolo nel quale Nenni raccolse il carico di speranze e di volontà di riscatto del popolo italiano immediatamente all’indomani della Liberazione.

Di seguito quindi un articolo, firmato da Pietro Nenni, sull’AVANTI! – Quotidiano del Partito Socialista, di venerdì 27 aprile 1945.

“Vento del Nord”

Vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro”.

Quando parlammo per la prima volta del vento del Nord, i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile? Era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo?

Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazifascista, dovevano essere all’avanguardia nella riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica sia stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria.

Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia.

Nelle ultime 48 ore le notizie dell’insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L’insurrezione guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova.

Nell’ora in cui scriviamo tutta l’Alta Italia al di qua dell’Adige, è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano a Torino a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada.

Sappiamo il prezzo della riscossa. A Bologna ha nome Giuseppe Bentivogli. Quali nomi porterà la testimonianza del sangue a Torino e Milano? La mano ci trema nel dare un dettaglio dell’insurrezione milanese. Ieri mattina alle cinque, secondo una segnalazione radiotelegrafica, il posto di lotta e di comando di Alessandro Pertini e dell’Esecutivo del nostro partito era circondato dai tedeschi e in grave pericolo. Nessuna notizia è più giunta in serata per dissipare la nostra inquietudine o per confermarla. Ma sappiamo, ahimè!, che ogni battaglia ha le sue vittime e verso di esse, oscure od illustri, sale la nostra riconoscenza.

Perché gli insorti del Nord hanno veramente, nelle ultime quarantotto ore, salvato l’Italia. Mentre a San Francisco, assente il nostro paese, si affrontano i problemi della pace, essi hanno fatto dell’ottima politica estera, facendo della buona politica interna, mostrando cioè che l’Italia antifascista e democratica non è il vaniloquio di pochi illusi o di pochi credenti, ma una forza reale con alla sua base la volontà l’energia il coraggio del popolo. In verità il vento del Nord annuncia altre mete ancora oltre l’insurrezione nazionale contro i nazifascisti. Gli uomini che per diciotto mesi hanno cospirato nelle città, che per due lunghi inverni hanno dormito sulle montagne stringendo fra le mani un fucile, che escono dalle prigioni o tornano dai campi di concentramento, questi uomini reclamano, e all’occorrenza sono pronti ad imporre, non una rivoluzione di parole ma di cose.

Per essi il culto della libertà non è una dilettantesca esasperazione dell’«io» demiurgico, ma sentimento di giustizia e di eguaglianza per sé e per tutti. Alla democrazia essi tendono non attraverso il diritto formale di vita, ma attraverso il diritto sostanziale dell’autogoverno e del controllo popolare. Non si appagheranno quindi di promesse, né di mezze misure. La rapidità stessa e l’implacabile rigore delle loro rappresaglie sono di per sé sole un indice della loro maturità, perché se la salvezza nel paese è nella riconciliazione dei suoi figli, alla riconciliazione si va non attraverso l’indulgenza e la clemenza, ma l’implacabile severità contro i responsabili della dittatura fascista e della guerra.

In codesta primavera della patria che consente tutte le speranze, c’è per noi un solo punto oscuro; si tratta di sapere se gli uomini che qui a Roma scotevano sgomenti il capo all’annuncio del vento del Nord, che vedevano sorgere dal passato l’ombra di Marat o quella di Lenin se qualcuno osava parlare di comitato di salute pubblica, che trovavano empio e demagogico il nostro grido: «tutto il potere ai Comitati di Liberazione», si tratta di sapere se questi uomini intenderanno o no la voce del Nord e sapranno adeguarsi ai tempi. Ad essi noi ripetiamo quello che ieri, da queste stesse colonne, dicevamo agli Alleati – Abbiate fiducia nel popolo, secondatene le aspirazioni, scuotete dalle ossa il torpore che vi stagna, rompete col passato, non fatevi trascinare, dirigete.

A queste condizioni oggi è finalmente possibile risollevare la nazione a dignità di vita nuova, nella concordia del più gran numero di cittadini.

Vento del Nord.

Vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro.

Pietro Nenni