NATURA DELLO STATO SOVIETICO, CLASSE DIRIGENTE E STRUMENTI DI DOMINIO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

e) Natura dello stato sovietico, classe dirigente e strumenti di dominio

Nei paragrafi precedenti abbiamo già anticipato per accenni la conclusione cui gli autori socialdemocratici tendono in tutti i loro articoli: la dimostrazione che lo stato sovietico, attraverso

l’affermazione sempre più pesante e profonda del suo dominio su tutte le istanze della società civile, ha prodotto un regime che un abisso enorme divide dal socialismo e alla cui direzione si trova una nuova classe sfruttatrice rappresentata dalla burocrazia. È quindi giunto il momento di analizzare nei particolari questi due ultimi problemi

1- natura dello Stato sovietico

L’URSS non è socialista, gridano in coro i socialdemocratici. L’eliminazione della proprietà privata e la nazionalizzazione dei mezzi di produzione non costituiscono affatto ‘segni’ di natura socialista, ma di una natura del tutto apposta, totalitaria e dispotica. Non è infatti la statizzazione, coercitiva e burocratica, operata dallo stato che pone le basi del socialismo ma la socializzazione dei mezzi di produzione stessi. In altre parole, solo l’autogestione delle fabbriche da parte degli operai attua quei principi di democrazia e di libertà che un dispotico e tirannico potere statale calpesta e distrugge.

Cominciamo l’analisi degli articoli iniziando da quelli riferiti alla distribuzione, ritenuta fondamentale, fra i concetti antitetici di statizzazione e socializzazione. Pietro Battara sottolinea decisamente il fatto che la statizzazione burocratica è una forma di sfruttamento, antidemocratica e totalitaria:

“Per noi socialisti la socializzazione è uno strumento per l’instaurazione della democrazia economica mentre la statizzazione burocratica è una forma di sfruttamento e asservimento uguale e talvolta anche peggiore di quella capitalistica. Se al capitalista privato si sostituisce lo stato, la classe lavoratrice resta ancora e soltanto oggetto nel ciclo produttivo e la possibilità di autodeterminazione del suo essere sociale rimane ancora una volta preclusa: è chiaro che la classe lavoratrice non ha fatto un passo in avanti nella conquista delle sue rivendicazioni ed anzi ha fatto un passo indietro.” (116)

Anche J. Schreider mette in rilievo il fatto che la distinzione tra socializzazione e statizzazione va fatta risalire ai primi teorici della socialdemocrazia tedesca. La critica del modello russo non implica di conseguenza solo il rifiuto delle particolari misure prese dal governo bolscevico, ma una posizione inconciliabile teorica, prima ancora che pratica, tra socialismo da una parte e totalitarismo statale e burocratico dall’altra:

“Nel socialismo europeo ha sempre prevalso l’opinione che statizzazione burocratica e socializzazione socialista siano cose ben diverse …. Cosicché al congresso del 1892 della socialdemocrazia tedesca fu approvato l’ordine del giorno in cui leggiamo le seguenti dichiarazioni: ‘la democrazia sociale non ha nulla in comune col cosiddetto socialismo di Stato, il quale, mirando a certe nazionalizzazioni, vuol porre lo stato al posto dei capitalisti privati e dare allo stato il potere di assoggettare il popolo lavoratore al doppio giogo, economico e politico. Nella sua essenza la democrazia sociale è rivoluzionaria, il socialismo di Stato è conservatore. Democrazia sociale e socialismo di Stato sono inconciliabili antitesi ’ ….

I socialisti giunti al potere debbono operare non gli espedienti coercitivi dell’autoritarismo oligarchico e dell’accentramento burocratico che pretendono di instaurare la giustizia sociale staccandosi dai principi della libertà e della democrazia, ma i più razionali metodi democratici.” (117)

Se quindi la proprietà nazionalizzata e la statizzazione dell’economia testimoniano ulteriormente il carattere totalitario e burocratico dello Stato sovietico, ne segue che l’esperimento russo non consiste in una semplice degenerazione delle sovrastrutture di un paese in cui la struttura economica rimane tutto sommato proletaria ed operaia, come sosteneva Trotskij, ma nella realizzazione storica di un ideale degenerato di socialismo, il cosiddetto ‘socialismo di Stato’.

Per gli autori socialdemocratici lo stato sovietico incarna un nuovo tipo di Stato, con una sua specifica base economica e politica simile quasi in tutto ai passati regimi fascisti e nazisti: il totalitarismo statale. È quindi da combattere, a loro parere, il falso e schematico pensiero che ammette per l’epoca moderna l’esistenza di due soli sistemi: capitalista e socialista e che non vuole considerare il fatto che sia possibile abbattere il capitalismo senza creare per questo inevitabilmente il socialismo. Una ‘nuova e terza categoria di sistemi sociali è sorta’ ed essa abbraccia sia il modello bolscevico che quello nazista e fascista. Afferma Raphael Abramovich:

“Molti scrittori socialisti considerano il sistema russo come un sistema di transizione. Essi rifiutano di ammettere che lo stato sovietico appartiene ad un’altra categoria. Secondo loro vi sono soltanto due possibili forme di sistemi sociali: il capitalismo e il socialismo. Un paese come la Russia, dove il capitalismo è stato abolito, deve diventare uno stato socialista. Questo ragionamento puramente astratto e teorico non corrisponde purtroppo alla realtà e non è basato sui fatti …. I due ultimi decenni della storia russa hanno veramente segnato una transizione, la transizione non dal capitalismo al socialismo, ma dalla rivoluzione utopistica al totalitarismo.

Una nuova e terza categoria di sistemi sociali è sorta, la quale differisce fondamentalmente dai due sistemi classici.” (118)

In seguito, l’autore, rispondendo alla domanda se sia possibile che questi regimi possano evolversi per spinte interne in senso democratico, accosta al sistema totalitario russo il fascismo e il nazismo.

Il fatto, fa rilevare Abramovitch, che questi due regimi totalitari simili al bolscevismo siano crollati non per forze interne ma grazie all’intervento esterno è significativo del pieno e assoluto controllo che tali sistemi riescono ad imporre all’interno del paese. In questo l’autore socialdemocratico riscontra una legge di funzionamento che potremmo definire strutturale degli stati totalitari, quella della spirale totalitaria:

“La legge naturale di un sistema totalitario è espressa nella spirale totalitaria. Nessuna evoluzione verso la democrazia è neppure apparsa possibile in simili stati e nessuno di questi sistemi è neppure stato seriamente minacciato finora da una rivoluzione dall’interno.” (119)

Anche Victor Larok, su Critica sociale (120) espone le ragioni del parallelismo tra l’URSS e gli Stati fascisti: totalitarismo e passaggio dello sfruttamento dai privati allo stato sono i loro tratti distintivi:

“Come il Reich nazista l’URSS è totalitaria. Allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo si è sostituito lo sfruttamento dell’uomo da parte dello Stato. Ai miti hitleriani della nazione e della razza corrisponde il mito sovietico della società senza classi, in cui il potere dello Stato si estende a tutti i beni e a tutte le persone.” (121)

Credo che si possa chiudere l’argomento con un articolo dal leader del PSLI, Giuseppe Saragat (121bis). Nell’articolo Saragat ribadisce ulteriormente il concetto che non è sufficiente aver sottratto i beni economici alla gestione individuale per poter parlare di socialismo realizzato, se poi all’atto pratico questa gestione rimane sempre sottratta al controllo ed all’attività dei lavoratori. Il concetto contenuto tra le righe, inespresso ma presente, è quindi quello che solo grazie all’autogestione operaia delle aziende è possibile arrivare al socialismo. Dice infatti Saragat:

“Se ci rifacciamo alla nozione tradizionale del socialismo dobbiamo sottolineare che la Russia attuale se ne discosta totalmente. Il primo carattere di uno stato socialista è la gestione democratica delle forze produttive. Non basta che i beni economici siano sottratti alla gestione individuale, caratteristica dei sistemi capitalistici, per implicare un tipo di economia socialista. Si ha economia socialista quando non solo la proprietà teorica della terra e delle officine, ma l’esercizio di essa proprietà è affidato i lavoratori.” (122)

Il quadro teorico complessivo della tesi socialdemocratica a proposito della natura dello Stato sovietico è quindi completo: l’URSS non è uno stato socialista né capitalista, ma un nuovo regime di sfruttamento, analogo ai sistemi economici e politici fascisti e nazisti.

La classe burocratica e gli strumenti del suo dominio

Se l’Urss non è un paese socialista, dove le classi devono essere in via di estinzione, né capitalista dove la classe dominante è quella borgese, ma un regime totalitario statalista, deve esiste una classe dominante nuova. Un regime caratterizzato dallo sfruttamento e dall’oppressione deve reggersi necessariamente sul nucleo sociale omogeneo che sostanzi tale sfruttamento, che lo volga a proprio vantaggio, che tenda a perpetuarlo e ad inasprirlo. Questo nucleo sociale omogeneo che forma la classe dominante russa è stato, come già sappiamo, identificato dai socialdemocratici con la classe burocratica, padrona delle leve dello Stato.

Le caratteristiche che distinguono questa nuova classe da quella dei capitalisti privati sono:

a) il fatto che la sua forza è derivata non del possesso del potere economico ma da quello politico (lo stato), che si è poi assoggettata e subordinata l’economia; b) la proprietà collettiva anziché individuale dei mezzi di produzione e del plusvalore c) il fatto che il suo potere, che riunisce economia e politica, è di gran lunga più dispotico ed assoluto di quello esercitato dalla classe borghese.

Questo è il contenuto del pensiero riformista rispetto al problema della classe dominante, la burocrazia.

Saragat affronta con tono sicuro questo problema, affermando che la classe privilegiata che dirige e gestisce la produzione, divide profitti, è la casta burocratica dominante:

“Se in Russia le classi sono abolite, come mai la necessità di un apparato oppressivo che implica rapporti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo? La verità è che un ceto dominante si vale di un movente comunitario per fare i propri comodi e vivere ad un livello economico incomparabilmente più elevato di quello degli operai e dei contadini. In Russia il popolo è il proprietario teorico della terra e delle officine, ma il proprietario effettivo, vale a dire colui che dirige e gestisce la produzione e divide i profitti, è la casta burocratica dominante.” (123)

Chi sottolinea il fatto che la classe burocratica russa disponga della proprietà dei mezzi di produzione non più individualmente, ma in modo collettivo, attraverso lo stato, è Achille Monaci che sulle pagine dell’Umanità afferma esplicitamente questo concetto:
“Se è vero che in Russia la proprietà non esiste più è altrettanto vero che l’attuale sistema della Russia stessa non ha affatto eliminato gli elementi di sfruttamento …. In seno alla società russa esiste una differenziazione profonda. A lato dei contadini e degli operai esiste una vera e propria classe di privilegiati, la burocrazia. Certo i membri non posseggono capitali individuali ma dispongono collettivamente, in quanto padroni dello Stato, degli strumenti di produzione e di scambio. È la burocrazia che senza alcun controllo del proletariato dirige l’economia, allarga o restringe la produzione, fissa i prezzi, decide le ripartizioni.” (124)

La nuova classe burocratica si serve di questa sua posizione di dominio per condurre una vita infinitamente migliore di quella della classe lavoratrice che teoricamente viene definita la classe dirigente. Non si fa mancare nessun agio del benessere mondano fino ai piaceri dell’alta cultura:

“Gli altri dignitari dello Stato dispongono di ville, di automobili, personale di servizio, sala di spettacolo privato, un rifornimento speciale di vitto …. Le università continuano a restare monopolio della burocrazia e di tutti i suoi protetti a causa delle tasse molto elevate.” (125)

In altre parole, quella classe che nei regimi capitalistici era al servizio del potere economico borgese si è impadronita in Russia delle leve del potere economico tramite lo stato: è quindi in senso proprio, marxista, una vera classe sociale dominante; questo statuto di classe le è conferito dalla proprietà collettiva che essa detiene sui mezzi di produzione.

Che la burocrazia costituisca una classe nel senso sopra indicato è un punto fermo del pensiero socialdemocratico. Le citazioni possono essere molte, ne proponiamo alcune: Aristodemo, su Critica sociale (126), la definisce “una nuova classe privilegiata di dirigenti”:

“La collettività socialista, improntata alla libertà umana, alla vera partecipazione dell’uomo, alla collaborazione tra i popoli su scala internazionale è incompatibile con una massiccia e stritolatrice economia totalitaria autarchica, dominata dalla burocrazia, da una nuova classe privilegiata di dirigenti, sospettosamente chiusa in sé stessa.” (127)

Per Domenico Pisani (128) si tratta “di una classe oligarchica di tecnici e di burocrati.” Pagliari dice che la burocrazia è ”diventata un fattore molto potente che esige ed ottiene il massimo dei beni e dei privilegi che lo stato può dare”. (129)

Alfredo Poggi (129 bis) parla di “coorte di privilegiati che gode sull’assoggettamento dei più”. E si potrebbe continuare.

Ci resta da analizzare un ultimo punto prima di considerare esaurito il problema della caratterizzazione della classe burocratica: il problema del partito. Per gli scrittori socialdemocratici il partito si è sempre più identificato con lo stato e con i suoi poteri, fino al punto che possono essere considerati strumenti analoghi, o perfino identici, di dominio sulla società. In parole povere l’essere ai vertici dello Stato o del partito non crea alcuna differenza per quanto riguarda l’appartenenza alla classe dominante.

Afferma infatti Schreider che la Rivoluzione russa, animata dal proposito di fare della classe operaia l’unica ed assoluta padrona dello Stato, ha finito col fare del partito questo unico ed assoluto padrone. Questo ha portato alla negazione dell’ideale socialista che vuole la liberazione della classe dei produttori non un loro ulteriore assoggettamento:
“La totalitaria rivoluzione bolscevica d’ottobre ha distrutto il potere del capitale privato della borghesia e ha dichiarato il lavoro e la classe operaia l’unico e sovrano padrone dello Stato, ma in ultima analisi in realtà essa non ha fatto altro , si intende dal punto di vista strettamente politico cioè nei riguardi dei rapporti tra il cittadino e lo stato, che soggiogare tutto il popolo alla prepotenza di un solo partito, capeggiato da un ristretto gruppo che governa dittatorialmente .” (130)

Per Abramovich la natura del partito di uno stato totalitario si identifica a tal punto con quella dello Stato stesso da perdere le sue caratteristiche peculiari di partito (cioè etimologicamente di parte della società civile) per trasformarsi in un modellino riproducente, in miniatura, la struttura dello Stato che governa:

“Un partito che diventa parte integrante di un regime totalitario basato sulla collettivizzazione e sull’industrializzazione forzata, attraverso il sacrificio di milioni di vite, cessa di essere un partito nel senso tradizionale della parola. Esso diventa un microcosmo totalitario, una riproduzione in miniatura dello Stato che governa.” (130 bis)

Per concludere si può affermare che la classe burocratica dominante è ricercata e individuata omogeneamente in quegli elementi che detengono le leve di potere dello Stato o del partito, il che non crea minimamente alcuna frattura all’interno della classe, dato che i due organismi sono inestricabilmente compenetrati.

Mezzi usati dalla burocrazia per conservare e perpetuare il proprio dominio

È questo l’ultimo problema del meccanismo dello Stato totalitario: i mezzi adoperati per conservare il dominio di classe. Questi strumenti sono molteplici. I più importanti per gli autori del PSLI sono: i sindacati, la polizia, il controllo della stampa e della cultura, infine la religione. Dei sindacati come strumento dello Stato totalitario abbiamo già parlato in un capitolo a parte, per l’enorme importanza che essi rivestono al fine dell’orientamento del giudizio teorico sull’esperimento sovietico. Il fatto di trattarli alla stregua di un problema secondario avrebbe senz’altro significato non rilevare l’importanza che assunsero nel pensiero socialdemocratico e sminuire il contributo fondamentale che la riflessione sulla loro storia fornì per la maturazione della teoria del totalitarismo statale. L’immenso potere della polizia segreta russa (la NKVD, ‘ex GPU, l’ex CEKA) che dirige e controlla il funzionamento dei campi di lavoro, che ha il potere di condannare i cittadini al lavoro forzato senza dover poi render conto ad alcuno, ha raggiunto una tale vastità da spingere gli autori socialdemocratici ad usare per lo stato sovietico la definizione di Stato poliziesco. L’enorme potere di questa polizia segreta è testimoniato secondo questi scrittori dall’estensione inaudita del lavoro coatto, diretto dalla NKVD che ha il compito di deportare non solo i colpevoli di delitti, ma anche e soprattutto i dissidenti politici. La sua funzione è quindi simile a quella spada di Damocle che, come già il tiranno di Siracusa faceva pendere sul capo del giovane, così lo stato sovietico fa pendere sul capo dei cittadini sovietici la cui vita resta quindi legata al crine di cavallo del silenzio e della sottomissione.

Riguardo alla funzione della stampa e della produzione intellettuale, viene sottolineato come la classe burocratica dominante, come tutte le classi dominanti, del resto, tenda a presentare il sistema che la alimenta come il più giusto e progressivo sistema mai esistito. Ha quindi bisogno non solo della sottomissione, ma anche dall’assenso della popolazione e a questo fine lo strumento migliore è la manipolazione della cultura, delle idee, della stampa e della scienza stessa, nell’intento di forgiare l’immenso popolo russo a propria immagine (a immagine cioè dei suoi interessi e obiettivi di classe). Sempre Schreider scrive:

“L’odierna oligarchia totalitaria sovietica spadroneggia dispoticamente non solo nel campo della vita politica ed economica, ma anche nella sfera puramente spirituale, nutrendo l’ambiziosa speranza di riuscire a riplasmare l’anima e lo spirito dell’immenso popolo russo a propria immagine e somiglianza.” (131)

Che la stampa sovietica non respiri neppure una leggera brezza di libertà, di critica, di originalità dipende, ci spiega Wazlarw Solski su Critica sociale (132) dallo strettissimo, soffocante rapporto che essa deve intrattenere con il partito e quindi con lo stato totalitario:

“Tutti questi giornali, come le 1449 riviste pubblicate nell’Unione Sovietica, sono naturalmente bolscevichi. Nessun’altra stampa può esserci in Russia.” (133) Questa stessa stampa bolscevica è inoltre controllata strettamente dei vertici del partito:

“Per controllare la stampa il partito ha creato un meccanismo complesso e potente. La maggiore autorità per la stampa, l’agitprop, divisione per l’agitazione e la propaganda del comitato centrale del partito comunista.” (134)

Sorte migliore non viene riservata neppure alla produzione intellettuale culturale, se Arturo Balboni considera la politica ufficiale russa in campo culturale tesa allo scopo di ridurre l’arte a banale propaganda:

“La politica culturale sovietica è il sistema degli ordini del giorno, dei binari obbligati per la produzione artistica. È il realismo socialista imposto per decreto. L’arte è degenerata a banale propaganda ….E Zdanov rappresenta l’esponente tipico di questa concezione degenerata della cultura. Egli è stato il ridicolo dittatore dell’arte che pretendeva di far scaturire capolavori artistici per mezzo di ordini del giorno che in alcuni punti assumono addirittura un aspetto minatorio.” (135)

In un articolo sostiene che un’esasperante banalità caratterizza tutta l’arte sovietica, il cui intellettuale è ridotto allo stato del propagandista, dell’agitprop:

“L’agitprop è l’epilogo grottesco di un dramma squisitamente politico del movimento comunista, o meglio di quel movimento di origine comunista, ma ormai definitivamente insabbiato in quell’ibrida posizione, curiosa mistura di collettivismo e di dittatura che è la posizione staliniana …. Dittatura culturale che ha portato l’arte a coincidere con la banale propaganda politica. Dal grande scrittore al piccolo agitprop di periferia sono 100, 1000, 10.000, tutti esasperatamente uguali.” (136)

E ancora una volta Schreider che mette in risalto la funzione della chiesa ortodossa russa come instrumentum regni del governo totalitario bolscevico. Per cui, a suo parere, la fine della propaganda ufficiale e il ristabilimento della libertà di culto concessa alla chiesa (137) non stanno a significare un passo verso la liberalizzazione del regime, ma all’inverso una trasformazione della chiesa ortodossa in propagandista degli orientamenti politici il regime:

“È vero che non esistono più né l’organizzazione degli atei militanti né i giornali e le riviste dedicate alla propaganda antireligiosa né alcuna lotta attiva contro la chiesa ortodossa e i preti rispettivi. Ma è nel falso chi afferma che tutto questo capovolgimento formale si sia avverato perché il governo bolscevico avrebbe sinceramente rinnegato il suo totalitarismo dispotico e si sarebbe veramente convertito alla fede democratica …. L’iniziale ostilità contro la chiesa ortodossa doveva trasformarsi in benevola tolleranza mirante ad utilizzarla come instrumentum regni dallo Stato sovietico …. La chiesa è diventata organo prezioso per predicare la solidarietà slava tra la politica russa e quella dei rispettivi stati balcanici …. Oggi la chiesa è diventata un’attiva propagandista degli orientamenti politici del regime sovietico.” (138)

Note:

116 – Pietro Battara Socializzazione e statizzazione in “L’Umanità” 13 marzo 1948.

117 – Schreider L’esperimento laburista” art.it.

118 – Abramovich “all’utopia ….art.cit.

119- Ibidem

120 – Victor Larok L’Urss e la pace in “Critica Sociale”, 1° aprile 1948.

121 – Ibidem

121 bis – Giuseppe Saragat Il socialismo e la Russia in “L’Umanità”, 28 agosto 1948

122 – Ibidem

123 – Ibidem

124 – Achille Monaci Come vivono i russi in “L’Umanità”, 10 dicembre 1948.

125 – Ibidem

126 – Aristodemo Un dilemma mal posto in “Critica Sociale”, 16 ottobre 1948.

127 – Ibidem

128 – Domenico Pisani Un malefico trucco. Le due democrazie in “Critica Sociale”, 15 dicembre 1946.

129 – Pagliari La pianificazione …. art.cit.

129 bis – Alfredo Poggi Cultura e bolscevismo in “Critica Sociale”, 16 dicembre 1948.

130 – Schreider L’esperimento laburista art.cit.

130 bis – Abramovich Dall’utopia …. art.cit.

131 – Schreider Il socialismo e la Russia in “L’Umanità” 28 agosto 1948.

132 – Wazlarw Solski La stampa sovietica in “Critica Sociale”, 16 agosto – 1° settembre 1948

133 – Ibidem

134 – Ibidem

135 – Arturo Balboni Da Gramsci a Zdanov in “Critica Sociale”, 17 ottobre 1948

136 – Arturo Balboni Dall’intellettuale all’agit-prop in “L’Umanità”, 11 dicembre 1948

137 – cfr Dallin “La vera Russia dei sovieti” ed. Rizzoli, Roma 1947 pp. 59 segg.

138 – Schreider La chiesa in Russia è agli ordini della dittatura in “L’Umanità”, 10 luglio 1948.