AL REFERENDUM DELLA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI VOTARE NO!

di Antonio Foccillo |

L’idea di democrazia, con il tempo, con le nuove generazioni, sembra quasi sfuggirci dalle mani, in uno scollamento sempre più sensibile tra rappresentanti e rappresentanti. Oggi nella società vi è una smarrita consapevolezza di poter incidere, anche in minima parte, nei processi decisionali dell’impianto democratico del nostro Paese. In sostanza, si stenta a riconoscersi a pieno titolo in qualcosa di più grande di cui ci si sente attivamente partecipi.

Bisogna ricreare le condizioni per stimolare la discussione e la partecipazione per evitare che l’apatia mini alla radice la possibilità di cambiare le cose.

Il concetto di democrazia corre di pari passo con quello della partecipazione. La partecipazione consapevole è concepibile solo allorquando vi sono diversi strumenti e luoghi cui poter accedere per potersi costruire un’idea su quello che ci circonda, attraverso l’informazione, l’ascolto e il dialogo. Senza questi luoghi, questi momenti, dai più piccoli fino alle istituzioni parlamentari, la pluralità insita della partecipazione viene meno e prendono vigore individualismi e verità inconfutabili.

In questi anni, abbiamo assistito prima al declassamento dei partiti e delle loro strutture verticali a livello territoriale, poi gli attacchi alle Istituzioni, ed infine alle organizzazioni sindacali. Abbiamo permesso, anche con il favore dell’opinione pubblica, opportunamente costruito con campagne ad hoc, il superamento del finanziamento pubblico dei partiti, confinando ancora di più la politica a cosa di pochi noti. Il tutto in un quadro dove la rappresentanza ha gradualmente ceduto il passo a ottiche non più proporzionali ma sempre più maggioritarie e distorsive del voto.

Si sono attaccate le Costituzioni del dopo guerra perché la nuova filosofia del pensiero unico neoliberista le riteneva troppo intrise di orpelli garantistici che non rispondevano più alla velocità delle decisioni necessari ai nostri tempi. Proprio quest’ultimo concetto sembra il mantra forte dell’ennesima riforma a ribasso della democrazia, il taglio dei parlamentari. Il rischio, è quello che si crei una vera casta, soprattutto in un sistema dove il finanziamento delle associazioni partitiche si presta a cederlo a influenti gruppi di potere; dove le spinte maggioritarie restringono l’accesso alle minoranze; dove ci sono nominati e non più preferenze, dove i diritti cedono dinnanzi a pareggio di bilancio; dove la politica dal basso non ha più luoghi per esprimersi e creare nuovi gruppi dirigenti.

Ancora, una parte dell’attuale gruppo dirigente della politica muove da un’idea della democrazia svincolata dagli strumenti della politica del novecento e che si riconosce in un “click”: la “democrazia diretta” del blog, delle piattaforme online, del tweet, dei like e dei dislike. Una partecipazione rapida e dal divano di casa, con gli occhi sul device a portata di mano. Questo sono diventati gli strumenti a disposizione di chi vuole avventurarsi nella partecipazione politica.

È ovvio che un’idea simile faccia il paio con la riduzione dei parlamentari, ed è coerente con chi ha soppiantato la le sezioni con i meetup e con chi proponeva premio di maggioranza e sorteggio dei parlamentari per raggiungere ampie maggioranze

Con la riduzione dei parlamentari la capacità reale di scelta dei cittadini, pertanto si affievolirà ancor di più. Se si vuole ragionare ancora di democrazia non è accettabile rimanere indifferenti di fronte alla delegittimazione popolare di un organo costituzionalmente riconosciuto come il Parlamento.

L’astensionismo, l’apatia, l’entusiasmo per la politica non potranno essere risvegliati da una scelta simile. Rimango convinto dell’idea che, invece, bisognerebbe ridare dignità a quegli strumenti del novecento che se ancora oggi in tante esperienze resistono e convincono, vedi il sindacato, non si comprende perché dovrebbero essere spazzati via come si sta facendo. Nulla potrà cambiare se i mezzi del dibattito rimarranno chiusi ai social, anche perché non può in questi frangenti definirsi tale il dibattito, perché non c’è. Troppo sono i filtri a una vera comunicazione e scambio di idee, che non possono affidarsi ad un post o, ancora di più paradossalmente, vedrete con il tempo, a un’immagine.

Oggi ancora di più si pone il problema, viceversa, di riprendere l’azione per ridefinire i contenuti di una società dove siano salvaguardati la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro al diritto alla vita; dalla sicurezza sociale e personale al ripristino del potere di acquisto e ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà, alla partecipazione alle scelte, come la Costituzione statuisce. Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto.

Pertanto da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze. La parte sana della società deve evidenziare al Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante illegalità della finanziarizzazione dell’economia e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico-istituzionale che stiamo vivendo. Bisogna ridare alle istituzioni la loro autorevolezza in modo che, ancor prima che con le norme, possano divulgare la cultura dell’economia sociale, della partecipazione, dell’emancipazione civile, democratica e sociale.

Per far questo bisogna anche importante tornare a parlare di cosa è e cosa dovrebbe rappresentare un partito, muovendo fin dalla sua etimologia e dalle sue radici storiche. Spiegare perché le persone sentivano il bisogno di unirsi, di mediare i propri desideri personali per il benessere comune.

Rileggere le ideologie alla luce della storia per comprendere quanto opportunismo si celi dietro i partiti personalistici o dei leader che continuano a spuntare come funghi. Penso che il nostro Paese la chiave di volta non sia la democrazia del click, ma quella delle assemblee, delle sezioni di partito, delle camere territoriali del lavoro, delle Rsu, dei congressi, delle persone che si guardano negli occhi e soprattutto che sia ripristinata la partecipazione e sovranità popolare con un Parlamento di nuovo eletto dai cittadini e non ridotto nella sua rappresentanza.