IL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

BRUNO RIZZI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

Non ci si può occupare della teoria del collettivismo burocratico elaborata dai socialdemocratici, senza occuparci dell’opera dell’italiano Bruno Rizzi, del suo libro “La bureaucratisation du mond” (1); il libro, anche se datato 1930 – Parigi, rientra nel periodo esaminato per tre ragioni fondamentali.

1 – Rizzi fu, per unanime riconoscimento storico, colui che definì la struttura di quella teoria che col nome di collettivismo burocratico, o con altre espressioni, sarà ripresa in seguito da vari studiosi (Burnham, Gilas, ecc.).

2 – Rizzi ebbe un’influenza, anche se indiretta, sul pensiero socialdemocratico degli anni ’40, come vedremo in seguito. Saragat abbracciò interamente la teoria di Rizzi a partire dal gennaio 1940, cioè solo pochi mesi dopo la data di pubblicazione del libro. L’influenza di Rizzi su Saragat, anche se non è riconosciuta apertamente dal leader socialdemocratico, è, come mostreremo, evidente e profonda, tale da non lasciare alcun dubbio. Non si può nemmeno dubitare che, col tramite di Saragat, la teoria di Rizzi influenzò gran parte di quei pensatori socialisti che dettero vita, dopo la scissione del 1947, al partito socialdemocratico.

3 – L’ultimo motivo che mi ha spinto a collocare il pensiero di Rizzi all’inizio di questa prima parte del lavoro è una ragione di utilità. La conoscenza del suo pensiero e dei punti fondamentali della sua teoria ci permette di ritrovare più facilmente le tematiche riprese dagli autori socialdemocratici, ci permette di leggere in filigrana il pensiero riformista alla luce delle sue argomentazioni, cosa che ci tornerà utile quando ci dedicheremo alla ricerca delle fonti del pensiero socialdemocratico.

La teoria di Rizzi parte dalla constatazione che, con la collettivizzazione delle terre e con l’industrializzazione del paese, i funzionari statali di partito scalzarono il potere dei lavoratori e diventarono i monopolizzatori dello Stato. La Russia in tal modo si trovò in una situazione in cui tutta la vita economica e politica del paese era monopolizzata dalla burocrazia; burocrazia i cui componenti erano funzionari statali, tecnici, poliziotti, ufficiali, giornalisti, scrittori, mandarini sindacali e tutti i componenti del partito comunista (2).

Questa burocrazia aveva ormai costituito una classe nel senso marxista del termine, cioè fondata sulla proprietà dei mezzi di produzione. L’elemento che la distingueva dalla classe capitalista borghese era il carattere di questa proprietà: non più privata, ma collettiva. Questa, in parole povere, l’idea centrale formulata da Rizzi.

Rizzi era partito da una critica al pensiero di Trotzki, alle cui teorizzazioni fu peraltro vicino nel periodo che precedette il 1939. Nel suo libro “Dove va l’URSS” del 1937 (3) le argomentazioni sono ancora quasi perfettamente iscrivibili nel quadro teorico tipico del trotskismo: la burocrazia è definita casta e non ancora classe(4); essa viene criticata per la parte del leone giocata nel campo della distribuzione e non ancora in quello della produzione (5); erano giudicati ancora elementi socialisti l’industria nazionalizzata, il monopolio del commercio estero, il funzionamento del commercio interno, i sovkhoz, definiti aziende economiche a carattere socialista (secondo il trotskismo più cristallino). Il carattere di casta della burocrazia, l’enorme parte di reddito nazionale da essa consumato e infine il carattere operaio dalle nazionalizzazioni costituivano gli elementi base del pensiero del trotskismo a proposito dell’Urss. Rizzi, nel 1937, era con lui, se pur con un cruccio, che si rivelerà fondamentale nel 1939. Riportiamo fedelmente:

“Le forze produttive si svilupparono incontestabilmente nell‘Urss ma è in gestazione una classe privilegiata che se ne accaparra sempre di più i prodotti. Questo gioco non può durare all’infinito. Dall’appropriazione dei prodotti, per renderla stabile, si dovrà passare ai mezzi di produzione.” (6)

Che cosa era in gestazione? Il concetto fondamentale del suo nuovo libro: la burocrazia è una classe che possiede collettivamente i mezzi di produzione:

“Negli effetti esiste in Russia una classe sfruttatrice che tiene in mano i mezzi di produzione e si contiene esattamente come una proprietaria di questi. Il suo possesso non è frazionato tra i suoi componenti ma, questi ultimi in blocco, come classe, sono i reali possessori della proprietà ‘nazionalizzata’ ….. La proprietà privata è diventata collettiva, ma di classe; in modo diverso noi non sapremmo definire questa proprietà nazionale che non è di tutti, questa proprietà che non è borgese, né proletaria, che non è privata, ma che non è neanche socialista” (7)

Questa tesi rifiuta, com’è evidente, il concerto trozkista di casta, riferito alla burocrazia che basa il suo privilegio sull’appropriazione di una grande fetta del reddito nazionale. I conti con Trotzky vengono chiusi anche in riferimento all’altro problema, quello delle nazionalizzazioni e della pianificazione dell’economia. Esse non sono, come pensa Trotzki, realizzazioni della dittatura del proletariato, ma strumenti del dominio di classe della burocrazia statale. La proprietà statale dei mezzi di produzione, la nazionalizzazione assicurano alla burocrazia, che si è identificata con lo stato proprietario, la proprietà di tali mezzi e la pianificazione diventa quindi lo strumento attraverso il quale questo diritto di proprietà si esercita. Attraverso il piano la burocrazia fissa fin quasi nei minimi particolari tutti gli aspetti della produzione (che cosa si deve produrre, in quali quantità, ecc.) e quelli della distribuzione (salari, prezzi di vendita dei prodotti, ecc.) (8).

Ne segue necessariamente che lo sfruttamento non è scomparso, ma si trasforma esso stesso, come la proprietà, da individuale a collettiva: “si tratta di una classe in blocco che ne sfrutta un’altra” (9) per cui il plusvalore che continua ad esistere nella Russia sovietica (10), data la permanenza dello sfruttamento del lavoro umano, non viene accaparrato direttamente, come nel caso del capitalista singolo che incassa i profitti della sua azienda, ma indirettamente cioè attraverso lo stato che incamera tutto il plusvalore nazionale per poi ripartirlo ai suoi stessi funzionari. E questo plusvalore viene estorto “ai produttori diretti con una colossale maggiorazione delle spese generali delle aziende nazionalizzate” (11).

Quindi lo stato, da strumento di dominazione politica, diventa, nella nuova società sorta dalla

rivoluzione di ottobre, strumento ed organo della dominazione sia politica che economica (12). Diventa quindi uno stato totalitario che non tollera nulla al di fuori di se stesso: il dominio che deve esercitare sulla società è totale omnicomprensivo e quindi mostruoso: nessun pertugio democratico viene lasciato aperto nel partito, negli organi della produzione intellettuale (stampa scuola scienza), nel sindacato, eccetera. La burocrazia deve controllare tutti gli ingranaggi e impedire che qualcuno di questi marci in direzione contraria al moto che lei vuole imporre: è perciò condannata a costruire uno strato poliziesco (13). Ma non solo, questo controllo totale ed assoluto dello Stato modifica pure le caratteristiche tipiche della forza lavoro: essa non è più una ‘merce’ liberamente acquistata dai capitalisti, viene completamente monopolizzata da un solo padrone, lo stato, appunto. Scompare quindi la figura classica del proletario “il libero venditore della sua forza lavoro nel libero mercato capitalista” (14) e si profila all’orizzonte lo schiavismo.

Il lavoratore possiede ormai, per Rizzi, tutte le caratteristiche del servo: esso, infatti, non ha più che un padrone, si trova prigioniero senza scampo, diventa anche “possessore di coloro che producono la forza lavoro” (15):

“La classe lavoratrice russa non è più proletaria: è serva di Stato. Serva nella sostanza economica e serva nelle sue manifestazioni sociali” (16).

L’esistenza del servaggio testimonia il regresso storico compiuto dall’Unione Sovietica: regresso verso forme feudali di sfruttamento. Nelle società feudali il suddito lavorava per un solo padrone, il feudatario terriero, nella società collettivistico-burocratica al feudatario si è sostituito lo stato come unico padrone. Il salario perde quindi le sue caratteristiche per diventare “un puro mezzo del mantenimento del servo” (17). Evidentemente in questa società direttamente controllata, posseduta dallo stato, il libero mercato delle merci (forza lavoro compresa) scompare: infatti dove i prezzi dei beni di consumo, dei mezzi di produzione, il livello dei salari e delle retribuzioni in genere, sono fissati centralmente dalla burocrazia di Stato non ha più senso parlare di pluralità e di decentralizzazione delle decisioni, che sono le caratteristiche fondamentali del mercato. Con la scomparsa del mercato vanno perdute tutte quelle libertà da esso introdotte dal XII al XIX secolo e la base economica della società, facendosi autarchica e di monopolio statale, diventa somigliante a quella delle monarchie feudali del passato e di tutte le società feudali in genere (18).

Questo fenomeno della tirannia statale e burocratica non è peculiare alla sola Russia sovietica, ma rappresenta una linea di tendenza nell’evoluzione dell’intera economia mondiale: le nazionalizzazioni non si limitano più, fa notare ancora Rizzi, come alla fine dell’Ottocento, ai settori del tabacco delle ferrovie, investono settori ben più importanti dell’industria, del commercio, le banche, le assicurazioni, gli scambi con l’estero, eccetera (19). Queste nazionalizzazioni polverizzando la proprietà privata, “polverizzano la borghesia come classe” (20) e preparano il terreno spianando la strada al sorgere della nuova classe burocratica a livello mondiale, quella classe che basa la propria forza sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione tramite il potere statale. Questo fenomeno si è realizzato anche in Italia e in Germania col fascismo e con il nazismo:

“In questi regimi una nuova classe dirigente in formazione dichiara che il capitale è al servizio dello Stato. Fa seguire i fatti, fissa già in parte i prezzi delle merci ed i salari dei lavoratori, organizza su di un piano prestabilito l’economia nazionale.” (21)

E in un futuro non molto lontano anche i lavoratori francesi, inglesi si troveranno, profetizza Rizzi(22), sempre più nella condizione di sudditi di un regime burocratico che nazionalizzerà la proprietà e il cui carattere distintivo sarà sempre lo stesso: proprietà collettiva nelle mani dello Stato, pianificazione della produzione, sfruttamento che passa dal dominio dell’uomo a quello della classe. Un nuovo sistema sociale si è profilato all’orizzonte: esso è diverso da quello capitalista ma non certo socialista. Se questa affermazione contraddice in un certo modo la dogmatica marxista che aveva affermato l’ineluttabile avvento della società socialista sulle ceneri di quella capitalista, ciò dipende dal fatto che Marx non aveva potuto prevedere l’evento di un simile totalitarismo con la dominazione dapprima di un ‘claque’, poi di uno strato sociale che doveva in seguito affermarsi definitivamente come classe. La contraddizione col marxismo non preoccupa Rizzi che afferma la necessità di esaminare i fatti per quello che sono e non far scendere le idee dall’empireo cielo dell’astrazione.

Ma se questo è il triste quadro della situazione politica ed economica russa, esiste tuttavia per Rizzi una strada che conduce fuori dal pantano del collettivismo burocratico e porta al socialismo. È una strada tutta da scoprire, un argomento aperto su cui discutere. Rizzi ci fornisce degli elementi interessanti, innanzitutto il punto di partenza: non più discussione sui due termini che ossessionano il pensiero socialista – proprietà privata o proprietà collettiva. Ogni bravo marxista avrebbe dovuto notare come la categoria ‘proprietà’ non fosse una categoria economica e avrebbe dovuto invece marxisticamente studiare gli stessi rapporti di produzione che sono alla base della sovrastruttura sociale. È quindi l’azienda al centro dell’interesse poiché:

“Dall’impostazione economica dell’azienda dipendono tutte le sovrastrutture sociali e quindi la natura stessa della società.” (23)

“Operando sull’azienda si intacca il rapporto di produzione.” (24)

E, dice Rizzi, l’azienda socialista non collettivizzata ed autogestita necessita del mercato, che è un termometro sensibilissimo che rivela agli uomini come comportarsi nel campo della produzione, delle vendite, degli acquisti.

Il mercato non è infatti un’istituzione tipica o peculiare del capitalismo, esisteva tanto tempo prima, perfino nell’Atene di Pericle, e sopravviverà al capitalismo stesso, nella società socialista.

“Mai organo più perfetto e sensibile del mercato ha razionalizzato la produzione e la distribuzione.”(25)

Solo attraverso la saturazione del mercato, il soddisfacimento più largo dei bisogni, il superamento del contrasto tra produttori e consumatori, si arriverà all’agognata società socialista e, forse, al superamento del mercato stesso. Tutti questi obiettivi sono raggiungibili, indica Rizzi, agendo proprio sul terreno economico aziendale, modificano la formula del profitto. Questa formula, finora basata su una sottrazione tra il prezzo di vendita e il costo di produzione, rende infatti ineluttabile il contrasto tra il consumatore e il produttore. II primo vuol vendere caro e l’altro comprare a buon mercato (26). Se si imposta la formula del profitto, prospetta Rizzi, su una percentuale sulle vendite invece che su una sottrazione, le prospettive dei singoli produttori e consumatori vengono ribaltate. I produttori non avrebbero infatti più interesse a vendere caro, in quanto il loro profitto dipende dalla percentuale sulle vendite e non dal prezzo del prodotto, avrebbero interesse a vendere prodotti di buona qualità, per conquistarsi il consumatore, e a basso prezzo.

Non vi sarebbero più né incettatori, né speculatori, dato che, se anche il prezzo delle merci salisse, non si avrebbe nessun guadagno supplementare per i produttori. Inoltre, poiché il rapporto di produzione diverrebbe socialista, il profitto aziendale combacerebbe col guadagno che spetta ai lavoratori dell’azienda: il profitto sarebbe diviso tra i lavoratori in ragione della quantità e della qualità del lavoro fornito.

Questo, dunque, lo schema ideale fornito da Rizzi all’attenzione e alla discussione dei socialisti: rapporti di produzione socialisti all’interno dell’azienda autogestita, modifica della forma del profitto, superamento conseguente del contrasto tra consumatori e produttori, potenziamento e massimo sviluppo del mercato, raggiungimento del socialismo.

Note:

1 – Bruno Rizzi “Bureaucratisation du Monde”, Parigi 1939. In queste pagine facciamo riferimento all’edizione italiana del 1977 “Il collettivismo burocratico” ed. SugarCo, Milano 1977

2 – ibidem p. 39

3 – Bruno Rizzi “Dove va l’URSS” La Prora, Milano 1937

4 – Ibidem p. 92

5 – ibidem p. 101

6 – ibidem p. 103

7 – Rizzi “Il collettivismo …. Op. cit. p. 58

8 – ibidem p. 53

9 – ibidem p. 73

10 – ibidem p. 59

11 – ibidem p. 59

12 – ibidem p. 73

13 – ibidem p. 58       

14 – Amadeo Bordiga “Struttura economica e sociale della Russia ad oggi” editoriale Contro, Milano 1966, pp. 147 – 149 vol. II. Lo scritto di Bordiga è però del 1955

15 – ibidem p. 77

16 – Ibidem p. 78

17 – ibidem p. 78

18 – ibidem p. 180

19 – ibidem p. 85

20 – ibidem p. 85

21 – ibidem p. 64

22 – ibidem p. 44

23 – ibidem p. 113

24 – ibidem p. 183

25 – Rizzi “La lezione dello stalinismo”, Roma 1962 p. 38