GRAMSCI-MATTEOTTI UN ACCOSTAMENTO FORZATO

 

di  Vincenzo Lorè – Responsabile Comunicazione Socialismo XXI  |

 

C’è un tentativo in atto da parte di alcuni rispettabili compagni che miri a ripensare alle sorti della “sinistra italiana” coniugando Gramsci e Matteotti.

Due personalità distinte, ma anche distanti, sia considerando il loro contesto storico, sia per quanto possa essere oggi la loro trasposizione disinvolta nel secondo ventennio del nuovo secolo.

Prima di rendergli onore come combattente sfortunato e tenace, Gramsci applica a Matteotti la definizione di “pellegrino del nulla” che Karl Radek, un dirigente dell’Internazionale comunista, aveva usato per Leo Shlageter un nazionalista tedesco fucilato nella Ruhr dagli occupanti francesi. “Vagabondo del nulla!” era il titolo di un popolare romanzo nazionalista tedesco, riferisce E.H. Carr (“La morte di Lenin”, 1965).

L’incomunicabilità tra comunisti e socialisti, che peraltro lo stesso Matteotti aveva sottolineato senza incertezza, non poteva essere espressa più chiaramente. Infatti, ad una proposta di collaborazione da parte del Partito comunista, Giacomo Matteotti Segretario del Partito Socialista Unitario, rispondeva nell’aprile del ’23 con la seguente lettera:

«Alla Direzione del Partito Comunista – Roma.

Riceviamo la vostra lettera contenente la solita proposta poligrafata per tutte le occasioni. L’esperienza delle altre volte, e dell’ultima in particolare, ci ha riconfermati nella convinzione che codeste vostro proposte, apparentemente formulate a scopo di «fronte unico», sono in sostanza lanciate ad esclusivo scopo di polemica coi partiti socialisti, e di nuove inutili dispute. Ciò può recare piacere o vantaggio a voi, come al Governo fascista, dominante con gli stessi metodi di dittatura e di violenza che voi auspicate. Ma non fa piacere né a noi né alla classe lavoratrice che subisce il danno delle vostre disquisizioni e dei riaccesi dissensi.

Chi ha moltiplicato e inasprito le ragioni di scissione di discordia nella classe lavoratrice, è inutile e ridicolo si torni a camuffare da unitario e da «fronte unico».

Restiamo ognuno quel che siamo: voi siete comunisti per la dittatura per il metodo della violenza delle minoranze: noi siamo socialisti per il metodo democratico delle libere maggioranze.

Non c’è quindi nulla di comune tra noi e voi.

Voi stessi lo dite ogni giorno, anzi ogni giorno ci accusate di tradimento contro il proletariato. Se siete quindi in buona fede, è malvagia da parte Vostra la proposta di unirvi coi traditori; se siete in malafede, noi non intendiamo prestarci ai trucchi di nessuno.

Perciò, una volta per tutte, vi avvertiamo che a simili proposte non abbiamo nulla da rispondere.

Tanto per vostra norma e definitivamente.

GIACOMO MATTEOTTI

 

Non vede nel Pci né democrazia né un partito di libertà. Una delle sue ultime frasi, quando mancano pochi giorni al 10 giugno del 1924: “La libertà e il socialismo non piovono dall’alto. Bisogna conquistarseli marciando uniti contro l’avversario e spezzando l’equivoco che impedisce la marcia”.

Ciò che egli osteggiò sempre con decisione furono appunto le decisioni settarie, dalle quali vedeva purtroppo derivare la radicalizzazione estrema delle diverse esposizioni programmatiche con il rischio di un conflitto tra loro, con grave danno dell’unità del Movimento operaio e del partito stesso, di conseguenza l’inefficacia dell’azione politica.

Un’ulteriore riflessione va fatta a sostegno della tesi di Matteotti, seppur nella sua schematicità, ma è del tutto evidente che si tratti di un atteggiamento politico proprio del movimento comunista, è racchiusa in una frase di Lenin quando parla di comunismo quale capitalismo di stato, con i soviet o con i dirigenti comunisti al posto dei dirigenti della borghesia.

Naturalmente, alla luce di fatti ed epoche in cui vissero i due leader, fondamentalmente occorrerebbe contestualizzare, pur tuttavia mi chiedo quale correlazione oggi ci sarebbe tra Gramsci e Matteotti?

Al limite, l’dea dei compagni mi sentirei di definirla un tentativo meritorio da circoscrivere ad un evento storico-politico-culturale, ma non certo un elemento che possa apportare basi per la ricostruzione della sinistra italiana e soprattutto portare in vita un grande Partito Socialista Unitario del XXI secolo.

Ritornerei, invece, alla proposta di METODO già avanzata ed in corso di esecuzione avviata da Socialismo XXI, il quale con chiarezza come abbiamo sempre ripetuto il nostro impegno, non è la costruzione di un recinto identitario chiuso e autoreferenziale, al contrario è l’impegno a costruire una comunità nazionale socialista capace di offrire un orizzonte politico. L’abbiamo chiamata “EPINAY ITALIANA”, dunque il metodo! Ed è del tutto evidente che questo sistema deve essere aperto ed inclusivo.

I Socialisti, ovunque essi siano oggi, debbono prendere forza e modello da un’esperienza come quella francese (Congresso di Epinay), che chiami a raccolta, in forma libera, autonoma, con pari dignità, ma chiara ed organizzativamente identificabile, tutte le energie socialiste che sentono la necessità di lanciare questa sfida; in primo luogo a se stessi per una nuova militanza che, nel nome del socialismo, agisca quale fattore propulsivo per tutta la sinistra, anch’essa da ricomporre e riorganizzare: culturalmente, socialmente e politicamente.