UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA
“Il dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”
RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI
Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343
ANNO ACCADEMICO 1978-1979
PARTE PRIMA
I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO
d) Pianificazione, industrializzazione e stato totalitario
La tesi svolta dagli autori socialdemocratici a questo proposito è questa: lo stato sovietico e, attraverso questo la classe che lo controlla, si è impadronito, grazie alla pianificazione, di tutti i meccanismi dell’economia industriale, li controlla e li determina rigidamente. Il 1929, anno in cui entrò in vigore il primo piano quinquennale, è anche da questo punto di vista considerato l’anno cruciale della formazione dello Stato totalitario, dello Stato cioè padrone di tutta la società e di tutti i suoi meccanismi politici ed economici.
Mi sembra utile anticipare le tesi centrali ricorrenti in tutti quei contributi che, avendo la caratteristica dell’articolo, si presentano sparsi e settoriali. Sintetizzando: 1) lo stato, grazie alla pianificazione, sottomette al suo controllo e dominio anche l’economia industriale oltre a quella agricola.
Per mezzo del piano, infatti, la burocrazia statale determina fin nei minimi particolari quasi tutti gli aspetti della produzione (quando e come si deve produrre, prezzi di vendita, salari, eccetera). Questo porta ad un tipo di economia non più capitalista (in quanto le leggi classiche del mercato non hanno più riscontro) ma di tipo burocratico statale. 2) lo stato si servì della pianificazione per imporre al paese un ritmo alquanto sostenuto di sviluppo industriale. 3) a causa della povertà di beni economici e di capitali disponibili nel paese, chi pagò il prezzo di questa industrializzazione a tappe forzate fu l’operaio, che dovette subire uno sfruttamento uguale o forse anche peggiore a quello subito dal suo fratello occidentale nel periodo iniziale dello sviluppo capitalistico, il periodo dell’accumulazione primitiva. 4) la classe che invece ricavò maggiori benefici dall’industrializzazione del paese e che orientò la pianificazione secondo i propri interessi fu la burocrazia.
Produzione di beni di lusso e di armamenti furono gli obiettivi che questa classe impose alla pianificazione, caratterizzando di conseguenza l’intera economia in senso bellico e militarista, cosa che rispondeva ai bisogni di aggressione di conquista della burocrazia statale. 5) il risultato conseguente di questa politica economica fu l’inevitabile e costante compressione dello sviluppo dell’industria leggera a tutto vantaggio dell’industria pesante e degli armamenti. Ne risulta che tutto il popolo lavoratore non è sfruttato solo a livello della produzione (bassi salari per permettere lo sviluppo industriale), ma anche a livello dei consumi (estrema scarsezza dei beni di prima necessità).
6) la conclusione di queste premesse è inevitabile: l’economia pianificata sovietica non può essere il modello di un’economia socialista, ma di un altro tipo di società, diversa da quella capitalista, la società totalitaria, statalista, burocratica; nuovo modello politico economico caratterizzato dall’ onnipotenza statale sia nel campo politico come nel campo economico.
Riportiamo ed analizziamo i vari articoli che Critica sociale e il quotidiano del partito dedicarono all’argomento, tenendo sempre presente questa scaletta come strumento d’ordine.
Il primo articolo di cui ci occuperemo è quello di Hilferding, scritto nel 1940 (prima della sua morte avvenuta nel 1941 tra le mani della Gestapo) e riproposto da Critica sociale nel 1947 (96), e non senza ragione: l’articolo infatti, oltre ad essere molto acuto e profondo, collima strettamente con quella tesi che noi abbiamo indicato essere il fulcro del pensiero socialdemocratico del periodo, la tesi del ‘totalitarismo statale burocratico’. L’articolo è ricchissimo di temi che cercheremo di indicare con ordine. Innanzitutto, sostiene il socialdemocratico tedesco, il sistema economico sovietico non è di tipo capitalista, ma è caratterizzato dal totalitarismo statale. Lo stato determina e controlla tutti i meccanismi economici:
“Soggiogare l’economia alle proprie intenzioni fa parte dell’essenza stessa di uno stato totalitario.
L’economia è privata delle sue stesse leggi e diventa un’economia controllata.” (97)
Attraverso il piano la commissione pianificatrice esercita il proprio controllo e il proprio dominio sull’economia. L’economia perde quindi le proprie caratteristiche autonome tipiche del sistema capitalista, dove è proprio l’indipendenza dalle leggi del mercato e della libera formazione dei prezzi a determinare il classico ‘cosa, come e in quale quantità si deve produrre’, per diventare strettamente subordinata allo stato per il tramite della pianificazione. La pianificazione sovietica è quindi, per Hilferding, uno strumento indispensabile allo stato totalitario. Dice infatti molto esplicitamente l’autore:
Un’economia capitalista è un’economia di mercato. I prezzi che derivano dalla competizione tra i proprietari capitalisti determinano che cosa e in che quantità si è prodotto, qual parte del profitto è stata accumulata e in quali particolari branche della produzione avviene questa accumulazione …. Un’economia capitalista è governata dalle leggi del mercato (che Marx ha analizzato) e l’autonomia di queste leggi costituisce il segno decisivo del sistema capitalistico di produzione. Un’ economia di Stato tuttavia elimina precisamente l’autonomia delle leggi economiche. Essa presenta un’economia non di mercato ma di consumo. Non è più il prezzo, bensì una commissione statale pianificatrice, che in questo caso stabilisce che cosa si deve produrre e come.” (98)
E più avanti:
L’economia, e con essa gli esponenti dell’attività economica, sono più o meno soggetti allo stato, diventando suoi subordinati. L’economia perde il primato di cui godeva nella società borghese.” (99)
L’economia totalitaria di Stato è quindi nella sua struttura ben diversa dall’ economia capitalista. Se anche alcuni termini tipici dell’economia borgese (come prezzo, salario ed accumulazione) persistono nel linguaggio ufficiale sovietico, questi sono però completamente trasformati, fino a perdere le loro caratteristiche tipiche. Salari e prezzi essendo determinati rigidamente dalla commissione pianificatrice statale perdono il loro carattere di funzioni dell’autonomo meccanismo delle leggi di mercato per trasformarsi in mezzi di distribuzione stabiliti dal potere statale.
Mentre l’accumulazione sovietica, sostiene ancora Hilferding, non è più accumulazione di capitale (come di necessità in tutte le economie capitalistiche), ma accumulazione di mezzi di produzione e di prodotti. È infatti solo attraverso il meccanismo di mercato, caratterizzato dalla relazione denaro-merce-denaro, che si verifica l’evento proprio dell’economia capitalistica: il capitale che, investito in una determinata quantità di merci, si ritrova alla fine del processo mercantile aumentato. Dice infatti il Hilferding:
“Formalmente prezzi e salari continuano ad esistere, ma la loro funzione non è più la stessa; essi non determinano più il processo di produzione, che ormai è controllato dal potere centrale, il quale fissa prezzi e salari. Prezzi e salari diventano mezzi di distribuzione in quanto stabiliscono la parte che ogni individuo riceve del complesso dei prodotti che il potere centrale mette a disposizione della società. Essi costituiscono una forma tecnica della distribuzione che è più semplice della diretta assegnazione individuale di prodotti che non possono più essere considerati merci. I prezzi diventano simboli della distribuzione, cessano di essere un fattore regolatore dell’economia. Mentre si mantiene la forma, è avvenuta una completa trasformazione della funzione.” (100)
E, riferendosi ai meccanismi dell’accumulazione:
“Marx si è riferito all’accumulazione di capitale, di una sempre maggior somma di mezzi di produzione che producono profitto ed appropriazione da parte di chi fornisce la propria forza motrice all’economia capitalistica. In altre parole, egli si riferisce all’accumulazione di valore che crea il plusvalore, cioè ad un processo specificatamente capitalistico di espansione dell’attività economica. D’altra parte, l’accumulazione dei mezzi di produzione e dei prodotti è tanto lontana dall’essere una caratteristica specifica del capitalismo che ha una parte decisiva in tutti i sistemi economici, eccetto forse nella primitiva forma di collettivismo. In una economia di consumo, in una economia organizzata dallo stato, non vi è un’accumulazione di valori, ma un’accumulazione di beni di consumo: prodotti di cui il potere centrale ha necessità per soddisfare i bisogni dei consumatori. Il semplice fatto che l’economia statale russa accumula non la fa diventare un’economia capitalista, poiché non è il capitale che viene accumulato.” (101)
Hilferding, quindi, dalla constatazione della sostituzione del mercato con il principio della pianificazione ricava la prova della fine del sistema capitalistico in Urss e della nascita di un nuovo regime caratterizzato dal dispotismo e dal totalitarismo statale. Ma qual è la classe e quali sono quindi gli interessi che si affermano attraverso la pianificazione sovietica? Hilferding è chiaro:
“La politica è attualmente determinata dalla cerchia di coloro che sono al potere. Sono i loro interessi, le loro idee e tutto quanto occorre per mantenere, sfruttare e rafforzare il loro potere ciò che determina la politica che essi impongono come legge all’economia subordinata.” (102)
Inoltre, conclude Hilferding, questa economia né capitalista né socialista ha dei tratti fortemente simili ai regimi fascisti e nazisti:
“La controversia se l’economia sovietica sia capitalista o socialista sembra a me piuttosto insulsa. Essa rappresenta un’economia totalitaria di Stato, cioè un sistema al quale l’economia della Germania nazista dell’Italia fascista si sono venute sempre più avvicinando.” (103)
L’affermazione che la scomparsa del mercato in Russia e la sua sostituzione con il principio della pianificazione burocratica abbia costituito un momento fondamentale della trasformazione dello Stato russo in stato totalitario è comune a molti autori socialdemocratici che sottolineano tra l’altro il grave danno subito dai consumatori e dagli operai nella scomparsa del mercato stesso.
Francesco Milani su Critica sociale afferma:
“L’economia totalitaria di Stato della Russia non può ammettere quel mercato libero che favorisce la categoria dei consumatori, di cui una gran parte è rappresentata dalle masse operaie.” (104)
Un altro autore, Pagliari, nella lunga serie dei suoi articoli, sottolinea i gravissimi sacrifici imposti a tutto il paese durante l’opera di industrializzazione a tappe forzate. Chi però sopporta il peso di questa realizzazione furono, a suo parere, le classi più umili della società: contadini e operai, i quali furono costretti a fornire quel plusvalore indispensabile allo sviluppo dell’industria del paese. Uno degli elementi fondamentali sul quale i pianificatori sovietici fecero quindi affidamento per accumulare ricchezza furono i salari, che subirono di conseguenza una compressione senza precedenti:
“Il regime bolscevico procedette a fare tutto ciò che il padre del socialismo condannava nell’industrializzazione iniziale dell’Inghilterra e il salariato diventò uno strumento nelle mani di un governo che bruciava le tappe e si curava poco di sapere quanto tempo lo strumento avrebbe potuto durare, finché serviva ai suoi scopi.” (105)
Evidentemente, oltre la compressione dei salari e del livello di vita dei contadini, il governo sovietico ricorse, come già sappiamo, all’espediente del lavoro forzato, considerato il metodo più spiccio per estorcere ‘plusvalore’ (106) in maniera massima. Ma, dice in un altro articolo Pagliari (107), questi pesanti sacrifici sopportati dai lavoratori non hanno portato dopo un periodo di sofferenze all’eliminazione delle cause di diseguaglianza e dei privilegi di classe, ma ad un tipo di regime nel quale la burocrazia, tramite lo stato, si è impadronita del potere economico e dei mezzi di produzione, che controlla attraverso la pianificazione dell’economia. Ne è nata, secondo Pagliari, una nuova forma di società divisa in classe:
“Le conseguenze economiche della pianificazione sovietica sono altamente istruttive per giudicare non in astratto, ma in concreto, quel particolare tipo di pianificazione che è stato chiamato con vari nomi: dittatura totalitaria o economia di Stato totalitario, collettivismo burocratico, una nuova società a classi.” (108)
Il fatto che l’economia sovietica sia pianificata in modo autoritario dallo stato e dalla burocrazia porta, secondo l’articolista, a delle conseguenze inevitabili: la scomparsa del mercato (sistema democratico rivolto al massimo soddisfacimento dei bisogni) e la sua sostituzione col principio dell’imposizione autoritaria dall’alto:
“Rispetto al metodo democratico dell’economia di mercato, rivolta al
massimo soddisfacimento dei bisogni presenti sentiti
in un determinato momento, un’economia pianificata autoritaria ha per i suoi
fautori appunto il vantaggio di poter dare alla popolazione ciò di cui essa
deve avere bisogno, voglia o non voglia e costi quel che costi.” (109)
Come si vede anche per Pagliari, come per Hilferding e per Milani, la scomparsa del mercato diventa un elemento significativo della formazione dello Stato totalitario burocratico.
Un’altra conseguenza inevitabile del controllo dispotico dello Stato sull’economia attraverso la pianificazione è l’orientamento della produzione in senso bellico e lo sviluppo di un’economia di guerra. La classe burocratica, al fine di conservare il proprio dominio e di estenderlo, ha come primo obiettivo quello di rafforzare la potenza e sviluppare l’estensione dello Stato, dei cui poteri essa è depositaria. Conseguenza inevitabile di tale politica economica sarà la compressione dell’industria dei beni di consumo a tutto favore dello sviluppo elefantiaco dell’industria primaria, dei mezzi di produzione e degli armamenti. Sarà questa una costante caratteristica dei piani quinquennali sovietici, non solo prima e durante il conflitto mondiale, quando cioè esistevano motivi tali da giustificare quel tipo di politica economica, ma anche a guerra finita, quando si poteva e si doveva privilegiare la produzione dei beni di consumo per risollevare le misere condizioni di vita del cittadino sovietico:
“Assicurare l’accrescimento ulteriore della capacità di difesa dell’URSS, dotando le forze armate dell’Unione sovietica degli strumenti bellici più moderni, figurerà tra gli scopi primari del quarto piano quinquennale in corso, rimasto fedele all’orientamento costante della politica economica anteguerra che sacrifica, come i precedenti, la produzione di beni di consumo a quella delle materie prime e dei mezzi di produzione, all’industria pesante e alle industrie di guerra.” (110)
E, in un altro articolo:
“L’alta parte assegnata nel nuovo piano quinquennale alla ricostruzione e al potenziamento dell’industria di guerra con sacrificio delle industrie di consumo fa ancora del resto, come nel primo piano quinquennale, dell’economia russa un’economia di guerra.” (110 bis)
Pianificazione statale sovietica-economia di guerra: questa è l’equazione che lancia Pagliari dalle pagine di Critica sociale e che sarà ripresa in più articoli sull’Umanità del 1948. In particolare, tutta una serie di articoli non firmati dal titolo ‘Il pericolo di guerra’ (111), riprendono e allargano questa teoria. Dopo aver detto che il tipo di pianificazione sovietica presenta le caratteristiche di una forte autarchia dovuta al dominio dispotico dello Stato sull’economia, l’autore trae la conclusione che questo tipo di pianificazione cova inevitabilmente la guerra:
“Ogni dittatura politica, sotto qualunque etichetta si presenti, implica un pericolo di guerra. Essa l’implica tanto più quanto più la sua economia è un’economia di guerra, com’è il caso della Russia dei piani quinquennali …. La politica adottata da Stalin nel 1928 ha provocato il fallimento inevitabile di ogni programma economico su scala europea e con ciò essa ha reso inevitabile la Seconda guerra mondiale. Il primo piano quinquennale stabilito dopo la vittoria sulla Germania è senza alcun dubbio un piano di guerra. Esso si pone sotto l’esigenza del comunismo in un solo paese ed ha ancora più accentuato i caratteri di rottura, di divisione del mondo in blocchi opposti e inconciliabili, che già avevano i piani precedenti.” (112)
Compito dei socialisti nella preparazione del piano economico sarà quindi, per la articolista socialdemocratico, quello di garantire la società e l’economia dall’onnipotenza statale, perché è solo sconfiggendo il totalitarismo statale e difendendo la democrazia anche nella pianificazione economica che si potrà evitare il pericolo di guerra e si potrà edificare la vera società socialista:
“I socialisti fedeli al socialismo hanno insistito sulla necessità di non trascurare, nell’elaborazione e nella messa in cantiere di un piano, un fattore politico essenziale: quello della garanzia contro l’onnipotenza dello Stato. Essi si sono rifiutati di scindere la lotta contro la crisi dalla lotta per la libertà.” (113)
Concludo la rassegna con un interessante articolo apparso sull’Umanità dal 21 marzo 1948 (114). È questo articolo quasi un compendio della teoria di Rizzi, passato attraverso Burnham. Lo stato, per Mariottini, l’autore, regola ormai la produzione attraverso il piano che è lo strumento grazie al quale la burocrazia controlla e domina l’intera economia. Con la nazionalizzazione dei mezzi di produzione la burocrazia statale ha distrutto la proprietà privata capitalistica per sostituirla con quella statale, collettiva, detenuta da tutta la classe burocratica nel suo complesso:
“L’economia di Stato regola nel suo complesso la produzione secondo un piano, che più non corrisponde al fine del profitto immediato, né sorge dall’iniziativa personale del privato capitalista, né concede ad esso il beneficio dei diritti di proprietà individuale …. L’economia di Stato non conduce alla società socialista. È vero che essa segna la fine e la sostituzione dell’economia capitalista, ma la società cui dà vita, pur non essendo più una società capitalistico borgese, non è sotto nessun aspetto una società socialista. E’ la nuova società in cui il plusvalore, ciò che potrebbe essere inteso come il vecchio profitto dei capitalisti, va direttamente ad una determinata classe dirigente e privilegiata che ha già espropriato i capitalisti, in nome dello stato, degli strumenti di produzione, che ha abolito la proprietà privata per istituire quella dello Stato, che però, dirigendo e controllando lo stato, esercita in definitiva per proprio conto diritti di preferenza del tutto analoghi a quelli dei capitalisti.” (114 bis)
La tesi del totalitarismo statale e della proprietà collettiva dei mezzi di produzione da parte della classe dei ‘dirigenti’ è chiaramente enunciata e sottoscritta. Anche Mariottini definisce la società sovietica come:
“Una società nuova schiavistica, società del privilegio, società che pone al posto degli schiavi del salario gli schiavi della fabbrica.” (115)
Inoltre, Mariottini indica anche una catena consequenziale negli sviluppi successivi dell’economia di Stato, propria non solo al bolscevismo ma anche ai regimi fascista e nazista:
“Gli sviluppi progressivi dell’economia di Stato non mancheranno di ripetere fedelmente, ad uno ad uno, i momenti caratteristici presentati, per citare esempi vicini, dal fascismo e dal nazismo: stato dittatoriale, autarchia, sviluppo della potenza economica e militare, guerra.” (115 bis)
Note:
96 – Rudolf Hilferding Capitalismo di Stato o economia totalitaria di Stato? In “Critica Sociale”, 16 agosto 1947
97 – Ibidem
98 – Ibidem
99 – Ibidem
100 – Ibidem
101 – Ibidem
102 – Ibidem
103 – Ibidem
104 – Francesco Milani Crisi del capitalismo e crisi della civiltà in “Critica Sociale”, 16 novembre 1947.
105 – Pagliari Accumulazione …. art. cit.
106 – Il termine plusvalore è da me messo tra virgolette in quanto il termine valore ha un’esistenza reale solo in un’economia di mercato capitalistica. Per quanto riguarda l’economia sovietica è più corretto l’uso del termine plusprodotto. Se ne riparlerà in seguito.
107 – Pagliari Sindacati operai …. art.cit.
108 – Ibidem
109 – Pagliari La pianificazione …. art. cit.
110 – Pagliari Accumulazione …. art. cit.
110 bis – Pagliari Imperialismo …. art.cit.
111 – Il pericolo di guerra in “L’Umanità”, 11 aprile 1948; 8 aprile 1948; 29 aprile 1948.
112 – Il pericolo …. art. cit.
113 – Ibidem
114 – Mariottini Capitalismo privato o capitalismo di Stato in “L’Umanità”, 21 marzo 1948.
114 bis – Ibidem
115 – Ibidem
115 bis- Ibidem
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