COLLETTIVIZZAZIONE AGRICOLA E STATO TOTALITARIO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

c) Collettivizzazione agricola e stato totalitario

Vediamo ora come si caratterizza il pensiero dei socialdemocratici in riferimento al problema della collettivizzazione delle terre dei contadini.

La misura della collettivizzazione forzata, decisa dal governo bolscevico sempre nel fatidico anno 1929, è studiata, analizzata come passo ulteriore e molto significativo dello sviluppo della formazione dello Stato totalitario. Con questa misura politica economica si realizza, secondo i socialdemocratici, nel campo agricolo la completa subordinazione dei contadini al potere e dalla dittatura statale. Questi ultimi persero, infatti, quella seppur debole autonomia e indipendenza che possedevano nel periodo precedente, quello nepiano, e divennero dei servi di Stato. Lo stato infatti, costringendo i contadini a farsi collettivizzare, costituì i kolchoz al solo scopo di servirsene come strumenti per la raccolta dei prodotti agricoli. Perciò, sempre secondo i socialdemocratici, avendo il contadino perso le proprie caratteristiche autonome e indipendenti (la proprietà individuale del terreno dei prodotti e la, seppur parziale, possibilità di commerciare) ed essendo costretto a lavorare in modo forzato per il solo padrone lo stato sovietico, cambia evidentemente la sua natura e da libero coltivatore si trasforma in servo della gleba.

Risultato di questo ritorno al servaggio fu una regressione di forme storiche: la società sovietica con la collettivizzazione non avanzò verso una più alta forma di progresso ma regredì verso una passata forma di dominio, il feudalesimo. Lo stato russo si sostituì quindi come unico padrone ai tanti proprietari terrieri esistiti nel passato.

Fornito così lo schema sintetico dell’interpretazione socialdemocratica di questa misura politica economica, analizziamo gli articoli più importanti e pertinenti a questo tema.

Cominciamo l’esposizione con un articolo di Raphael Abramovitch, ex menscevico russo (76). Questo autore mira a mettere in risalto la feroce opposizione che le masse contadine svilupparono contro la crudele e brutale oppressione totalitaria operata dallo stato sovietico con la collettivizzazione nelle campagne:

“Ne seguì una battaglia che fu una guerra civile non dichiarata. Migliaia di piccoli e sparsi contadini si rivoltarono in questo periodo ed avvennero ammutinamenti nell’armata rossa.” (77)

I contadini, infatti, ribellandosi a questa misura dispotica e liberticida, distrussero un enorme quantità di merci macellate, un ingente numero di capi di bestiame. Ne seguì una terribile carestia che provocò la morte di 4 – 5 milioni uomini. Lo stato, alla fine, la spuntò sui contadini, dimostrando:

“come l’irresistibile potere di una moderna dittatura possa essere applicato brutalmente, senza restrizioni, contro un popolo demoralizzato e reso materialmente e politicamente impotente dalla completa mancanza di libertà politica.” (78)

Lo stato totalitario dittatoriale, padrone delle leve politiche, si impadronì anche di quelle economiche: “Il governo assoggettò i contadini ribelli alla sua volontà e si fece padrone anche dell’economia rurale.”

La collettivizzazione delle terre fu operata a tutto favore dello Stato e della ‘nuova democrazia’ (l’espressione è di Abramovich) che ne detiene i poteri.

Anche Pagliari in un suo articolo (79) sottolinea il carattere violento e terroristico dell’operazione:

“La collettivizzazione verrà realizzata col terrore puro e semplice, con le deportazioni e le esecuzioni in massa.” (80)

E, sostenendo che la collettivizzazione fu la premessa indispensabile per lo sviluppo dell’industria, afferma che il fine di questa operazione nelle campagne fu quello di creare degli strumenti docili alle esigenze del governo, cioè adatti allo scopo della requisizione e consegna obbligatoria dei prodotti agricoli:

“Il punto di partenza dell’industrializzazione forzata è infatti la collettivizzazione, nominalmente volontaria, di fatto coatta, dei contadini, falliti anche questa volta tutti i sistemi di requisizione e consegna obbligatoria, gli ammassi obbligatori dei prodotti agrari, difficili da applicare ad un numero sterminato di piccole aziende.” (81)

Risultato finale, secondo Pagliari, dell’ordinamento kolkoziano è un ritorno puro e semplice alla situazione precedente, non solo alla Rivoluzione russa, ma allo stesso Stolypin (82).

“Coi Kolkhoz si ritorna al punto di partenza, dal quale si era mossa la riforma di Stolypin, ma in senso opposto e riprendendo e potenziando la tradizione nazionale. Anziché far sparire il ‘Mir’ per sostituire la proprietà e la conduzione individuale, lo si trasforma ora col costituirlo in collettività produttiva, in un ‘Artel’ per l’esecuzione dell’agricoltura con mezzi comuni di produzione e con lavoro collettivo.”(83)

‘Ritorno alla situazione precedente’ che può significare tutto sommato due cose:

  1. ritorno alle ataviche comunità di villaggio – il Mir – dove il possesso delle terre era comune e il lavoro sui campi si svolgeva pure in comune
  2. Ritorno al vecchio sistema feudale delle corvée, con la differenza che ai grandi proprietari feudali si sostituì lo stato.

Molto significativa ai fini della tesi che noi stiamo tentando di mostrare (la ripresa e lo sviluppo nel campo socialdemocratico della teoria del collettivismo burocratico) è un’altra idea contenuta nell’articolo di Pagliari: l’affermazione cioè che fu solo a partire dalla collettivizzazione delle terre (e, per converso , come vedremo successivamente, dalla pianificazione del rapido sviluppo industriale del paese) che la burocrazia cresce a dismisura e diventa la dirigente effettiva dell’attività economica dell’intero paese:

“Il fenomeno dell’elefantiasi burocratica tanto nell’industria quanto nell’agricoltura si è fatto conseguentemente più generale nel nuovo ciclo … la burocrazia è diventata nel frattempo un fattore molto potente.” (84)

Quindi: collettivismo sì, dice Pagliari, ma burocratico.

Molto interessanti per le tesi in esse sviluppate sono pure due articoli pubblicati dall’Umanità nel 1948 e firmati con due sigle I.S. e S.Q. (85)

Cominciamo l’analisi dell’articolo I.S, ‘Feudalesimo di stato nei kolkhoz sovietici’. L’autore apre la sua analisi con l’affermazione ormai costante che i kolkhoz furono creati per un motivo fondamentale: “essere anzitutto strumenti per la raccolta dei prodotti agricoli “.

Lo stato sovietico domina così in modo completo, autoritario e totalitario l’economia contadina anche grazie ad un apparato molto esteso di funzionari che controllano e dispongono affinché gli ordini del governo, in materia di consegna dei prodotti agricoli, siano rispettati ed eseguiti. Che i contadini siano insoddisfatti e refrattari a questa forma di sfruttamento statale è evidente da un fatto: nel 1933 a causa del basso rendimento del lavoro agricolo (segno sotterraneo dell’opposizione dei contadini) il paese fu travagliato da una grave carestia che spinse il governo a decretare nel 1934 – ‘35 una concessione di piccoli appezzamenti di terra all’interno del kolchoz ad uso privato delle singole famiglie contadine. La riprova ulteriore del rifiuto dei contadini verso il sistema kolchoziano consiste, sempre secondo I.S., nel fatto che questi piccoli poderi individuali, limitati ad un’estensione minima, raggiunsero, nel giro di 3 o 4 anni, un livello di produttività formidabile (“fornirono un quarto della produzione agricola”):

“Milioni di contadini cominciarono ad evitare di prestare la loro opera nelle aziende collettivizzate. Questo stato di cose nel 1939 provocò aspre misure contro i poderi di proprietà individuale …. In alcuni si pretese che i contadini lavorassero nei loro kolkhoz non meno di 60 giorni l’anno, in altri non meno di 80.” (86)

Si introdusse perciò anche nelle campagne il principio del lavoro coatto e i contadini furono obbligati dispoticamente a fornire la loro manodopera per esigenze dello Stato, il quale utilizzò tra l’altro le stazioni di Macchine e Trattori (MTS) come strumenti di controllo poliziesco e di repressione nei confronti della massa dei contadini. Con le sue parole:

“Dal punto di vista dei contadini, i kolkhoz rappresentarono un terribile strumento simile ad una pompa per estrarre attraverso molteplici canali il frutto del loro lavoro, mentre le stazioni di rifornimento di macchine e di trattori, con le loro suddivisioni politiche, cellule di partito e attività propagandistiche, rappresentavano un mezzo politico di controllo poliziesco sulla vita dei villaggi.”(87)

Ora, anche per l’articolista tutti questi elementi possono ridursi ad una formula, ‘feudalesimo di Stato’:

“Nei riguardi dei contadini il sistema dei kolkhoz ebbe sotto molti riguardi il significato di un ritorno al vecchio ordinamento. Non esisteva più il padrone ma in vece sua c’era il funzionario di stato. I kolkhoz sono stati descritti come la più moderna conquista del XX secolo, ma i principali elementi di cui sono costituiti derivano e non a caso dal più vetusto passato. Un sistema feudalistico-militare.”(88)

Si deve rilevare che, come già per Pagliari, anche per I.S., il funzionario di Stato, il burocrate, si sostituisce in qualità di padrone ai vecchi proprietari terrieri. Lo stato s’impadronisce in questo modo della proprietà della terra e il funzionario statale, diventando il nuovo padrone, fa parte di quella classe che tramite lo stato è diventata proprietaria, evidentemente in modo collettivo, di tutte le terre russe.

L’articolo di S.Q. ‘La superindustrializzazione dell’agricoltura sovietica’ analizza il processo di collettivizzazione delle terre dei contadini da un altro punto di vista. Tende a dimostrare come lo stato sovietico con la collettivizzazione delle terre non avesse l’obiettivo economico di aumentare la produzione agricola, bensì lo scopo politico di controllare strettamente e completamente tutto il corpo sociale (operai e contadini) del paese. L’autore parte dalla constatazione che il contadino ha sempre rappresentato un elemento infido per il potere bolscevico e che l’operazione di industrializzazione e di collettivizzazione dell’agricoltura doveva realizzare lo scopo di sottometterlo completamente alla dittatura statale. L’industrializzazione dell’agricoltura (la produzione dei trattori e degli altri mezzi necessità) richiese infatti un notevole aumento della massa degli operai. Questo aumento della massa operaia più facilmente controllabile dallo Stato sovietico e la conseguente riduzione della poco fidata massa dei contadini, di cui buona parte dovette essere trasferita nella città per le esigenze della produzione industriale, costituisce il bandolo della matassa del problema; lo stato sovietico realizzò così il suo scopo politico di controllare in maniera assoluta il paese:

“Milioni di individui trasferiti nel settore industriale continuano a lavorare per i bisogni dell’agricoltura: essi costituiscono il materiale umano richiesto dall’industria per mettere il settore agricolo in grado di funzionare e di produrre …. Questo è precisamente l’effetto della rivoluzione sociale che viene chiamata collettivizzazione; una contrazione della classe rurale, che politicamente non dà affidamento e quindi dannosa per il regime e un aumento del numero dei lavoratori della città.” (89)

Il trattore, inoltre, sostituitosi al lavoro animale ed essendo di proprietà statale, sottomette ulteriormente la classe contadina dei kolchoz alla tirannia dello Stato: senza il trattore, infatti, tutta l’attività produttiva del kolchoz risulterebbe bloccata:

“Solo quando il trattore si sostituì alla forza animale e divenne non già proprietà dei contadini o dell’azienda collettivizzata ma della più vicina sede statale di rifornimento dei trattori agricoli, il nuovo sistema economico cominciò a corrispondere agli scopi politici che costituivano il presupposto governativo.” (90)

Se tutto questo meccanismo elefantiaco messo in moto con la collettivizzazione delle terre non portò ad un effettivo aumento della massa dei prodotti agricoli, allora il risultato fu uno sperpero di forze produttive (‘energia lavorativa’):

“Questo apparato colossale non mette a disposizione una massa di produzione superiore a quella procurata in precedenza dal lavoro di quasi tutti i contadini messi insieme: in generale il raccolto dei cereali che prima della rivoluzione era stato in continuo aumento, negli ultimi vent’anni non ha segnato un effettivo aumento.” (91)

Ci preme far notare come anche per questo autore il dato centrale e fondamentale, il motore di tutto il processo della collettivizzazione, abbia un solo obiettivo: quello di estendere il controllo statale, dispotico a tutto il paese. Un passo decisivo e importante per la formazione dello Stato totalitario come dicevamo in apertura.

Anche Benedikt Kautsky (figlio di Karl e assiduo collaboratore della rivista) in un articolo (92) sottolinea l’aspetto politico, o meglio, la necessità politica della misura della collettivizzazione. L’esistenza della libera proprietà e del libero commercio del periodo nepiano favorirono il sorgere di gruppi con interessi contrastanti a quelli del regime dittatoriale. Lo stato totalitario sovietico, per salvare sé stesso e il suo potere, dovette distruggere l’autonomia del contadino e riprendere strettamente nelle sue mani il controllo dell’economia rurale:

“La NEP significò lo sganciamento dell’economia agraria dall’influsso dello Stato. Ma il rafforzamento economico dei contadini minacciava la dittatura comunista, perché si formavano dei gruppi sociali i cui interessi stavano in piena contraddizione col dominio del regime. I successori di Lenin non avevano altra scelta tra liquidare a poco a poco la dittatura comunista o prendere di nuovo in pugno più che mai le redini dell’economia statale. L’agricoltura per mezzo dei kolchoz fu sottoposta all’influenza statale e contemporaneamente all’industria, il commercio ed i traffici passavano in assoluta proprietà dello Stato.” (93)

Concludiamo questa rassegna con un accenno ad un autore già noto, Schreider (94). L’autore infatti accennando al fatto che: “l’ordinamento coercitivo del lavoro nei kolkhoz trasforma i contadini in operai agricoli sottoposti ad una specifica, militare regolamentazione disciplinare” (95), postula di conseguenza l’esistenza del servaggio nelle campagne russe, del tutto simile a quello dei servi della gleba.

Sintetizzando possiamo riassumere in questo modo: col 1929 la burocrazia di stato concentra nelle sue mani tutto il potere economico in campo rurale e sottomette i contadini alla propria macchina di sfruttamento del tutto simile a quella feudale.

Note:

76 – Raphael Abramovich Dall’utopia socialista all’impero totalitario in “Critica Sociale”, 16 dicembre 1947.

77 – Ibidem

78 – Ibidem

79 – Pagliari Industrializzazione …. art. cit.

80 – Ibidem

81 – Ibidem

82 – Stolypin aveva tentato di favorire la crescita di una borghesia agraria, distruggendo gli antichi vincoli gravanti sulle terre stimolando i più intraprendenti tra i contadini ad ingrandirsi e svilupparsi in senso capitalistico. Confronta a questo proposito l’opera dello storico Huge Seton Watson “Storia dell’impero russo”, ed. Einaudi, Torino 1971 pp. 592 e segg.

83 – Pagliari Industrializzazione …. art. cit.

84 – Ibidem

85 – Il motivo dell’uso della sigla al posto del nome è forse chiarito da un fatto che approfondiremo in seguito, ma che mi sembra utile accennare già qui. Tutti e due gli articoli sono la risposta alle tesi sviluppate questo proposito da Dallin nel suo libro “La vera Russia dei sovieti”, Rizzoli, Roma 1947. Il secondo articolo, infatti, a firma S. Q., è addirittura un puro e semplice esercizio di riscrittura di alcuni brani del testo di Dallin.

86 – I.S. Feudalesimo nei kolchoz sovietici in “L’Umanità”, 11 luglio 1948

87 – Ibidem

88 – Ibidem

89 – S. Q. La super industrializzazione dell’agricoltura sovietica in “L’Umanità”, 11 luglio 1948

90 – Ibidem

91 – Ibidem

92 – Benedict Kautsky Tendenze evolutive del comunismo in “Critica Sociale”, 16 agosto – 1° settembre 1948

93 – Ibidem

94 – Schreider Una vite senza fine il sistema del cottimo in “L’Umanità”, 16 ottobre 1948

95 – Ibidem