IL CENTROSINISTRA E IL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO

di Christian Vannozzi |

Il 1960 è un anno cruciale per il nostro Paese, in quanto il democristiano Fernando Tambroni cercò di formare una maggioranza parlamentare con il PSI di Pietro Nenni, che però a quel tempo era ancora ancorato all’idea di unità a sinistra, cosa che fece deviare la DC verso un Governo appoggiato esternamente dal Movimento Sociale e dai monarchici.

Proprio il Movimento Sociale, erede della tradizione fascista, in cambio dell’appoggio al nuovo Governo, ottenne il permesso di celebrare a Genova il proprio Congresso Nazionale, in una città che era stata l’emblema della lotta al nazifascismo durante la Resistenza. I cittadini naturalmente protestarono appoggiati dalla CGIL, e ben presto le lamentele si estesero a tutta l’Italia, trovando l’appoggio anche degli altri sindacati e soprattutto del PCI. La DC decise quindi di rinunciare all’accordo con i missini per trovare altre soluzioni.

Nel 1962 Amintore Fanfani formò un Governo monocolore DC con l’appoggio del Partito Repubblicano e dei Socialdemocratici, che vedeva l’astensione del PSI. Nenni, in questo modo, iniziava a muovere i suoi primi passi verso il “Centro” e verso una possibile alleanza con i partiti centristi.

Per l’Italia e per la socialdemocrazia fu un anno storico, in quanto, pur se con la sola astensione dei socialisti, il Governo Fanfani diede vita a numerose riforme tra cui la scuola media unificata, la nazionalizzazione delle industrie dell’energia elettrica (ENEL) e la cedolare d’acconto. Primi passi verso uno Stato Sociale che iniziò a formarsi in maniera più consistente nel 1963, quando l’onorevole democristiano Aldo Moro formò il primo Governo di Centro-Sinistra che vedeva l’ingresso nella maggioranza del PSI di Pietro Nenni, con propri ministri. Iniziava in questo modo una nuova epoca per la politica italiana, in quanto oltre ai socialdemocratici anche i socialisti entravano nel Governo, con la possibilità di riunificare il PSI in un unica anima. Purtroppo non tutti i socialisti la pesavano in questo modo, e la parte più massimalista, rimasta ancorata all’alleanza con il partito comunista, nonostante le sconfitte elettorali e la sudditanza verso l’alleato, formò il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, (PSIUP).

La rottura nel primo Centro Sinistra avvenne però proprio sui fondi da destinare al welfare e sulla riforma urbanistica che vide il veto del Vaticano e degli industriali. Nel giugno del 1964 cadde il Governo Moro, e la ciliegina sulla torta fu rappresentata dalle minacce, o per meglio dire, dalle paure di colpo di Stato da parte del generale De Lorenzo, in quello che passerà alla storia come Piano Solo.

L’elezione come Presidente della Repubblica di Saragat, nel 1964, vide un nuovo accordo tra la DC e il PSI, proprio per scongiurare eventuali colpi di mano della destra militarista e nuovi tentativi di Golpe. Un ulteriore passo in avanti fu fatto il 30 ottobre 1966, con la riunificazione tra il PSI e il PSDI nel Partito Socialista Unificato, che vedeva la riconciliazione tra le due anime che si erano separate nel 1947 con la scissione di palazzo Barberini.

Quello che si era perso a sinistra con l’uscita degli esponenti del PSIUP si era in questo modo acquistato al Centro, con i socialdemocratici, che mantennero comunque la propria autonomia, anche sul simbolo presentato alle elezioni, che vedeva entrambi gli emblemi socialisti esposti sul manifesto comune.

Le elezioni non andarono però come si sperava, e il Partito Socialista Unificato ottenne un risultato inferiore a quello che avevano ottenuto i due partiti socialisti presentati da soli. Appena 91 deputati e 46 senatori, per un esperimento elettorale che si dimostrò fallimentare. Al contrario il PSIUP ottenne un discreto risultato, ben 23 seggi, a dimostrazione di come la base elettorale preferisse un partito socialista di sinistra, e non di centrosinistra. Purtroppo i compromessi che si dovettero raggiungere con il Vaticano e con gli industriali che appoggiavano la Democrazia Cristiana, snaturò un po’ il PSI, ma in politica questo è inevitabile, in quanto le alleanze si basano sul compromesso, e per fare delle riforme civili e sociali si doveva concedere qualcosa agli alleati, anche se questo poteva far storcere il naso ai più intransigenti.

I due partiti, PSI e PSDI si sciolsero l’anno dopo, per rimanere fermi sulle posizioni assunte nel 1947. Certo ora c’era un Centro-Sinistra, ed era finita, almeno per il PSI, l’alleanza con i comunisti per lottare assieme ai partiti di centro, ma ormai i nenniani e i saragattiani avevano una propria autonomia e così sarà per tutta la Prima Repubblica.

Oggigiorno non esiste più questa differenza e si lavora per una casa comune di tutti i socialisti, in modo da guardare agli esempi vivi di Paesi socialdemocratici, come la Svezia e la Danimarca, che sono all’avanguardia nel welfare e possono insegnare tanto all’Italia, portando un modello socialista e democratico europeo, a cui si avvicina anche la Germania, e che rappresenta la via di mezzo al socialismo reale, ancora in vigore in Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba (nonché in altri Paesi asiatici e latino-americani), e il liberalismo estremo statunitense, che ha preso tanto piede in Italia e che sta oggi cancellando ciò che di buono si era fatto nei governi di centrosinistra.