PROUDHON E IL MANIFESTO DI CRAXI

Il pensiero di Proudhon

 

di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |

 

Proudhon rifiuta la sintesi hegeliana come risultato tra tesi ed antitesi. Secondo il filosofo-economista francese, tesi ed antitesi continuano a coesistere con equilibri diversi, espressione dell’evolversi della Storia. In questo quadro l’economia studia le contraddizioni che sono l’inverso della sintesi hegeliana, perchè è dal bilanciamento delle contraddizioni che si evolve, con le oscillazioni perpetue di tesi e antitesi, il cammino della Storia e dell’economia. Ne consegue che in Proudhon si fa sempre più avversa la sua posizione nei confronti dell’intervento diretto (o peggio rivoluzionario) dell’uomo, dei partiti, dei movimenti nelle cose della politica.

Se quindi l’evoluzione dei fatti e il continuo ritrovarsi di equilibri sono in grado di disegnare il corso della storia, si conclude logicamente che l’obiettivo da perseguire, l’organizzazione del lavoro, non vada ricercato con l’azione della politica che nel suo operato non rispetta il suo evolversi naturale.

Le posizioni logiche e metafisiche di Proudhon, conseguenti alle sue riflessioni sopra riportate, lo portano ad elaborare la proposta del mutualismo basato sulla teoria del credito gratuito e reciproco, che abbatterebbe alla radice il meccanismo dell’accumulazione capitalistica ed indirizzerebbe la società sulla via del progresso più di quanto possano fare le sterili azioni politiche e sarebbe premessa per la progressiva eliminazione dell’ingerenza dello stato sulle libertà individuali, realizzando l’istituzione dell’anarchia.

Pertanto, anche la democrazia fondata sul suffragio universale non è altro che il tentativo di sopravvivenza dello status quo. Solo l’anarchia, cioè la soppressione di ogni autorità statale e sovrana e l’autogoverno dei lavoratori per mezzo dell’organizzazione dell’economia è in grado di realizzare quelle riforme cui condurrà il cammino della Storia. L’anarchia persegue la strada della demopedia , l’educazione del popolo tutto, ai valori del lavoro universale, all’autogestione e alla cooperazione dei lavoratori . E l’autogestione viene perseguita con l’emissione di “buoni di lavoro” che, al di fuori dell’intervento dello Stato, divengono la moneta del mondo del lavoro.

Nasce così il progetto della Banque du peuple che emette, senza alcun intervento statale, come sua unica moneta, buoni lavoro utilizzabili per l’acquisto di prodotti o servizi e che rappresentano il vincolo di mutualità tra i contraenti permettendo lo scambio diretto, senza interesse, di materie prime e prodotti.

L’interezza del pensiero di Proudhon si puà ridurre a una sola categoria: la legge delle cose ovvero il progresso. Progresso che è espressione del movimento universale insito in seno alla società umana. L’idea del movimento universale deriva dalla sintesi tra correzione e bilanciamento. Per Proudhon affermare il progresso equivale a negare l’Assoluto, ovvero l’“affermazione di tutto ciò che il Progresso nega”. Il Progresso è “movimento”, l’Assoluto è immutabilità, immobilità ed è in contraddizione con la stessa esistenza. Questa tesi ontologica è alla base del rifiuto, in filosofia politica, del principio di autorità e l’affermazione dell’anarchia.

La risposta di Marx

La risposta alla “Filosofia della miseria” di Proudhon si trova nella “Miseria della filosofia” di Marx, che, ai nostri fini, si può riassumere nell’utopismo del filosofo francese e con la sua sconnessione con la materialità della realtà. Riportiamo da pagina 28 dell’edizione dall’edizione degli Editori riuniti del 1973:

“L’opera del signor Proudhon non è un puro e semplice trattato di economia politica, un libro ordinario; è una Bibbia: «Misteri», «Segreti strappati dal seno di Dio», «Rivelazioni», non vi manca nulla. Ma poiché ai nostri giorni i profeti sono discussi più coscienziosamente degli autori profani, è pur necessario che il lettore si rassegni a passare con noi attraverso l’arida e tenebrosa erudizione della Genesi, per librarsi poi con il signor Proudhon nelle regioni eteree e feconde del supersocialismo”.

Il documento di Craxi

Sulla base di queste posizioni filosofiche Proudhon ha, con notevole anticipo, previsto le perversioni del movimento comunista che volendo sostituirsi al naturale svolgimento della Storia, e intervenendo con la forza dello Stato nei rapporti economici, non faceva altro che sostituire i ricchi borghesi nella proprietà dei mezzi di produzione e con ciò violentando l’autogestione operaia. Il suo famoso motto “la proprietà è un furto” si applica sia al borghese come allo Stato proprietario, anche se lo Stato ammanta di “collettivismo” il suo titolo proprietario.

Il documento di Craxi riprende questa tematica; riporto un passo che ben riflette la distinzione tra un socialismo libertario e il socialismo statalista:

“La profonda diversità dei «socialismi» apparve con maggiore chiarezza quando i bolscevichi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono concezioni opposte. Infatti c’era chi aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l’azione dominante dello Stato e c’era chi auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali. Riemerse così il vecchio dissidio fra statalisti e antistatalisti, autoritari e libertari, collettivistici e non.”

Ritengo che la critica che Craxi fa al socialismo “totalitario” sia condivisibile come peraltro la Storia ha dimostrato; certo la critica va modulata nei vari periodi attraversati dal regime sovietico, così come va modulato in considerazione dei regimi comunisti al di fuori dell’URSS, senza sottacere le posizioni dei vari partiti comunisti in particolare di quello italiano. La domanda è quindi se la carenza di democrazia nei paesi del comunismo reale sia estendibile a tutti i partiti comunisti, in particolare a quelli che sono stati in prima linea nella guerra partigiana, nella costruzione della Costituzione, nella concreta vita parlamentare finchè sono stati ivi presenti.

I miei due punti

 Vorrei comunque soffermarmi su due punti posti da Proudhon e riportati da Craxi:

• Quando Proudhon si affida ad un deterministico equilibrio tra tesi ed antitesi che porterà al progresso e alla liberazione dell’autogestione operaia, quando cioè “ l’evoluzione dei fatti e il continuo ritrovarsi di equilibri sono in grado di disegnare il corso della storia, si conclude logicamente che l’obiettivo da perseguire, l’organizzazione del lavoro, non vada ricercato con l’azione della politica che nel suo operato non rispetta il suo dipanarsi naturale”. Il filosofo nega quindi l’utilità della funzione della politica, ne sottolinea anzi la negatività in quanto altro non farebbe che intralciare la naturale evoluzione del progresso. Rimarcato l’ottimismo utopistico che la posizione filosofica espressa da Proudhon porta con sè, non si può non segnalare che l’azione di Craxi, uomo squisitamente politico e programmatico, smentisce alla base la vocazione anarchica del filosofo cui vorrebbe ispirarsi. Si possono legittimamente contestare i regimi che combattono la lotta di classe con metodi totalitari, ma non si può ignorare che detta lotta esista e che gli uomini organizzati cerchino di superarla con quello strumento democratico detto Politica.

• Il secondo punto riguarda quella che Proudhon chiama “demopedia ovvero educazione del popolo”. Ora mi pare ovvio che “educare il popolo” sia un fatto squisitamente politico e con questa posizione Proudhon pare entrare in contraddizione con la precedente negazione dell’utilità dell’attività politica. Più approfonditamente mi pare di poter rimandare il mio pensiero al leninismo di Gramsci. A mio modo di vedere l’operazione filosofica di Gramsci interpreta la guida di Lenin sul proletariato, deriva dal concetto di “rivoluzione”, la funzione di azione pedagogica (educare il popolo) perchè il popolo lavoratore prenda coscienza della sua situazione subalterna e da classe subordinata si predisponga a divenire classe dirigente. E’ il concetto di “egemonia” che eclissa l’idea romantica della violenza rivoluzionaria, ma che invece in un rapporto dialettico tra intellettuale e operai, tra docente e discente, figure che entrambi i soggetti assumono scambievolmente nella crescita reciproca, sostituisca al capo la figura dell’intellettuale collettivo. 

Spiace che Craxi restringa la figura di Gramsci in confini ristretti, come si lgge nel seguente suo passo “Non è certo un caso, dunque, che Gramsci sia arrivato a definire il marxismo «la religione che ammazzerà il cristianesimo» realizzando le sue esaltanti promesse e facendo passare dalla potenza all’atto l’ideale della società perfetta.” Vorrei evidenziare che con la fine del Partito Comunista Italiano sia stata accantonata questa strategia gramsciana che si era attuata fino alla Bolognina.

Questa operazione pedagogica si svolgeva da una parte nella scuola di partito alle Frattocchie per formare gli intellettuali, dall’altra il fatto che almeno una volta la settimana i subalterni si riunivano in sezione a discutere e dibattere sui fatti politici internazionali, nazionali e locali; una “demopedia” di cui oggi, con evidenza si vede la mancanza. I subalterni, senza l’azione demopedica, sono lasciati, abbandonati, divenendone succubi, al “senso comune” che ovviamente è egemonizzato dalle classi dominanti. In questa ottica si può capire il perchè gran parte della classe operaia possa oggi votare per la lega e, è questo è peggio, condividerne i valori e le posizioni politiche (rimanendo però spesso ancora legata al sindacato, riproponendo lo stato economico corporativo tuttora presente).