CRAXI IERI COME OGGI? E IL FUTURO DEL SOCIALISMO ITALIANO

di Christian Vannozzi |

16 anni, dal luglio 1976 al febbraio 1993, periodo in cui forse l’Italia, a prescindere da quanti per sentito dire possano pensarla diversamente, ha forse raggiunto il suo apice economico, un livello che oggigiorno sembra un sogno e uno Stato Sociale che ormai sembra un miraggio, non perché non si possa replicare, ma perché ormai decenni di liberalismo sfrenato e privatizzazioni rendono nelle nuove generazioni quasi impensabile uno Stato come quello che esiste in Germania o in Danimarca.

Il craxismo come causa della crisi economica italiana anni ’90 e primo decennio del 2000, anni dominati dal Berlusconismo, intervallati dalle parentesi Prodiane e dal breve regno di D’Alema, secondo esponente di sinistra al Governo italiano e forse il più liberale a livello economico di quanto non lo siano mai stati i ‘vecchi liberali’ al Governo ai tempi del Pentapartito.

Gli anni ’80 hanno visto in Italia la grande cavalcata del PCI, guidato dal miglior segretario politico dell’epoca, quell’Enrico Berlinguer che ha segnato gli anni della svolta di un partito politico che decise di togliere le ben piazzate ancore che aveva nell’Unione Sovietica per aprire a un comunismo europeo e se non proprio democratico almeno non dittatoriale come lo era stato quello russo. Competere con un simile Partito Comunista era assai arduo per un piccolo PSI che, purtroppo, nella storia italiana, ha sempre dovuto barcamenarsi tra i due colossi storici del ‘bipartitismo imperfetto’ italiano, che lasciavano forse solo le briciole agli altri partiti, ma anche queste possono trasformarsi in nutrimento, bastava infatti ben calcolare il peso di queste ‘briciole politiche’ specialmente se queste potevano diventare un contorno, un bel contorno essenziale per una compagine politica e per poter dettare la propria via allo sviluppo della Penisola, uno sviluppo non solo economico ma anche sociale.

“Primum vivere” fu il suo orgoglioso slogan. E cominciò la battaglia per svecchiare il partito e per l’egemonia a sinistra, contro un avversario che sembrava imbattibile e che stava aprendo una nuova via per la Sinistra italiana, quel Berlinguer citato prima che aveva senza dubbio delle enormi qualità e ha segnato, sicuramente in positivo, la storia d’Italia, avviandola verso la democrazia contro ogni sorta di dittatura, sia di destra che di sinistra.

Il compromesso storico tra DC e PCI poteva segnare la fine del socialismo italiano, in quanto se i due maggiori partiti italiani si fossero alleati non ci sarebbe più stata storia per gli altri partiti, a meno che non si riuscisse a prospettare una nuova via, qualcosa di nuovo che potesse scardinare le solide basi dove poggiavano i due più grandi partiti della storia italiana. Occorreva scontrarsi sulle stesse basi culturali della Sinistra italiana, non bastava più il dissociarsi con i diktat di Mosca, cosa che già aveva fatto anche il PCI, ma rivedere le stesse basi del socialismo europeo, a iniziare da Karl Marx, illustre teorico e filoso del socialismo che però era ormai terreno di conquista dei comunisti, per questa ragione la svolta ideologica doveva passare per Pierre Joseph Proudon, filosofo, sociologo e anarchico francese che ha senza dubbio fatto conoscere il socialismo in Europa, prospettando un nuovo sistema economico e sociale simile ma alternativo a quello di Marx, come voleva appunto essere il PSI.

La sostituzione della Falce e del Martello con il Garofano rosso sul simbolo del partito è senza dubbio la svolta epocale di una formazione politica che non voleva più essere suddita della tradizione comunista italiana ma essere qualcosa di nuovo, per i lavoratori e per lo Stato, abbinando la lotta politica e sociale a quella per i diritti civili, in modo da ‘svecchiare’ non solo il partito ma l’intera Penisola, troppo ancorata alle tradizioni cattoliche e quasi incapaci di svincolarsi da qualcosa di talmente tanto radicato nelle menti da sembrare quasi un dogma.

La caduta politica della Dc alle elezioni del 1983 permise il rafforzamento degli altri partiti della coalizione di Governo. A uscirne più forte fu proprio il PSI di Bettino Craxi che ottenne da un altro socialista, Sandro Pertini, eroe della Resistenza, eletto Presidente della Repubblica nel 1978, l’anno che vide la morte dell’onorevole Aldo Moro, forse a causa di quella linea dura voluta così energicamente da Andreotti e da Berlinguer e invece contrastata da quel Craxi, che voleva invece trattare con i terroristi per non abbandonare al suo destino uno dei maggiori politici che l’Italia abbia mai avuto, l’incarico di formare il nuovo Governo, per poi ottenere la fiducia alle camere, che si mostrarono pronte ad avere una guida non democristiana a Palazzo Chigi.

Una volta salito alla Presidenza del Consiglio i problemi internazionali italiani vennero subito alla luce, tra cui quelli relativi alla sudditanza della Penisola nei confronti della potenza Statunitense, sia per la sconfitta (chiamata da alcuni liberazione) nella Seconda Guerra Mondiale, sia per il Piano Marshall, che ha reso si possibile la ripresa dell’Italia ma al prezzo di una subordinazione politica ed economica che ancora oggi pesa al nostro Paese.

Continuando la politica atlantista del suo partito politico anche Craxi diede una forte impronta atlantista al suo segretariato, avvallando al decisione dell’istallazione in Italia dei missili Cruise statunitensi, ma senza però rinunciare alle proprie idee per quanto riguarda i Paesi dell’America latina e soprattutto sulla questione palestinese, dove il PSI mostrò una nuova via rispetto agli alleati della DC. Decisione per mostrare la sua linea internazionale il Premier l’ebbe subito a Sigonella nel settembre del 1985, quando non permise ai marines di arrestare i terroristi palestinesi guidati da Abu Abbas, responsabili del sequestro dell’Achille Lauro. Mostrando la sua simpatia verso la causa palestinese e creando uno sgarro col Governo statunitense.

L’avventura di Bettino Craxi alla guida del Governo italiano durò fino al 17 aprile 1985, conquistando un record per un Premier della Repubblica Italiana ben 1058 giorni, record infranto dai due Governi Berlusconi, il II, di ben 1409 giorni, dall’ 11 giugno 2001 al 23 aprile 2005 e dal IV, 1283 giorni dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011, terminato con le dimissioni del leader di Forza Italia e con l’avvento del Governo Monti di lacrime e sangue, dopo una vera e propria ecatombe economica portata avanti dal Cavaliere.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 doveva segnare la svolta della Sinistra italiana, con l’ascesi definitiva del PSI e la caduta del PCI, e la formazione di un unico partito socialdemocratico sulla scia di quello tedesco e di quelli del Nord Europa. La creazione del PDS in luogo del vecchio PCI faceva presagire a una nuova Unità Socialista che comprendesse tutti i partiti di sinistra democratici.

Tangentopoli, indagine sorta proprio nel momento giusto, ovvero proprio quando il PSI poteva formare una nuova maggioranza laica che avrebbe potuto escludere la DC, o almeno parte di essa, e iniziare un processo di modernizzazione economica e sociale che serviva per rilanciare un Paese in cui l’economia iniziava a stagnare, ha fatto si che il sogno dell’Unità Socialista svanisse, in un nulla di fatto, lasciando libero il campo non alla sinistra post comunista, come credevano gli italiani dell’epoca, ma a due ‘nuove’ formazioni politiche, la Lega e Forza Italia, che nel ’94 coalizzate assieme ai post fascisti di Alleanza Nazionale posero fine alla Prima Repubblica, considerata il covo delle tangenti e della corruzione, senza presagire a quello che ci sarebbe stato dopo.

Il PSI con l’uscita di scena di un Craxi, divenuto capro espiatorio di tutte le problematiche italiane, non si capisce bene perché, ma fu così, come se un uomo solo potesse affondare un Paese, e da semplice leader di partito, dato che non era più Premier da diversi anni.

Evidentemente serviva un nome, qualcuno che dovesse pagare, e quel qualcuno è stato il leader socialista, che invece di trionfare dopo la caduta del socialismo dittatoriale dell’Unione Sovietica ne ha seguito le sorti, forse perché personaggio scomodo, non gradito dalle potenze internazionali dell’epoca, ovvero gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, oppure semplicemente perché in Italia con la caduta del blocco comunista non serviva più un alternativa a Sinistra, o un contenitore per i lavoratori non comunisti e non strettamente legati alla CGIL.

La diatriba Craxi-Martelli non giovò poi al PSI, che fu guidato da personaggi politici minori allo stesso Martelli, per finire nel dimenticatoio di un voto che si disperse parte in Forza Italia e parte nei piccoli partitini di derivazione socialista. A differenza di quanto accadde nel resto d’Europa il socialismo in Italia era finito.

Qual è il futuro del socialismo italiano?

A questo punto a decenni ormai di distanza dalla caduta del craxismo, non rimane che interrogarsi sul socialismo in Italia oggi, per voltare pagina, o per come la vedo io, per continuarla, per scrivere ciò che ancora non è stato scritto e che passa per la penna di Turati, Matteotti, Nenni, Pertini, Lombardi, Craxi, perché il socialismo in Italia esiste, anche se è sommerso e tutti i lavoratori, anche quelli italiani, hanno il diritto di avere un partito politico che li rappresenti e possa tutelarli, come accade nel resto d’Europa, un Europa che a differenza degli Stati Uniti si basa su forti radici socialdemocratiche con una tradizione socialista più che centenaria che è ben espressa in Paesi come Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Danimarca e Svezia, ma che non riesce a emergere in Italia, forse perché ci hanno fatto credere che lo Stato Sociale non può esistere, che come negli Stati Uniti dobbiamo pensare alle privatizzazioni estreme e al libero mercato, perché quello è il futuro, l’economia liberale estrema, senza il controllo statale, dove i soldi regnano sulle disgrazie delle persone.