di Luigi Ferro – Socialismo XXI Campania |
Nel precedente articolo ho affrontato il tema della crisi della socialdemocrazia. Una crisi identitaria, una crisi di idee, in Italia e in Europa. La scaturigine è stata la famosa sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe contro la BCE e la politica del quantitative easing voluta da Mario Draghi, reo di avere favorito gli stati dell’UE più in difficoltà, in particolare l’Italia.
Ma cerchiamo di procedere ad un approfondimento sul tema alla luce della successiva decisione della commissione europea di stanziare circa 750 miliardi di euro per la ripresa economica dell’eurozona. Il recovery found dovrebbe attivarsi nel 2021. All’Italia andrebbero sotto forma di sussidi circa 80 miliardi di euro , e sotto forma di prestiti, circa 90 miliardi di euro. Alla proposta della commissione europea ha fatto seguito l’abituale oramai muro dei Paesi frugali, i più a guida socialdemocratica, i quali hanno indossato ancora una volta i panni di piccoli sovranisti, ingenerando la consueta confusione ideologica destra-sinistra.
La socialdemocrazia nasceva dopo la rivoluzione industriale inglese, verso la fine del 1800. La rivoluzione industriale aveva progressivamente creato due nuove classi sociali, distinte ed eterogenee: la borghesia industriale (i nuovi ricchi) e il proletariato (i nuovi poveri). Lo sfruttamento del lavoro, specie quello femminile e minorile, le cattive condizioni di lavoro e i bassi salari da lavoro avevano provocato ingiustizie e disuguaglianze sociali.
La rivoluzione industriale meriterebbe un capitolo a parte, ma qui interessa individuare le cause che avevano portato alla genesi dei socialismi e/o delle socialdemocrazie. La lotta di classe per l’emancipazione dei lavoratori e degli sfruttati, dei poveri i quali non accedevano alle ricchezze prodotte con il lavoro profuso. Insomma, una forza di opposizione che dette voce al malcontento generale , contro lo sfruttamento, a tutela dei diritti della persona.Da allora sono stati fatti passi da gigante. Il progresso della nostra civiltà è sotto gli occhi di tutti, eppure sono aumentate le disuguaglianze, specie nelle società cd. opulente. Perché? Quali le cause?
Il reddito medio è aumentato ed è migliorata la qualità della vita (era di circa 80 euro nel 1700; circa euro 1000 nel 2020). Il tasso di mortalità infantile soprattutto nel primo anno di vita è stato quasi azzerato (il 20% nel 1700 contro l’1% del 2020). E allora perché ci sono società così evidentemente diseguali? Di fronte a questa gravissima crisi dell’umanità, al tempo stesso economica e sociale, le socialdemocrazie appaiono incapaci di fornire delle risposte risolutive come in passato. Appaiono incapaci di attuare una nuova rivoluzione culturale, ideologica e sociale. Perché?
Occorre partire dall’analisi storica ed economica dei fenomeni, per comprendere quelli culturali e sociali e cercare di fornire delle soluzioni, delle risposte.
Il neoliberismo ha prodotto molta ricchezza concentrata nelle mani di pochi fortunati, mentre nel contempo si smantellava il welfare, quel sistema di protezione sociale posto a tutela dei più deboli. Anche in Italia negli ultimi dieci anni sono state tagliate all’inverosimile le spese per sanità e scuola, due settori di vitale importanza per una nazione civile e moderna. La pandemia da COVID19 ha accelerato in maniera esponenziale le criticità della sanità e della scuola, due gambe del welfare, necessari per la tutela della salute (bene costituzionalmente garantito peraltro) e per il diritto all’istruzione ed alla formazione qualificata.
Ma vi è di più.
Le imprese hanno operato il più delle volte in mercati autoregolamentati con tutti i guasti prodotti sul piano sociale secondo il paradigma “Più mercato . Meno diritti . Meno stato sociale”.
Sui temi appena evidenziati la discussione è ampia, ma la socialdemocrazia in questi anni ha lasciato correre, a volte diventando complice se non schiava del mercato, rincorrendo il neoliberismo e parlando un linguaggio incomprensibile e molto simile a quello adottato dai sovranisti e dai populisti. In apertura dell’articolo, abbiamo ricordato l’opposizione al recovery found di Paesi per lo più a guida socialdemocratica, di grande tradizione socialista (Svezia, Danimarca). E’ l’esempio più evidente della confusione che regna nella sinistra europea, come in Italia, dove il partito socialista ha pochi proseliti mentre il PD, dopo la fusione con l’anima popolare e cattolica, è ancora alla ricerca di una sua identità.
L’struzione è di fondamentale importanza. E’ la sfida al futuro per intere generazioni. Eppure ancora oggi dobbiamo registrare che non è stato garantito il libero accesso all’istruzione, alla formazione professionale o qualificata. L’Europa sul punto è in ritardo rispetto agli Stati Uniti dove da tempo è stato avviato senza sosta il processo di scolarizzazione. La mancanza di una istruzione adeguata si riflette sulla produttività di un Paese. Sul punto, le società più ricche non hanno investito nel sapere, non hanno consentito a tutti di avere una adeguata formazione culturale e professionale. I governi, anche quello italiano, negli ultimi anni da un lato hanno tagliato fondi destinati alla scuola pubblica; dall’altro, hanno favorito lo sviluppo di scuole e Università private di livello superiore accessibili alle sole famiglie più abbienti.
Il nuovo decreto scuola varato dal Governo italiano è perfettamente sovrapponibile ad analoghi provvedimenti già adottati dai precedenti governi secondo il principio “diritto allo studio uguale diritto al diploma”.
E’ un principio da respingere con durezza. E gli altri? Il silenzio assordante delle socialdemocrazie è inaccettabile. Eppure avere una istruzione qualificata si tradurrebbe in una società più giusta, più competitiva, e con salari più elevati. Pari opportunita’ e meritocrazia oggi sono diventati dei simulacri.
Altro punto dolente è la giustizia fiscale. La “socialdemocrazia italiana” ed europea non è stata capace di rafforzare e di mantenere la tassazione progressiva sul reddito, sulle successioni, e l’imposta progressiva annuale sulla proprietà. Sul piano teorico la socialdemocrazia è stata sempre coerente meno nella pratica politica.
La globalizzazione ha finito col travolgere i vari socialismi del vecchio continente, che hanno accettato e subito un mercato senza regole e poco trasparente. Non solo. Le forze cd. progressiste hanno in questi anni approvato o lasciato approvare leggi che hanno ridotto le imposte sugli utili societari e consentito con numerose deroghe ai dividendi e agli interessi di eludere il sistema progressivo di tassazione sul reddito e di versare imposte sempre più basse (chi ha di più paga sempre meno al fisco). Che dire degli sgravi fiscali sui redditi da capitale? L’impressione delle classi popolari e medie di pagare di più ha eroso il contratto sociale su cui fu fondata la socialdemocrazia.
Per evitare sperequazioni l’Europa dovrebbe avere un sistema fiscale unico per evitare concentrazione di capitali o patrimoni e la concorrenza sleale tra Paesi.
Altri temi caldissimi sono l’immigrazione, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Su quest’ultimo punto è appena il caso di ricordare come paesi come Cina e Stati Uniti non abbiano ancora sottoscritto i trattati di Parigi e Kyoto. La comunità internazionale dovrebbe esercitare una maggiore pressione sui due tra i maggiori paesi più inquinanti al mondo.
Il lavoro è stato collocato in un cassetto. Non sentiamo parlare più di disparità uomo-donna negli ambienti lavorativi e di disparità salariale uomo-donna.
La società basata sul mercato non vuol dire colpevolizzare i più deboli, i più poveri, per citare TODESCHINI “..povero poco meritevole..”. Tutti devono avere una occasione. Smettiamola di inseguire le multinazionali e di santificare i miliardari, oggi i nuovi filantropi solo per pagare meno tasse.
La socialdemocrazia e i socialismi in generale sono poco propensi a rimuovere i propri programmi in merito alle questioni dall’istruzione alla politica fiscale, a quella internazionale. Ciò spiegherebbe la presenza di un elettorato ricco e più istruito nelle socialdemocrazie a tutto svantaggio dei meno fortunati. Qui risiede l’incapacità delle forze socialdemocratiche di coniugare gli uni agli altri. Ciò spiegherebbe la confusione destra-sinistra. Qui va ricercata la crisi identitaria delle sinistre.
Allora, come ritornare ad una società più giusta, con meno disuguaglianze? Come è possibile ricostruire un socialismo partecipativo? Come evitare derive totalitarie?
La nuova classe di estrazione socialdemocratica è più istruita e più ricca, con un reddito dignitoso. Da partito dei lavoratori il socialismo oggi è diventato unicamente il partito dei laureati. I flussi elettorali degli ultimi vent’anni fotografano questo stato delle cose. Ma cosa si può fare per gli altri, per i più deboli?
La socialdemocrazia deve rinnovarsi e avere una nuova visione della società e del mondo. Una nuova fase costituente, direi. Deve integrare e coinvolgere tutti i soggetti sociali e spingerli verso il benessere e il progresso dell’umanità. La sinistra deve tornare tra la gente non essere ELITE. Occorre una nuova mobilitazione popolare cancellando vecchi tabù ed affrontando in chiave moderna e senza timore le sfide del terzo millennio. Una nuova sinistra, un nuovo socialismo plurale, aperto a tutti , al mondo.
Con idee chiare e coerenti, senza inseguire sovranismi o populismi, correndo il rischio di passare come “traditore” agli occhi del ceto medio e dei più deboli. Un socialismo a favore dello sviluppo contro logiche assistenzialiste, come purtroppo constatiamo in Italia. Una sinistra a sostegno della pace internazionale e a favore dell’Europa, vista come una opportunità e non come una sciagura.
Come uscire allora da questa crisi che dura da un ventennio?
Occorre abbiamo detto un processo di rinnovamento, una nuova fase, impostata su alcuni ineludibili punti programmatici:
1) COSTRUIRE UNA SOCIETA’ GIUSTA CONSENTENDO A CHIUNQUE L’ACCESSO A SANITA’, ISTRUZIONE, DIRITTO DI VOTO, SALARI DIGNITOSI, PARTECIPAZIONE ALLA VITA POLITICA ED ECONOMICA;
2) SOSTEGNO ALL’IMPRESA. LOTTA SENZA QUARTIERE AL NEOLIBERISMO;
3) SVILUPPO SOSTENIBILE, SVOLTA GREEN, MOBILITA’ SOSTENIBILE,TUTELA AMBIENTALE;
4) GIUSTIZIA FISCALE CON NUOVE FORME DI PROGRESSIVITA’;
5) SALARI EQUI E LOTTA ALLA DISOCCUPAZIONE;
6) PENSIONI ADEGUATE;
7) INVESTIMENTI NELLA SCUOLA, SANITA’, INNOVAZIONE E RICERCA SCIENTIFICA;
8) PIU’ TRASPARENZA DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE;
9) UNA NUOVA POLITICA DI INTEGRAZIONE ETNICA E RELIGIOSA;
10) PIU’EUROPA, UNA EUROPA MIGLIORE ATTRAVERSO PICCOLE MODIFICHE DEI TRATTATI COMUNITARI;
11) UN NUOVO PATTO IMPRESE, GOVERNO E SOCIETA’ CIVILE, ATTRAVERSO FORME DI COGESTIONE DELLE IMPRESE (AZIONISTI E LAVORATORI) PER UNO SVILUPPO ARMONICO DELLA SOCIETA’ E VERSO NUOVE FORME DI CAPITALISMO E DI CRESCITA, VERSO UNA PROPRIETA’ SOCIALE DELL’IMPRESA;
12) MERCATI REGOLAMENTATI E TRASPARENTI;
13) PROMUOVERE UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA ED EGUALITARIA;
14) FINANZIAMENTO DEI PARTITI TRASPARENTE E RESO PUBBLICO PER EVITARE DUBBI ED EQUIVOCI;
15) NUOVO PATTO TRA SOCIALISMO E SOCIETA’ CIVILE, PIU’ DEMOCRAZIA, PIU’ PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA;
16) TUTELA DEL WELFARE E SUO AMPLIAMENTO ANCHE A PROFESSIONI E LAVORATORI AUTONOMI;
17) NO AL DUMPING FISCALE PER EVITARE INVOLUZIONI NAZIONALISTE E IDENTITARIE;
18) UNIONE BANCARIA E FISCALE EUROPEA VERSO UNA EUROPA FEDERALISTA. PIU’ INTEGRAZIONE TRA I PAESI UE.
Su questi punti è possibile costruire un socialismo moderno capace di dare risposte e di combattere le ingiustizie sociali, di intercettare consensi ampi da ogni gruppo sociale. Certo, non mi illudo di costruire tutti insieme una società fondata sull’uguaglianza, ma almeno possiamo ridurre le disuguaglianze e dare voce alla parte più debole del nostro mondo, oggi poco rappresentata e spesso in balia dei populismi.
Un nuovo socialismo per una societa’ senza divisioni, rancore e rabbia. Cosi’ rinasce il socialismo.
Un socialismo moderno, rinnovato che superi l’antico principio di lotta di classe fondando sull’ideologia e la ricerca di giustizia politiche chiare e coerenti dirette a tutti i consociati. Occorre distinguersi dalla destra se vogliamo avviare un processo identitario in Italia come in Europa. Per un nuovo modello di sviluppo della società e del mondo, come avvenne all’indomani del secondo conflitto mondiale.
Un nuovo socialismo a tutela della coesione sociale e della democrazia.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.