di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Ho sempre ritenuto, e tuttora ritengo, che le opere d’arte non abbiano un valore se non culturale e antropologico. Ma devo inchinarmi alla realtà nel constatare che le opere d’arte, quelle che non sono custodite gelosamente dalla comunità ovvero dallo Stato, che sono sul libero mercato, hanno un valore, tipicamente di scambio.

Gli economisti classici da Smith a Ricardo a Marx hanno sempre individuato nel valore “normale” dei beni la quantità di lavoro contenuto nel bene, i classici hanno sempre sostenuto questa teoria che va sotto il nome di “valore-lavoro”.

Marx, in particolare, ha identificato il valore cui tendono le transazioni tra domanda e offerta,  come quel valore corrispondente al tempo di lavoro socialmente necessario incorporato  nei prodotti scambiati.

Ma la teoria del valore-lavoro è stata posta in soffitta dall’avvento della teoria marginalista che, bollando di arcaismo quella teoria, ha decretato che il valore di scambio derivante dall’incontro della domanda e dell’offerta, sia l’unico valore “vero” ed effettivamente realizzantesi nel mercato.

Pareto, per dimostrare incontestabilmente l’erroneità della teoria del valore-lavoro, porta l’esempio di un opera pittorica. Secondo Pareto nella sua opera Les systèmes socialistes, la teoria del valore lavoro sarebbe incompatibile ad esempio nel caso di un quadro il cui prezzo aumenta per il solo fatto che il pittore è diventato famoso, senza che nulla sia intervenuto a modificare la quantità di lavoro in esso incorporato.

Ora mi pare semplicistica l’affermazione di Pareto che confonde la variazione del prezzo con la variazione del valore, quest’ultimo rimanendo fermo nel lungo termine, a meno che schumpeterianamente si modifichi il tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. E’ invece il prezzo di mercato derivante dalla domanda e dall’offerta a vagare oscillante in base alle contingenze dei gusti e della moda, ma che tende asintoticamente al valore-lavoro metodologicamente immutato.

Ora in un’opera d’arte il tempo di lavoro socialmente necessario, non dipende certo solo dal numero dei minuti che un artista ha impiegato per dipingere una tela; con questo approccio gretto una tela più grande dovrebbe valere più di un’opera più minuta perché c’è voluto più tempo a dipingerla (questo, guarda caso è il metodo adottato dai mercanti d’arte per valutare il valore di scambio). Per una corretta interpretazione del valore-lavoro occorre partire non dai minuti spesi per dipingere una tela, ma dal tempo socialmente necessario per  arrivare a quella produzione. Intanto occorre distinguere, come Marx fa, tra lavoro semplice e lavoro specializzato, nel senso che il tempo di lavoro di un operatore specializzato vale di più del tempo di lavoro di un operatore non specializzato grazie proprio alle conoscenze socialmente acquisite dal lavoratore specializzato e da questi trasmesse nel suo apporto di lavoro. Va poi considerato che, faccio l’esempio di Guernica, l’elaborazione intellettuale di Picasso trasfusa nella sua opera, non nasce dalla sua semplice ed enorme genialità, ma egli ha trasfuso nell’opera tutta la socialità maturata nella cultura partigiana ed antifascista di milioni di persone consapevoli che vanno in tal modo a costituire il lavoro socialmente necessario per la produzione dell’opera.

E’ invece il punto di equilibrio tra domanda ed offerta che vacilla, oscilla, si interroga, dubita e stenta a riconoscere il valore-lavoro di quell’opera che se diventa più apprezzata monetariamente non è perché si sia modificato il contenuto di lavoro socialmente necessario, ma perché il prezzo stenta a coincidere con esso nelle sue indecisioni e incapacità di esprimere una valutazione attendibile.

Ciò è tanto più vero se prendiamo in esame il fenomeno “bolla speculativa”. Nella meccanica della bolla speculativa i prezzi liberamente determinati dall’incontro tra domanda ed offerta salgono costantemente, autoalimentando la propensione alla crescita fino ad arrivare a valori incredibilmente elevati (come i tulipani della bolla del 1600). Eppure stando a Pareto ed ai marginalisti i prezzi veri,  sono quelli di mercato, non potendosi quindi giudicare come “esagerati” quei prezzi che, in quanto tali, sono quelli effettualmente determinati dal mercato. Ma la falsità dei prezzi della bolla, sono determinati dal successivo crollo e generantesi panico, togliendo di per sé ogni credibilità alla perentoria affermazione per cui il valore “vero” sia quello di mercato.

Croce poi, ha affinato filosoficamente la critica definendo “il valore-lavoro di Marx  come un concetto pensato ed assunto come tipo, ossia qualcosa di più o di diverso da un mero concetto logico. Esso non ha già l’inerzia dell’astrazione, ma la forza di qualcosa di determinato e particolare , che compie rispetto alla società capitalistica l’ufficio di termine di comparazione, di misura, di tipo”. Valore che non corrisponde a ciò che fattualmente  si determina sul mercato.

Ma la critica di Croce appare come strumentalmente funzionale agli interessi delle classi speculative, e logicamente debole nell’argomentazione che ipostatizza in dimensione astorica l’istituto “mercato” senza sottoporre a verifica galileiana quanto lo stesso asserisce.

Il punto qualificante di questa critica è che occorre nelle nostre analisi verificare sempre gli scostamenti dei prezzi dai loro valori-lavoro, proprio perché quegli scostamenti sono all’origine delle pratiche del capitalismo finanziario che opera sull’effimero se non sull’inganno, per cui una seria critica sugli scostamenti dal valore lavoro sono necessari per dimostrare la nudità del re.

Esisterebbe forse la speculazione sulle bolle immobiliari se ci fosse un severo controllo sullo scostamento del valore di mercato delle case ed il valore-lavoro delle stesse? Si potrebbero verificare fenomeni come le bolle dei sub-primes, della bolla irlandese, della bolla spagnola?

Solo la militante vigilanza su tali fenomeni  può contrastare il dilagare di una economia parassitaria fondata sul guadagno non lavorato, sulla negazione dell’art. 1 della nostra costituzione.