Nell’immagine di copertina Hiratsuka Raicho
di Christian Vannozzi |
La storia del socialismo in Giappone è sempre stata avvolta nel mistero, non perché questo sia una sorta di società segreta nell’Impero nipponico, ma per colpa dell’Occidente, che ha sempre ignorato questa via nel Paese, considerando i giapponesi un popolo arretrato e autoritario dal punto di vista politico, dove la matrice shintoista e confuciana che ha sempre appoggiato i poteri imperiali ha fatto il modo di rendere il popolo servile e i diritti civili e sociali più antiquati.
Anche dalla sinistra italiana il Giappone è sempre stato visto come un Paese nazionalista e quindi poco propenso al socialismo, molto vicino agli Stati Uniti, economicamente parlando, e con un sistema capitalistico che non aveva niente da invidiare all’Occidente. Niente di vero, ma solo supposizioni, in quanto lo shakaishugi, ovvero il socialismo, è vivo in Giappone sin dal 1880, quando si sviluppò un movimento liberale per i diritti civili, l’eguaglianza, la libertà e il suffragio universale.
Nel 1882 fu fondato il Toyo shakaito, ovvero il Partito Socialista dell’Oriente, formazione politica che fu subito sciolta dall’esercito perché antistatale, ma l’anno dopo fu fondato lo Shakaito, Partito Socialista, che nel corso degli anni attirò le simpatie di numerosi intellettuali della sinistra liberale e si avviò verso un socialismo moderno, e una coesistenza con le tradizioni e il regime imperiale, un pò come accadeva nel partito laburista inglese.
Il nuovo partito socialista iniziò a tessere legami con i socialisti statunitensi e specialmente con gli operai che migrano in America in cerca di fortuna. Questi lavoratori entrano in contatto con le idee socialdemocratiche che circolavano negli USA provenienti dall’Europa. Nel 1897 Takano Fusataro, un intellettuale giapponese, pubblicò Shokko shokun ni yokosu, ovvero l’Appello ai compagni lavoratori, per denunciare le ingiustizie sociali del capitalismo. Lo stesso Fusataro fondò un sindacato per difendere i diritti degli operai nipponici.
La reazione del Governo imperiale non mancò, e nel 1900 dichiarò illegali le attività sindacali e proibì la traduzione di libri in giapponese di Zola, Engels, Marx e Tolstoij, chiudendo letteralmente le porte ai movimenti socialisti, sia intelletuali che politici. I sindacati continuarono a operare come società private di mutuo soccorso, ai limiti della legalità, ma con la funzione sociale di poter aiutare materialmente le classi più deboli.
Il socialismo in Giappone si sviluppò anche come circolo culturale, nonostante il forte controllo dell’esercito. Gli studi sul socialismo portarono le associazioni a chiedere il suffragio universale, il disarmo, la nazionalizzazione delle terre, dei capitali e dei trasporti, e l’istruzione pubblica a carico dello stato. Naturalmente furono dichiarate fuorilegge e sciolte. Ogni cosa che andava contro il nazionalismo imperiale era infatti visto come sovversivo e come mina per il crollo dell’Impero.
Ogni causa era buona per muoversi in maniera violenta contro i socialisti, come nel 1909, quando una manifestazione con le bandiere rosse mosse la polizia a usare le armi contro i manifestanti, accusati di voler rovesciare la monarchia. Nel 1910 i socialisti furono invece accusati di volere la morte dell’Imperatore, accusa infondata, ma essendo militanti politici storicamente contro i privilegi e le cariche nobiliari per il Governo nipponico bastava per accusarli di tutto questo e usarli spesso come capro espiatorio.
Leader indiscusse del movimento socialista in Giappone furono anche le donne, anche se nei testi occidentali non se ne parla mai. Queste furono la vera e propria anima del socialismo giapponese e svolsero un’intensa attività politica che portò all’emancipazione di queste in un Paese nettamente maschilista. Le donne chiedevano l’emancipazione, la parità dei sessi, l’istruzione, e il suffragio universale, tutte cose impensabili nel Paese prima dell’avvento delle idee socialiste.
Hiratsuka Raicho (1886-1971) fu la leader del movimento di emancipazione femminile raccoltosi intorno alla rivista “Seito” (Calze blu), e negli ultimi decenni del 1900 la signora Doi Takako guidò il Nihon shakaito, Partito Socialista del Giappone a essere il maggior partito d’opposizione del Paese.
In Giappone il socialismo non fu soltanto un movimento politico, ma anche e soprattutto un movimento intellettuale e sociale, perché grazie a esso il Paese si è avviato verso le riforme sociali e civili, verso i diritti delle donne e il suffragio universale, specialmente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e il crollo del regime militarista che aveva portato il Paese alla catastrofe.
Bibliografia
Kato, Shuichi, Storia della letteratura giapponese, vol.3., Marsilio, Venezia, 1996.
Sato, Yoshimaru, Meiji nashonarizumu no kenkyu, Fuyo shobo, Tokyo, 1998.
Shiba, Ryotaro, Shiba Ryotaro ga kataru zasshi genron hyakunen, Chuo Koron sha, Tokyo, 1998.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.