HEGEL, MARX E LA DIALETTICA SERVO-SIGNORE

 

di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

La dialettica servo-signore

C’è un fondamento filosofico nel pensiero economico di Marx, e tale fondamento si trova nella Fenomenologia dello spirito di Hegel quando nel capitolo IV A parla della dialettica di servo e signore.

Nella descrizione che Hegel fa del rapporto servo-signore:

● il signore dapprima domina il servo, come strumento con cui operare sulle cose;

●il signore, però, si limita a consumare le cose, cioè a negarle, conseguendo un’autocoscienza immediata, non mediata dal riconoscimento dell’altro e di sé attraverso l’altro;

●il servo, al contrario, nel lavoro acquista consapevolezza di sé, supera lo stadio della coscienza naturale, conquista un orizzonte superiore di oggettività, di libertà.

Il linguaggio hegeliano è di una insuperabile difficoltà, almeno per le mie disperse forze, cercherò quindi non tanto di interpretare lo scritto quanto di utilizzarlo alfine di una verifica, ovvero una adattabilità di quel percorso, al momento attuale caratterizzato da uno sviluppo enorme della tecnologia che ha comportato una diversa collocazione del mondo del lavoro nel processo produttivo. Ma andiamo per piccoli passi.

Scrive Hegel che la coscienza del padrone “è la coscienza indipendente alla quale è essenza l’essere-per-sé” mentre la coscienza del servo “è la coscienza dipendente alla quale è essenza la vita o l’essere per un altro”.

Ciò che differenza le due coscienze è l’essenza di ciascuna di esse; la coscienza del padrone è l’essere-per-sé, la coscienza del servo è l’essere per un altro (che Hegel equipara alla vita). Il rapporto del padrone con la cosa è un rapporto mediato essendo l’intermediario il servo che, al contrario “si riferisce negativamente alla cosa … epperò con il suo negarla, non potrà mai distruggerla completamente; ossia il servo col suo lavoro non fa che trasformarla”; mentre il padrone nel suo rapporto mediato con la cosa, non fa altro che negarla godendola, consumandola “esaurisce la cosa e si acquieta nel godimento”; “il signore che ha introdotto il servo tra la cosa e se stesso, si conchiude così soltanto con la dipendenza della cosa, e puramente la gode; peraltro il lato dell’indipendenza della cosa egli lo abbandona al servo che la elabora”.

Ma il servo che elabora non è altro che il soggetto che essendo per l’altro, fa ciò che propriamente dovrebbe fare il padrone il quale, rende in tal modo la sua coscienza dipendente all’elaborazione che ha mediato al servo; “egli non è dunque certo dell’essere-per-sé come verità, anzi la sua verità è piuttosto la coscienza inessenziale e l’inessenziale operare di essa medesima”. La coscienza servile si presenta allora come la verità della coscienza indipendente. “Come la signoria mostrava che la propria essenza è l’inverso di ciò che la signoria stessa vuol essere, così la servitù nel proprio compimento diventerà piuttosto il contrario di ciò che essa è immediatamente; essa andrà in se stessa come coscienza riconcentrata in sé, e si volgerà nell’indipendenza vera”.

Il lavoro è appetito tenuto a freno, è un dileguare trattenuto, ovvero: il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l’oggetto diventa forma dell’oggetto stesso, diventa qualcosa che permane; e ciò perché proprio chi lavora l’oggetto ha indipendenza. Tale operare formativo costituisce il puro essere-per-sé della coscienza che ora, nel lavoro, esce fuori di sé nell’elemento del permanere: così, quindi, la coscienza che lavora giunge all’intuizione dell’essere indipendente. Così, proprio nel lavoro, dove sembrava ch’essa fosse un senso estraneo, la coscienza, mediante questo ritrovamento di se stessa attraverso se stessa, diviene senso proprio.

Il conflitto in Marx

Ma nel tempo siamo pasati da un lavoro essenzialmente manuale, dove il progetto era dello stesso lavoratore che eventualmente si avvaleva di alcuni strumenti utilizzati come estensione delle sue capacità lavorative, ad un lavoro sempre più progettato dal signore e realizzato dalle macchine, in questo modo di produzione (fordista) al lavoratore viene alienato sia il progetto che la manualità professionale, e viene ridotto ad una “scimmia ammaestrata” che non si riconosce più nel prodotto finito.

Il conflitto nasce nel momento della ripartizione del sovrappiù; il padrone pretende il tutto in quanto egli ha fatto gli investimenti, si è preso il rischio e ha capito il progetto; il servo invece è colui che ha partecipato parzialmente nella valorizzazione del progetto.

Più avanti ancora si assiste ad un recupero della progettualità del lavoratore digitalizzato produttore di quel software alla base di un nuovo modo di produzione fondato sui robots; vengono utilizzati lavoratori digitalizzati manipolatori di simboli mentre nel contempo vengono eliminati dal lavoro i lavoratori non specializzati, scompare il lavoratore “scimmia ammaestrata” e nei limiti delle richieste si sviluppa un processo di riconversione e formazione del lavoratore.

Ma anche questo processo tende, nel suo dispiegarsi tecnologico, alla robotizzazione di tutto il lavoro tranne quello dei manipolatori di simboli. Ma il compito che il signore affida loro è la creazione di macchine talmente intelligenti da essere in grado di progettare macchine ancor più intelligenti; praticamente il fine del manipolatore di simboli è la creazione di robots che li rendono lavorativamente inutili.

Da osservare che il signore/padrone/capitale produttivo ha una sua progettualità che affida, nella divisione delle funzioni, ai lavoratori più o meno digitalizzati, esprime cioè un minimo di rapporto con la cosalità, anche se la progettualità non segue il sentiero di una ricerca scientifica, ma, al contrario, segue il sentiero del profitto fine-a-sé-stesso. Al contrario il signore/padrone/capitale finanziario tende alla rendita senza alcun rapporto con la cosalità e perde in tal modo ogni indipendenza di coscienza.

L’alienazione

Tutti questi processi evidenziano diversi tipi di alienazione:

1 – alienazione prodotta dal progetto: chi lavora non partecipa al progetto ma lo realizza, quindi si ha una distinzione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.
2 – alienazione prodotta dal prodotto: il lavoratore non è padrone del prodotto ma questo prodotto è del padrone
3 – alienazione prodotta dalle macchine: il lavoratore diventa solamente una forza lavoro perché il lavoro vero e proprio lo fanno le macchine
 4 – alienazione prodotta dai robots: l’intelligenza artificiale esclude il lavoro vivo dal processo produttivo.

La vera libertà è il progetto in sé, la libertà non sta nel consumo: la libertà sta nella dimensione progettuale. La riappropriazione del rapporto con la cosalità hegeliana sta nella capacità progettuale, nella libertà dei soggetti che disegnano il loro futuro senza l’assegnazione di funzioni che preludono alle classi in quanto la libertà dal lavoro delegato alle macchine, rende tutti gli uomini  ugualmente chiamati ad essere soggetti della progettualità.

Questa nuova dimensione della libertà presuppone l’eliminazione del concetto di proprietà privata sostituito dal concetto di bene comune conforme alla eliminazione della assegnazione delle funzioni. Fondamentale rimane il dominio dell’intelligenza umana su quella artificiale che deve ricoprire sempre un ruolo servile; il controllo dell’intelligenza umana sugli algoritmi deve garantire che gli algoritmi non sviluppino una loro funzione autonoma che possa sfuggire all’intelligenza umana fino al punto di rivoltarsi contro ad essa.

Il superamento della alienazione porta quindi al superamento della dialettica servo-signore, lavoratore-padrone, ma tale superamento presuppone l’avvento di una razionalità liberatoria che dia ad ogni soggetto la consapevolezza della limitatezza dell’essere-per-sé di fronte alla vita rappresentata dal’essere per l’altro, l’essere per tutti. Questo superamento assume una dimensione rivoluzionaria che si attua, nella nostra società attuale, attraverso la dialettica intellettuale/partito con la massa dei subordinati che sfoci nella trasformazione dei subordinati in dirigenti.

Non tutti i soggetti avranno la stessa capacità progettuale per cui potrebbe dedursi che i soggetti più progettuali saranno più liberi, ma questo deduzione pecca nel momento in cui scorda che in questa fase non prevale la coscienza dell’essere per l’altro verso l’estinta coscienza dell’essere-per-sé.