MASSIMA DEMOCRAZIA NEL SISTEMA SOCIALISTA SOVIETICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 4 – Massima democrazia nel sistema socialista sovietico Secondo gli scrittori comunisti, in tutti i campi della vita sociale, a cominciare dal partito, dai sindacati, per arrivare alla scuola, alla legislazione del lavoro, alla costituzione sono rispettati ed esaltati i principi socialisti di massima democrazia. Analizziamo ora nei particolari i vari articoli, cominciando dal problema del partito. A questo argomento l’infaticabile Robotti dedica lo scritto di cui ci occuperemo (37). Per l’autore due sono le considerazioni che si devono svolgere in proposito. Da una parte si deve riconoscere che l’esistenza di un solo partito, più volte portato come esempio della mancanza di democrazia interna del paese, è, al contrario, la testimonianza vivente del più alto grado di democrazia raggiunto dal popolo sovietico. Quest’affermazione all’apparenza paradossale è spiegata dall’articolista nel modo seguente: se tutti gli altri partiti politici della Russia presovietica avevano ostacolato la marcia dei lavoratori russi, la loro soppressione, permettendo la salda gestione del potere da parte del proletariato e la realizzazione, quindi, del socialismo e della più profonda democrazia economica, è di conseguenza un segno dell’ elevata maturità democratica del popolo sovietico. Dall’altra una profonda democrazia contraddistingue il funzionamento interno del partito bolscevico senza la quale sarebbe impossibile controllare ed eleggere le istanze superiori ed esercitare in piena libertà la critica e l’autocritica, necessarie entrambi al consolidamento ideologico e all’autorità del partito. Passando ad un altro aspetto della vita sociale sovietica, il sindacato dei lavoratori, incontriamo l’interessante articolo di Giovanni Borghesi, già citato precedentemente a proposito della collettivizzazione agricola (38). È espressa in questo articolo un’idea interessante ed abbastanza singolare: che il sindacato sia il vero e supremo regolatore dell’economia dell’intero paese. Padrone dell’economia sarebbe il sindacato in un paese nel quale il potere politico spetterebbe ai Commissari del popolo. Se ne ricava che il sindacato nell’Urss avrebbe rilevato tutti i poteri dei vecchi capitalisti, sarebbe l’unico e vero detentore delle leve del potere economico e non rappresenterebbe più gli interessi antagonistici della classe padronale, soppressa, ma quelli della nuova classe dominante proletaria: “Il sindacato dei lavoratori dell’Unione Sovietica è il supremo regolatore di tutta la vita lavorativa degli operai e degli impiegati. Con la socializzazione di tutte le attività economiche il sindacato non rappresenta più la classe antagonista della classe padronale, ma la sezione economica amministrativa di tutto un complesso produttivo che è politicamente rappresentato dai commissari del popolo.” (39) Borgese tratteggia quindi il regime sovietico come ‘stato sindacalista’ nel quale la base, la struttura economica, è diretta dal sindacato. Afferma infatti l’autore che, se si osservano i molteplici compiti del sindacato stesso e l’indipendenza con cui li svolge (faccio notare come sia importante questa sottolineatura dell’indipendenza del sindacato dal potere politico: se le cose stessero altrimenti infatti, come si potrebbe parlare di un sindacato che gestisce la vita economica?), si deve concludere che i sindacati non solo costituiscono la sezione economica dello Stato, ma devono essere ritenuti i veri creatori della nuova società. Dice infatti borgesi: “Abbiamo detto che il sindacato può essere considerato come la sezione economica dello Stato sovietico, ma se si pensa alla molteplicità dei suoi compiti, all’indipendenza con cui li adempie e all’influenza diretta che esso esercita sull’organizzazione e sul funzionamento dello Stato sovietico, si può senz’altro affermare che i sindacati in Unione Sovietica sono i veri creatori della nuova società.”(40) Che il sindacato poi, nello svolgimento di questi nuovi importanti compiti, non abbia per nulla dimenticato la sua origine e la sua natura, che consiste nell’essere l’organo della difesa degli interessi dei lavoratori è cosa che, per Borghesi, non può essere minimamente messa in dubbio: “Il sindacato nell’Unione Sovietica esprime la volontà dei lavoratori in tutte le questioni che riguardano il lavoro e le sue connessioni con tutti gli elementi che concorrono a compensare, a tutelare, a proteggere e ad elevare i lavoratori.” (41) Da tutto quanto precede si ricava quindi che per la stampa comunista nell’Unione Sovietica sono i lavoratori stessi a dirigere l’intera economia, in quanto i dirigenti sindacali provengono dalle stesse fila dei lavoratori e sono liberamente scelti e revocabili. In questo modo l’autore ci dipinge uno stato dove la massima democrazia, nel senso di potere del popolo, ha trovato la sua completa realizzazione e dove i lavoratori detengono e controllano realmente tramite i loro sindacati il potere economico. Un altro aspetto importante della democrazia sovietica, la legislazione del lavoro , è illustrata in un articolo di L. L. (Luigi Longo?) (42). L’autore sostiene che nell’Unione Sovietica il diritto al lavoro, elemento fondamentale di qualsiasi tipo di democrazia economica e sociale, è pienamente assicurato in Urss, dove crisi e disoccupazione sono praticamente sconosciute: “Il lavoro è la pietra angolare del sistema socialista: da esso partono e ad esso convergono tutti i molteplici rapporti della società socialista. Sotto qualsiasi forma, dalla creazione di beni materiali alle più alte creazioni dello spirito, esso ha uguale diritto di cittadinanza , uguale giustificazione sociale, uguale protezione. Questa posizione del lavoro nella nuova società socialista trova preciso riconoscimento nell’articolo 118 della Costituzione sovietica: ‘I cittadini dell’Urss hanno il diritto al lavoro, cioè il diritto di ricevere un impiego garantito, con remunerazione del loro lavoro secondo la sua quantità e la sua qualità.’ In armonia con questi principi essenziali, lo stato sovietico ha fatto in modo che il diritto al lavoro non restasse una mera dichiarazione astratta. Esso, secondo le linee tracciate nella Costituzione, ha saputo creare le condizioni concrete perché il diritto al lavoro divenisse una realtà.” (43) Scomparsa la disoccupazione, con il pieno impiego del popolo sovietico, è scomparsa pure, secondo L.L., la minaccia perpetua che essa rappresenta nei confronti degli altri lavoratori occupati, minaccia che si concretizza in pressioni sui loro salari e sulle loro condizioni di vita (elemento essenziale, strutturale, al contrario, nei paesi dominati …

PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA E SOCIALISMO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 3 – Pianificazione dell’economia e socialismo La pianificazione economica, infine, a giudizio degli autori comunisti, costituisce il gioiello dello Stato sovietico. È grazie ad essa, infatti, che sono state rese possibili sia la collettivizzazione delle terre sia l’industrializzazione a passi da gigante del Paese. È il principio della pianificazione a distinguere e a differenziare nella sostanza, assieme all’altro principio della proprietà statale dei mezzi di produzione, l’economia socialista realizzata in URSS da quella capitalista mercantile. Solo il tipo di pianificazione sovietica ha potuto eliminare alla radice le piaghe classiche del capitalismo: la disoccupazione e le crisi economiche. Essa, infatti, regola e armonizza la produzione e il consumo, impedendo così la possibilità concreta di crisi economiche. Questi sono, in poche parole, gli effetti benefici del socialismo che si identifica perciò con la completa pianificazione dell’economia e col completo possesso dei mezzi di produzione da parte dello Stato. Veniamo agli autori. Dell’importanza avuta dalla pianificazione economica nella collettivizzazione e nell’industrializzazione del paese abbiamo già riferito nei due punti precedenti di questa esposizione. Pavlowski afferma a questo proposito che solo grazie all’integrazione dei due settori dell’economia, industria ed agricoltura, sia stato possibile operare il grande balzo in avanti compiuto sulla via del progresso economico. La pianificazione, a giudizio dell’autore, dando vita ad una completa organicità del sistema economico, avrebbe infatti inquadrato l’azienda contadina nel sistema industriale moderno, liberando la strada dall’ostacolo che sbarra ancora le vie dello sviluppo economico europeo e che frena notevolmente il progresso agricolo: “La caratteristica forse più saliente dei piani quinquennali consiste nella loro stretta aderenza al principio fondamentale dell’ organicità del sistema economico, ed è proprio ciò che determina il posto dell’agricoltura nel quadro di questi piani. Nella creazione e nell’ulteriore sviluppo dell’economia dell’Unione sovietica l’agricoltura, le industrie e tutti gli altri rami dell’attività produttiva, tanto economica quanto scientifica e culturale, sono chiamate ad aiutarsi e ad integrarsi a vicenda. Era questa integrazione, infatti, che mancava nella vecchia Russia, determinando le molte difficoltà e i gravi disagi nei quali si dibatteva il contadino.” (28) Questo concetto è ripetuto pure su “Vie nuove”, da Michele Pellicani (29) che esalta la pianificazione sovietica stabilendo un confronto con il tipo di pianificazione operata, sotto l’impulso della guerra, da parte dei paesi capitalistici occidentali. Quel tipo di pianificazione ha in comune con quella sovietica il solo aspetto tecnico. La pianificazione capitalista, infatti, oltre ad essere caratterizzata da elementi contingenti, quali la guerra, ha di negativo il fatto che è operata in vista della difesa di interessi particolari e di alcuni settori della produzione. Per cui una pianificazione socialista deve essere caratterizzata dal fatto di abbracciare tutta l’economia del paese, non abbandonando nulla all’iniziativa privata; essa deve “enumerare e misurare” tutti gli aspetti della produzione, operare una stretta interconnessione tra industria di agricoltura ed assicurare il benessere alla popolazione, cosa realizzabile solo in un paese dove non esistono più interessi privati che calpestino quelli generali. Tutte queste condizioni sono, a giudizio dell’ articolista, rispettate nell’Unione Sovietica che diviene in questo modo modello di socialismo realizzato. Sotto altri aspetti il prolifico Robotti ci istruisce circa i vantaggi della pianificazione economica sovietica. Afferma che “il poderoso sviluppo dell’economia sovietica ha potuto avere luogo solo grazie alla sostituzione del principio della concorrenza e della ricerca del profitto, elementi generatori delle terribili crisi di mercato, con il principio della direzione centralizzata dell’economia”.(30) Ci spiega anche il motivo per il quale l’URSS, liberata dalle crisi di mercato, si è liberata pure da un altro tipo di crisi dalle conseguenze forse uguali: quella dovuta a possibili errori commessi dagli addetti alla pianificazione. Se questo inconveniente non si verifica nell’Unione Sovietica ciò dipende dal fatto che in quel paese la democrazia economica ha conosciuto il massimo grado del suo sviluppo: non essendo il piano di pura pertinenza degli addetti ai lavori, ma sottoposto all’analisi e all’approvazione delle grandi masse lavoratrici non possono verificarsi casi di scompensi o di storture nel piano stesso che risulta così sempre adeguato agli interessi e ai bisogni del paese. Robotti inoltre, alle critiche che escludono la possibilità di pianificare un’intera vita economica di un paese, risponde con le cifre dei successi economici sovietici e alle critiche che ‘fantasticano’ (l’espressione è dell’autore) su una colossale burocrazia che la pianificazione comporterebbe, risponde esaltando la coscienza dei lavoratori sovietici che, con il loro impegno produttivo, dimostrano di essere l’elemento dirigente del processo produttivo e non dei semplici esecutori agli ordini di una supposta burocrazia. Grazie alla pianificazione, infine, l’URSS ha realizzato gli obiettivi essenziali per un regime socialista, di far corrispondere produzione consumo, al fine di evitare gli sprechi e di aumentare notevolmente il benessere della popolazione. Interessante argomento a questo proposito è stato sviluppato da Giorgio Kieser in un libro(31) di quel periodo. Kieser ricava dall’analisi della pianificazione sovietica una conseguenza importante: l’assenza di crisi dovuta al funzionamento dei meccanismi del piano. L’autore osserva infatti che, essendo i salari stabiliti centralmente dalla commissione pianificatrice, saranno sempre fatti corrispondere al valore delle merci che la produzione industriale agricola immetterà sul mercato. Da questo fatto risulterebbe una completa corrispondenza tra offerta e domanda e le sfasature pericolose che si verificano in regime capitalistico non avranno quindi luogo in Unione Sovietica: “Nell’economia pianificata invece il centro decide quale parte servirà allo sviluppo dell’apparato di produzione. La somma dei salari è fissata in modo preciso, essa corrisponde all’incirca alla quantità di beni di consumo che sono offerti alla vendita dopo la deduzione della parte riservata agli scopi di riproduzione …. Così si stabilisce un equilibrio tra l’offerta e la domanda. È in questo che risiede il grande vantaggio dell’economia pianificata russa. A ciò si aggiunge il fatto che la produzione nell’Unione Sovietica è costruita su un’altra base che nei paesi capitalistici. Sono i bisogni, non il …

INDUSTRIALIZZAZIONE E SOCIALISMO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 2 – Industrializzazione e socialismo I concetti espressi dalla totalità degli scrittori comunisti in riferimento all’industrializzazione, realizzata a passi da gigante nell’Unione sovietica si riducono sostanzialmente a due: 1) lo sviluppo intenso e mirabile dell’industria sovietica, l’enorme aumento della sua produttività starebbe a significare la completa vittoria del socialismo che avrebbe così portato, secondo le previsioni di Marx, ad un progresso prodigioso nello sviluppo delle forze produttive. 2) lo squilibrio che ancora si registra in URSS tra lo sviluppo dell’industria pesante e quello dell’industria leggera, a tutto favore del settore primario, è contingente, in quanto solo grazie allo sviluppo di questa l’altra, produttrice di beni consumo, può svilupparsi. Questo squilibrio è inoltre dovuto all’accerchiamento cui la Russia è fatta segno da tutto il mondo capitalista, da quando divenne il primo paese socialista del mondo. Fu quindi per difendersi contro eventuali aggressioni straniere (previsione che si è dimostrata terribilmente reale nel 1941) che l’Urss dovette privilegiare lo sviluppo dell’industria pesante e degli armamenti. Questi, dicevo, i due punti base dei giudizi comunisti sull’industrializzazione nell’Unione Sovietica; vediamone alcuni tra i più interessanti. Paolo Robotti nei suoi articoli riassume tutti e due questi concetti. Da una parte sottolinea infatti la stretta relazione esistente tra lo sviluppo delle forze produttive e la realizzazione del socialismo come premessa al comunismo. Il rapido sviluppo dell’industria e della produttività sovietica, a confronto di quella degli stati capitalistici, starebbe a dimostrare che solo il regime sovietico, socialista permette un così rapido sviluppo delle forze produttive e costituirebbe quindi l’unico sistema che può permettere all’umanità di compiere quel balzo in avanti verso una situazione di eguaglianza e di benessere economico : “Dal 1928 l’URSS ha più che decuplicato il volume della produzione industriale. In soli dieci anni ha aumentato di otto volte il numero degli operai e impiegati dall’industria. Tutto il mondo capitalista nel suo complesso in 80 anni – dal 1950 al 1929 – ha aumentato il volume della sua produzione industriale di nove volte, ma ha attraversato nello stesso tempo ben dieci crisi economiche molto vaste. Gli USA in 50 anni – dal 1880 al 1929 – hanno aumentato la loro produzione industriale di nove volte. Si vede quindi che il ritmo di aumento della produzione industriale nell’Urss è avvenuto a tempi ben più accelerati. In ciò sta appunto la superiorità del regime socialista. In ciò sta la premessa fondamentale per il passaggio ad una forma economico-sociale superiore: il comunismo.” (17) Dall’altra parte in un altro articolo (18) si riconosce che, come è stato per il primo piano quinquennale, anche in quello approntato dopo la devastazione operata dalla guerra, viene dato un valore predominante alla ricostruzione e allo sviluppo dell’industria pesante. Pur riconoscendo che i sacrifici che questo fatto comporta per tutto il popolo sovietico non sono indifferenti, esprime però la convinzione che comunque saranno più brevi di quelli supportati nel periodo iniziale dell’opera di industrializzazione del paese, quando il lavoratore russo mancava di esperienza e i tecnici erano pressoché inesistenti ed esprime la certezza che solo grazie allo sviluppo dell’industria primaria sia possibile imprimere un ritmo elevato di sviluppo anche a tutti gli altri settori industriali del paese. Anche Pavlowski con le stesse argomentazioni affronta il problema della compressione dell’industria leggera in Urss. Ammonendo gli organi di stampa e gli osservatori stranieri, colpevoli di avere espresso giudizi negativi sul regime a partire dalla constatazione del basso tenore di vita degli abitanti russi, fa presente che, pur essendo sbagliato confrontare il livello di vita russo con quello degli stati occidentali che hanno alle loro spalle uno sviluppo industriale molto più antico di quello sovietico, vi furono delle motivazioni e delle ragioni ben precise che indirizzarono su quella via lo sviluppo industriale sovietico. Queste motivazioni consistono nel fatto che da una parte la Russia fu costretta a destinare al mercato solo una parte della propria produzione industriale in quanto l’opera di industrializzazione richiedeva la maggior parte dei prodotti (in termini di mezzi produzione) e dall’altro nel fatto che, minacciata da ogni parte, doveva dedicare buona parte della propria attività industriale alla produzione di armamenti: “Minacciata da Oriente dall’espansionismo nipponico e da occidente dalla graduale ascesa del nazismo, il quale già nel 1923 aveva effettivamente dichiarato, nel Mein Kampf, una guerra di rapina alla Russia, l’Unione sovietica era costretta alla diversione di una grande parte delle sue industrie a scopi economicamente improduttivi, rappresentati da armamenti di ogni genere. Dall’altra parte, durante i piani quinquennali l’economia sovietica poteva dare alla popolazione soltanto una parte della sua produzione, il resto essendo destinato all’investimento per assicurare lo sviluppo ulteriore delle industrie, condizione che non esisteva prima della guerra in Inghilterra, negli Stati Uniti od in Francia, ove le industrie lavoravano in primo luogo per il mercato.” (20) Molto meno problematico invece l’articolo di Michele Pellicani (21) che dà già per risolta questa contraddizione tra industria pesante e industria leggera: a parere dell’autore, infatti, se il primo piano quinquennale fu orientato verso il potenziamento dell’industria primaria, già con il secondo la carenza di beni di consumo fu risolta grazie al potenziamento del settore secondario. Il che sta quindi a dimostrare la superiorità del regime socialista sovietico. Per quanto riguarda invece l’altro punto centrale, la relazione tra lo sviluppo industriale del paese e la realizzazione del socialismo, troviamo un interessante contributo di Agostino Novella (22). Dopo aver sottolineato con dovizia di dati e di argomenti come il mondo capitalista fosse stato travolto dalla violentissima crisi economica del 1929-32 (“La società capitalistica entrava nella crisi più lunga e profonda della sua storia” (23)) che significò il crollo della produzione industriale, la distruzione in massa di prodotti di prima necessità, la disoccupazione per venti milioni di lavoratori (“tutti fatti che da soli bastano a provare il fallimento del sistema” (24)) passa …

SOCIALISMO REALIZZATO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO Affrontando in questa sezione il pensiero comunista a proposito dell’Unione sovietica, debbo ripetere osservazioni già fatte nell’introduzione: è necessario sfoltire l’intricata selva di ditirambi di laudi e soffermarsi soltanto su quegli articoli che, accanto all’inevitabile esaltazione del modello sovietico, presentano almeno dagli sviluppi teorici degni di attenzione. Abbiamo strutturato l’esposizione delle loro teorie suddivise in quattro sezioni per facilitare il compito e per esigenze di chiarezza. 1 – Collettivizzazione agricola e socialismo Il carattere socialista della collettivizzazione nelle campagne sovietiche è indubitabile per gli scrittori comunisti. Essa, infatti, abolendo la proprietà privata della terra e introducendo la proprietà collettiva del suolo, avrebbe permesso di spiccare lo storico volo necessario al superamento del capitalismo e all’adeguamento della base economica del paese al modello ideale socialista cui il popolo russo aveva aspirato dalla rivoluzione del 1917. Per questi scrittori questa rivoluzione agraria portò indubbi benefici, anche e soprattutto materiali, al mondo contadino. Passiamo all’analisi diretta di queste tesi. Ci occuperemo innanzitutto di tre articoli scritti da un economista sovietico Yuri Pavlovsky, per la rivista dell’Associazione di amicizia Italia – Urss, “Cultura sovietica” (1). Pavlowski non si limita ad esaltare il carattere socialista della misura politica della collettivizzazione agraria, ma ci fornisce anche le motivazioni concrete che spinsero il governo bolscevico con un’urgenza drammatica a realizzarle. Egli dice infatti che fu la necessità di sviluppare le forze produttive il fattore che pose all’ordine del giorno il bisogno di industrializzare il paese, le cui carenze sul piano economico erano esiziali: sproporzione fra la popolazione rurale e quella cittadina, con la relativa congestione rurale e la conseguente scarsezza dei mercati, l’esiguità del reddito nazionale e medio per abitante, l’esigua importanza nel reddito nazionale della parte monetaria in confronto a quella naturale. Queste carenze, interagendo tra loro, creavano una specie di circolo vizioso in quanto per industrializzare il paese necessitava un aumento della produzione agricola a basso prezzo che servisse a questo scopo, ma per ottenere questo risultato era altrettanto indispensabile fornire all’agricoltura quei mezzi di produzione moderni che solo un paese industrializzato poteva darle. Questo circolo vizioso fu spezzato, ci dice l’autore, seguendo l’ortodossia marxista, in altre parole realizzando il socialismo che si concreterebbe quindi nello sviluppo massimo delle forze produttive: “Ci si trovava dunque in una specie di circolo vizioso: per poter industrializzare il paese, ci si doveva rivolgere anzitutto all’agricoltura, ottenendone a prezzi molto modesti un forte incremento della quota destinata al mercato, ma per aumentare questa quota, l’agricoltura doveva intensificare la produzione: cosa che non poteva fare se non alla condizione che l’industrializzazione stessa le assicurasse mercati e prezzi soddisfacenti. Il circolo vizioso fu tagliato seguendo rigorosamente i principi della dottrina marxista dell’evoluzione della produzione sotto la spinta della tecnica moderna, nel senso del concentramento delle aziende in unità sempre più grandi e dell’eliminazione delle piccole unità produttrici non rispondenti ai criteri di efficienza imposti dal progresso dei mezzi di produzione”. (2) Che questa uscita dal circolo vizioso in cui si trovava il paese avesse significato uno sfruttamento (evidentemente il russo non usa questa espressione) dell’agricoltura a favore dell’industria è parzialmente riconosciuto dall’economista. Egli riconosce infatti che nella fase iniziale l’agricoltura dovette fornire al governo i mezzi per avviare l’industrializzazione. In pratica ciò ha significato la fornitura di derrate agricole a basso prezzo al governo per alimentare l’esportazione, la sola che potesse far affluire nel paese quei capitali dei quali il governo aveva urgente bisogno e ne era in quel momento privo: “Il grande lavoro costruttivo dei piani quinquennali, iniziato nel 1927 – 28, doveva appoggiarsi, specie nelle sue fasi iniziali, essenzialmente sull’agricoltura. Questa doveva fornire al governo i principali mezzi sotto forma di prodotti agricoli per l’opera di industrializzazione. Nessun’altra fonte, adeguata ai bisogni, di capitale per l’investimento nell’industria in corso di creazione, salvo quelle rappresentate dall’agricoltura e dall’esportazione, era a disposizione del governo sovietico nel paese stesso o nei mercati di capitali esteri”. (3) L’autore conclude affermando che dopo questi primi dolorosi inizi la situazione generale risultò notevolmente migliorata e la collettivizzazione delle terre che “permise l’inquadramento dell’agricoltura nel sistema industriale socialista”, ha portato ad una situazione nettamente migliore per lo stesso contadino che, liberato dalla necessaria compressione dei primi anni, gode di un benessere e di un tenore di vita senz’altro più elevato di quello precedente, grazie soprattutto all’introduzione dei trattori e alla meccanizzazione dell’agricoltura stessa, resa possibile proprio dai suoi stenti iniziali. (4) Il benessere e i risultati positivi non sono limitati al contadino e alle campagne, ma si sono estesi a tutto il paese, grazie sempre all’aumento della produttività agricola che la collettivizzazione ha comportato: “La produttività del lavoro dei contadini nell’azienda collettiva è aumentata enormemente in confronto con l’azienda contadina individuale condotta secondo i metodi tradizionali. Questo aumento di produzione era naturalmente dovuto non solo alla meccanizzazione, col conseguente miglioramento delle lavorazioni, ma anche a varie altre ragioni: migliore concimazione, introduzione di avvicendamenti più razionali delle culture, sostituiti in molti casi al vecchio sistema, virtualmente forzato, sulle terre ai contadini comuni, dei tre turni, con un terzo della terra arabile a maggese o da altre ancora più primitive …. Grazie a questi miglioramenti, dovuti alla collettivizzazione delle aziende contadine, l’agricoltura sovietica ha potuto mettere sul mercato, comprese le vendite obbligatorie allo stato, una quantità superiore di circa 160 – 170 milioni di quintali a quella messa sul mercato da quella russa in media annua prima della guerra del 1914 – 18.” (5) Voglio ora fissare i due concetti base che traspaiono da questi articoli e ne costituiscono l’ossatura: a) l’industrializzazione e la collettivizzazione agricola furono realizzate con l’unica finalità di sviluppare le forze produttive, b) lo sviluppo delle forze produttive con il relativo miglioramento delle condizioni di vita del popolo stanno a dimostrare la definitiva realizzazione del socialismo in Urss. Questi …

ANCORA SUL NEXT GENERATION EU

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Cambio di passo Nonostante tutte le polemiche politiche (che con Salvini giungono alla proposta di non accedere al Next Generation EU e ricorrere invece ai risparmi degli italiani) ritengo questa proposta un passo avanti decisivo verso una Europa che, con l’emissione di eurobonds, muta la sua natura di occhiuto ragioniere per diventare qualcosa di più strutturato. Certo, l’entusiasmo, anche se moderato, viene subito gelato dal comportamento dei paesi dell’est alla proposta della von der Leyen di rivedere il trattato di Dublino. Comunque qualcosa si sta muovendo, e soprattutto l’Italia dimostra di essere presente ed anche un po’ più protagonista. Un principio unitario di sinistra Ora il problema è come utilizzare i fondi che dovrebbero arrivare dall’Europa. Mi pare che piuttosto di addentrarci, cosa che comunque non mancherò di fare, nell’esame del merito dei progetti proposti dal governo, cosa che ci disperderebbe sui contenuti e sulle valutazioni di merito, sarebbe meglio concentrarci su due principi basilari sui quali mobilitare tutte le forza di sinistra; principi chiari e semplici, parole d’ordine sulle quali radunare le disperse truppe di quella che una volta era la sinistra: Principio numero 1 RECOVERY FUND: NON SPENDERE MA INVESTIRE I fondi ricevuti devono servire a creare PIL e quindi dare alla prossima generazione le risorse che, oltre a modificare l’assetto dell’azienda Italia più produttiva e tecnologizzata, la aiutino a ripagare il prestito. Il che vuol dire che tutti i fondi vanno in investimenti e non in spesa corrente o minori imposte. Principio numero 2 NON UN EURO REGALATO AL CAPITALE I fondi che ci vengono erogati vanno restituiti, quindi devono essere investiti dalla comunità per la comunità e non possono quindi essere regalati sotto forma di sussidi, fondi perduti, agevolazioni fiscali o quant’altro al capitale privato che se ne approprierebbe e poi non parteciperebbe al rimborso del prestito. Van bene imprese pubbliche, partecipazioni societarie in imprese miste, prestiti fruttiferi a imprese private, non sono accettabili trasferimenti netti dalla comunità al capitale privato.                 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BUON COMPLEANNO PRESIDENTE!

  di Vincenzo Lorè – Responsabile comunicazione Socialismo XXI |     Sandro Pertini. Strenuo difensore dei diritti civili e della Costituzione Passato alla storia come il Presidente più amato dagli italiani. Un uomo che si trovò ad affrontare i sanguinosi colpi di coda del terrorismo, lo scandalo della Loggia massonica P2, l’attentato alla stazione di Bologna, il terremoto in Irpinia. Combattente della Grande Guerra, medaglia d’argento al valor militare, socialista, partigiano, e membro della Costituente, presidente della Camera e figura capace di reinterpretare il ruolo del Capo dello Stato, Sandro Pertini è stato tutto questo, ma anche tanto altro. Pertini è stato soprattutto l’uomo che ha riavvicinato il Paese alle Istituzioni -ESATTAMENTE IL CONTRARIO DEGLI ULTIMI DUE SUOI SUCCESSORI- in un momento di grande crisi istituzionale. Il suo primo discorso fu già un manifesto della sua presidenza: “Svuotate gli arsenali e riempite i granai”: quel discorso racchiude la sintesi del suo fascino. Questo era un linguaggio inusuale con il sapore immaginifico, come quando dice: la nostra Repubblica giusta e incorrotta, forte e appassionata. Tra le sue celebri frasi: Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame. “Ho vissuto a Milano una esperienza che mi ha confermato nell’idea che il nostro popolo è capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà e del socialismo”. “Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.” Il ricordo di Pertini è sempre vivo nella memoria degli italiani. Il suo esempio di lotta per la libertà e la democrazia deve essere trasmesso ai giovani, che non hanno ben chiaro che cosa stia succedendo oggi in Italia.  Questo momento storico lo avrebbe vissuto male e ci avrebbe indotto a reagire agli attacchi perpetrati verso i principi cardini della democrazia. C’è un continuo alimentare di confusione e si sono persi gli ideali per i quali lui ha combattuto e mancano importanti punti di riferimento politici, manca un PARTITO SOCIALISTA. Al centro del pensiero e dell’impegno di Pertini c’è un’idea forte e irrinunciabile di eguaglianza che ha come sua conseguenza la negazione di ogni privilegio e consorteria. Il Presidente più amato dagli italiani, simbolo per tutti di una nazione possibile e sognata, voleva che l’Italia divenisse una «Repubblica declinata al plurale», dove a prevalere fossero il dialogo sul sopruso, la condivisione sull’egoismo, il bene comune sull’interesse privato. Pertini rappresenta un mondo politico e sociale che non c’è più e al quale tutti guardiamo con un pò di nostalgia, auspicandone il ritorno! “Ma dovete credermi, e ve lo dico senza iattanza, senza presunzione, se vi dico che noi, con il nostro passato, con la nostra vita, sacrificando anche la nostra giovinezza, abbiamo lavorato anche per voi… perché voi possiate essere, come io voglio che siate, sempre degli uomini liberi, degli uomini liberi in piedi, padroni dei vostri pensieri, dei vostri sentimenti, non dei servitori in ginocchio.” – Sandro Pertini. …intanto tutte tutte le istituzioni rappresentative risultano delegittimate AL PUNTO DA RISULTARE IN SERIO PERICOLO…la democrazia ce la stanno sfilando a colpi di fake e false riforme. Alla luce di questo scenario occorre reagire con fermezza! *Custodire documenti e tracce della storia, della nostra storia socialista, non è impegno di retroguardia o mera funzione nostalgica… Conservare e ricercare è l’indispensabile impegno complementare ad una azione culturale e politica che cerchi il senso della propria identità. (V.L.) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DOBBIAMO RICOMINCIARE!

  di Massimo Peruzzi– Socialismo XXI Lazio |   E’ indispensabile oggi, fare una seria riflessione sul domani che andremo a vivere noi Socialisti. O chi si sente e vive da Socialista decide di farlo a prescindere di tutto ciò che gli gravita intorno e si ricomincia ad essere “socialista”, riunirsi, radunarsi,  ricreare colloquio con tutti i compagni,  ricominciare a sentirsi il Socialista che si era e si è dentro, oppure saremo costretti a vivere di illusioni, rammarichi e rivisitazioni di un tempo che fu. Citare sino alla noia Turati, Matteotti, Nenni, Pertini, Craxi e fare forbita accademia di un mondo che no, non c’è più, ma che non siamo stati capaci, umili e tanto socialisti da mantenere in vita. E’ inutile fare Accademia, bisogna ricominciare ad individuare quelli che sono i punti critici del proletariato attuale che potrà pure parlare più sensato, più colto, motivato, vestirsi non più obbligatoriamente con una tuta o un grembiule da lavoro, saper usare un PC, ma sempre proletariato rimane.  Dobbiamo riuscire a comprendere che è inutile, dannoso riuscire a rappresentare un esiguo numero di aderenti, pur se i gruppi risultano numerosi, come una odierna analisi evidenzia, ma in definitiva annoveriamo, ad esempio, dieci raggruppamenti, per così dire, socialisti, che alla luce dei fatti non contano assolutamente nulla, con sommo gaudio degli avversari che per la loro maligna ed interessata indole parapolitica, hanno indotto la popolazione, stanca di ruberie, collusioni, ammanchi, peculati di vario colore e genere, a cercare di porre rimedio assecondando l’illusorio progetto del depauperamento del numero di deputati e senatori, aprendo la strada ad una futura e possibile gestione del Governo da parte di una ristrettissima cerchia di prestabiliti potenti nominati da un “Sistema” dove il popolo torna ad essere un fattore numerico anziché libero e valente, fenomeno innescato  da una “forza” politica che della stessa non conosce né la parola né il significato. La popolazione tornerà a godere di quanto prestabilito dal futuro “burattinaio”, di lavorare se questi organizza un “ciclo produttivo” che interessa a lui e non certo alle famiglie dei lavoratori, dove la libertà di crescere non sarà più di tutti, ma dei prescelti o preferiti dal “Sistema”. Ed i Socialisti, almeno a mio modesto parere, debbono cessare di interessarsi alla sparizione di una certa sinistra, ad un certo modo di contrastare una riemergente destra, ma dobbiamo interessarci esclusivamente e solamente di ricreare il Socialismo in questo Governo, Regione, Provincia, Comune e preoccuparci di raggiungere questo solo fine e quindi rivivere. Sono anni che si sente incitare, esclamare … Avanti!, ma non ci siamo resi conto che proprio chi ci rappresentava sul palcoscenico politico, ci aveva costretto a tornare Indietro. Nencini, Renzi ed Italia Viva, è stata la goccia che ha fatto traboccare l’orlo del bicchiere di fiele che ci hanno indotto a trangugiare. Non sono nessuno, ma invito i compagni a riflettere sullo sparato della attuale condizione del Socialismo nel nostro Paese, e cogliere ed accettare l’invito che facciamo noi tutti dal più piccolo, quale il sottoscritto, al più emerito e titolato a farlo, di Socialismo XXI, a che ci si ritrovi tutti a Genova per riguardarci tutti negli occhi, portare i nostri progetti, avanzare le proposte e quindi a partecipare alla stesura di un programma di ricomposizione di intenti, unità e traguardi. Abbiamo subito l’onta della gogna, della mortificazione dell’allontanamento da tutti per poi diventare lo “zerbino” di tutti? Riuniamoci, ricomponiamoci, e riacquisiamo valenza, poi ci sarà tutto il tempo, all’interno di una famiglia socialista, di discutere tra di noi.  Ma in Famiglia, Budda sacro e non in un salotto o dinnanzi ad una telecamera!   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ZAGREBELSKY E’ ZAGREBELSKY

  di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   Il prof. è uno dei tanti candidati alla Presidenza della Repubblica. E’ un suo diritto, come cittadino italiano con 50 anni compiuti (art.84 Cost.). Se eletto alla suprema funzione la assolverebbe con disciplina e onore (art. 54 Cost.) Se il successore di Mattarella è scelto da questo p(P)arlamento, un candidato sgradito al M5S, per essersi pronunciato per il NO, non ha chances. Se è eletto da quello decapitato il candidato dovrà piacere al cdx. Basta saper aspettare il semestre bianco, che inizierà il 2 agosto 2021, per strologare. La procedura referendaria è stata illegittima per violazione degli artt.72 c.1 e c.4 Cost. perché le norme sull’election day, comprensivo del referendum, non sono state votate una per una dalle Camere con una procedura normale (cfr. Lodo Lotti pur trattandosi di materia costituzionale ed elettorale. Il voto di fiducia sull’articolo unico di conversione del decreto legge n. 26/2020 ha impedito, che nell’approvazione finale la Camera, Senato della Repubblica, esaminasse gli art. 1 bis e 1 ter aggiunti dalla Commissione Affari della Camera dei Deputati, in violazione, per la parte relativa al referendum costituzionale ex art. 138 Cost.,dell’art.77 Cost. nell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.32/2014 (estensore Cartabia). L’accenno svolto in sede di pregiudiziale non costituisce esame nel merito degli articoli aggiuntivi. Senza i SÌ delle regioni chiamate al voto l’effetto confermativo non ci sarebbe stato, come pure dei voti espressi nel giorno 21 settembre in violazione dell’art.15 c. 2 legge n. 352/1970, che prevede il voto nella sola domenica come eccepito da alcuni elettori nei verbali delle sezioni elettorali 1220 e 381 di Milano, n. 1 di Pontey Val d’Aosta, n. 5 di Francavilla al Mare (Chieti), in 10 sezioni di Vicenza da un rappresentante di lista, a Napoli e a Trieste e quanti altri lo faranno sapere in questa lista anche al fine di un reclamo ex art. 23 legge n. 352/1970 all’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione. L’informazione istituzionale è stata fuorviante ripetendo più volte al giorno ossessivamente sui canali RAI che si trattava di referendum “confermativo”, aggettivo estraneo al testo dell’art.138 Cost. e dell’art. 15 legge n. 352/1970. Il popolo si è espresso con chiarezza, ma questo non basta perché l’art. 1 c. 2 è perentorio “. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“!, Quindi soggetto alla Costituzione e alle leggi e nel caso di specie vengono anche in gioco i limiti di violazione di principi costituzionali supremi, intangibili, come il principio di eguaglianza, anche da norme di rango costituzionale (sent. n. 1146/1988 Corte Cost.): una questione di cui fui presago nel lontano 1969 con la tesi “ Il controllo materiale di costituzionalità sulle norme formalmente costituzionali nella Repubblica Federale Tedesca” con i proff. Paolo Biscaretti di Ruffìa e Valerio Onida”. Pace e Bene alle donne e agli uomini di buona volontà. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CAMBIANO I NUMERI DEL COVID-19

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   I dati sulla diffusione del virus cui stiamo assistendo danno una nuova visione sulla seconda ondata attesa per quell’autunno che oggi è iniziato. Due riflessioni si pongono: ∎ Se, come pare, la rigidità del lockdown italiano sta mostrando di essere stato più efficace di quello adottato dagli altri paesi, non possiamo che congratularci con il governo e con la responsabilità mostrata dai cittadini italiani. Di fronte alla situazione di Israele, Francia, Regno Unito i nostri dati sembrano far sperare nella efficace interdizione, tramite attacco ai focolai, dell’agressività di una seconda ondata. Va da sé, ed è elemento molto importante, che le ricadute negative sull’economia dovrebbero essere evitate non prggiorando ulteriormente la situazione economica del nostro paese. Ciò eviterebbe anche preoccupanti risvolti sociali. ∎ Ma se i danni del Covid dovessero mutare tra i paesi europei, se cioè l’Italia ha ricevuto (?) 209 miliardi sulla base dei danni da Covid stimati qualche mese fa, poiché queste cifre non sono ancora definitive, un mutamento della situazione potrebbe portare a rivedere i criteri di ripartizione che conosciamo e che riporto? Voci Totale Prestiti Sussudi Recovery & reliance plan 191.4 127.6 63.8 React europe 15.2 0 15.2 Altre voci 2.0 0 2.0 Totale 208.6 127.6 81.0 Totale Europa 750.0 360.0 390.0   Oppure sarà necessario pensare ad una Second Next Generation EU, cioè a ulteriori eurobonds da ripartire in base alle nuove stime di danni Covid.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ORIGINE E FORTUNA DELLA TEORIA DEL ‘CAPITALISMO DI STATO’

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE SECONDA IL CAPITALISMO DI STATO ORIGINI E FORTUNA DELLA TEORIA DEL ‘CAPITALISMO DI STATO’ Federico Engels e il ‘capitalismo di stato’ La teorizzazione che lo stato possa gestire l’insieme dei mezzi di produzione, pur mantenendo intatto il sistema economico di tipo capitalistico, non è nuova nel campo del pensiero marxista. Già Federico Engels, nell’Anti-During’ (31) prospettata tale possibilità. Engels, descrivendo il processo di centralizzazione capitalistica, conclude prospettando appunto la possibilità che un giorno il capitale nel suo complesso sia concentrato nelle mani dello Stato e che questo possa avvenire “senza sopprimere il carattere di capitale delle forze produttive, mantenendo il modo di produzione capitalistico“ (32). Questo passo sarà, a parere di Engels, la preparazione integrale del successivo: l’espropriazione dei capitalisti (33). In questo caso lo stato diventerebbe ‘il rappresentante collettivo dei capitalisti’ e gestirebbe l’intera produzione nell’interesse dei capitalisti stessi (34). Ora, se si deve sottolineare la presenza di queste concezioni già nel pensiero marxista classico, non si deve però ritenere la teoria elaborata dai bordighisti come diretta filiazione di questo particolare pensiero engelsiano. Le differenze ci sono certamente. Engels parlava infatti della possibilità di uno ‘stato gestore’ della produzione nell’interesse dei capitalisti, avendo soprattutto presente la nazionalizzazione delle ferrovie attuata da Bismarck in Germania: doveva quindi dimostrare che non    necessariamente ogni nazionalizzazione costituisce un’uscita dal quadro del capitalismo verso il socialismo (35) e arrivava in questo senso anche ad ipotizzare che la gestione in toto di tutta la produzione industriale poteva lasciare intatto il quadro economico capitalista. La differenza sta quindi nel fatto che in Russia le cose non erano andate in quel modo: la nazionalizzazione delle industrie lì aveva realmente espropriato i vecchi capitalisti e la produzione non fu quindi organizzata e gestita nel loro interesse. Gli avvenimenti russi portarono effettivamente a qualcosa di nuovo nel processo storico: la vecchia classe capitalista scomparve senza appello. Engels aveva previsto uno stato gestore al servizio della classe capitalistica, i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato dovrebbero sforzarsi di identificare con chiarezza la nuova classe capitalistica, dato che la vecchia è scomparsa, in nome della quale lo stato organizza e gestisce la produzione. Abbiamo d’altronde visto nelle pagine precedenti come questo compito – identificare la nuova classe capitalistica – si presenti arduo e difficoltoso. Possiamo quindi affermare che, se da una parte nel pensiero marxista e particolarmente in Engels è data effettivamente la possibilità teorica e pratica dell’esistenza di un regime a capitalismo di Stato, dall’altra il pensiero bordighista riferito all’URSS non soddisfa tutte le condizioni poste da Engels come necessarie per definire un tale sistema economico, prima di tutte la necessità di individuare una precisa classe dei capitalisti. b)  Fortuna della teoria. Nonostante la problematicità e le contraddizioni in cui incappa questa teoria, contraddizioni che mi sono sforzato di illustrare nel capitoletto dedicato alle critiche, sembrerebbe che la storia successiva, politica ed economica, del sistema sovietico le abbia dato ragione, o almeno che le abbia fornito qualche elemento di validità. Effettivamente con le riforme kruscioviane e ancor più con quelle proposte da Kossigin e approntate da Breznev nel 1965 vengono ristabiliti in URSS alcuni principi di mercato: gli indici di controllo dei vari aspetti della produzione imposti dal piano si riducono da 30 a 8, ai managers (direttori delle aziende) sono riconosciuti notevolissimi poteri, quali quello di fissare il numero dei dipendenti dell’azienda, prima fissati dal piano, i ritmi di lavoro, la distribuzione interna dei salari, eccetera. E non sono in pochi a credere che da quelle riforme la teoria del ‘capitalismo di Stato’ tragga non pochi elementi di verifica. Sostiene infatti Giorgio Galli nella prefazione ad un libro di Bordiga (36): “L’ulteriore evoluzione negli anni delle riforme kruscioviane e sino a quelle prospettate nell’ultimo comitato centrale del PCUS (settembre 1965) sembra andare precisamente nella direzione indicata dall’interpretazione bordighiana, nel senso che gli elementi comuni e similari tra l’economia capitalistica tradizionale e quella sovietica si sono andati facendo sempre più evidenti. L’economia dei paesi occidentali economicamente più avanzati è venuta oggi assumendo le caratteristiche proprie di un capitalismo sempre più coordinato e razionalizzato, nel quale il ruolo dei pubblici poteri è andato aumentando, senza che siano venute meno, nell’essenziale, le caratteristiche di fondo dell’economia di mercato. Per contro la pianificazione rigida e centralizzata basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione – peculiarità dell’economia sovietica negli anni in cui Trotzky scriveva – va oggi cedendo il passo, nell’URSS a forme nelle quali l’orientamento fissato dal Gosplan in materia di investimenti e di ripartizione del reddito tende a coesistere con una nascente autonomia degli organismi produttivi aziendali attorno ai quali si viene sempre più strutturando un vero e proprio mercato. Così le categorie, fondamentalmente capitaliste, nel senso che Marx dava a questo termine, del prezzo, del profitto, della comunicazione, riproduzione e circolazione del capitale, tendono a riapparire, anche terminologicamente nell’Unione Sovietica, a quasi mezzo secolo di distanza dalla Rivoluzione d’ottobre …. Per quanto suggestive siano dunque le teorie che si richiamano ad una nuova forma di produzione (collettivismo burocratico) che sia diversa dal capitalismo senza per questo essere socialista – spezzando così la successione logica dei cicli produttivi quali il marxismo li ha definiti – sembra che le vicende che si succedono da un ventennio a questa parte forniscano maggiori argomenti a coloro che non vedono invece nell’URSS un’eccezione alla regola dello sviluppo capitalistico.” (37) Dal 1968 quella teoria ebbe una circolazione molto più diffusa grazie alla posizione ad essa favorevole che assunse, proprio a partire da quell’anno, il Partito Comunista Cinese. Infatti, su Remin Ribao del 30 agosto 1968 si poteva leggere: “La  cricca dei rinnegati revisionisti sovietici ha non solamente restaurato  completamente il capitalismo nel suo paese, ma anche accanitamente perseguito una politica imperialista all’estero.” (38) L’attenzione che in quell’anno si prestava alle posizioni dei compagni …