LA CRISI DEL NEOLIBERISMO: PERCHE’ L’EUROPA NON GUARDA ALLA SOCIALDEMOCRAZIA?

di Christian Vannozzi |

La politica economica neoliberista è stata ormai adottata nell’Unione Europea fin dai tempi della moneta unica, l’euro infatti nasce con una forte vocazione neoliberista, quel regime politico economico che ha reso grande, si fa per dire, gli Stati Uniti d’America, e altri stati del mondo. Certo il neoliberismo può generare ricchezza e benessere, specialmente ai così detti capitalisti, ovvero coloro che investono il loro capitale in un’impresa, e tra questi possono essere annoverate anche le banche, essenziali per la moltiplicazione del capitale, in quanto per fare impresa c’è bisogno di liquidità, e questa liquidità per l’appunto viene data dalle banche, che sono il vero fulcro del neoliberismo. Ma vediamo più nel dettaglio cosa è questo neoliberismo.

Per capirlo occorre prima soffermarsi in linee generali sul liberismo, naturalmente non ci soffermeremo nei dettagli economici, per quello servirebbe un economista, ma in linee generiche basta sapere che per l’economia liberista lo Stato è superfluo, anzi, a volte può essere anche dannoso, in quanto l’economia deve essere in grado di aggiustarsi e muoversi da sola, senza alcun intervento statale. Grazie a questa cosa i vari imprenditori d’impresa possono fare un po’ quello che vogliono, senza incorrere in leggi statali che possano limitare, anche a tutela del lavoratore, la propria azione, rischiando il meno possibile.

Naturalmente tutto questo va a discapito dei lavoratori, che possono essere facilmente sacrificati e non pagati per il bene dell’azienda, in virtù del fatto che prima o poi il sistema economico è in grado da solo di riassorbire la disoccupazione e quindi elargire ricchezza a tutti, imprenditori e lavoratori. Occorre in pratica, secondo questi ‘santoni’ economici, solo attendere, forse anche qualche anno, per poter ricevere i benefici sociali del liberismo.

Oggigiorno, anche nell’Unione Europea, si persegue questo tipo di sistema economico, che dopo la Seconda Guerra Mondiale prende il nome di Neoliberismo, ovvero un liberismo non più settecentesco ma adattato al nuovo sistema economico odierno, che vede nella finanza, e non più nel solo capitale, la sua forza trainante.

Quello che l’Europa non capisce è che il sistema liberista entra in affanno facilmente, specialmente ora che il capitale è virtuale, e non più reale come potevano essere i reali oggetti prodotti, ora, argento petrolio ecc., e farne le spese furono in primis gli Stati Uniti, che nel ’29 furono letteralmente messi in ginocchio dalla crisi, da cui si risollevarono grazie all’energica presa di posizione del presidente Franklin Delano Roosevelt, che adottò in economia le teorie keynesiane, ovvero di intervento statale per garantire l’occupazione attraverso opere pubbliche. Tutto questo perché a dispetto degli esperti l’economia non si stava riaggiustando da sola, e lo Stato è dovuto attivamente entrare in campo aggiustando i rpoblemi sociali che la disoccupazione e i fallimenti d’impresa creano.

Gli Stati Uniti, come ben sappiamo, non hanno mai imparato la lezione del ’29, riproponendo di continuo le politiche liberiste, ma quel che più preoccupa è che lo stesso faccia l’Europa, un Europa in cui tralasciando le distorsioni marxiste leniniste generate in Russia e in Europa Orientale, in Paesi di vocazione europeista come la Germania, l’Italia e la Francia, ha sempre trionfato, da costituzione, la socialdemocrazia, ovvero un libero mercato controllato però dallo Stato che interviene per garantire l’uguaglianza formale dei cittadine, la tassazione progressiva in base al reddito, gli aiuti economici ai bisognosi e il reclutamento lavorativo, tutte cose che pian piano si stanno abbandonando, non tanto in Germania e in Francia, quanto in Italia, dove con la fine della così detta Prima Repubblica i Governi di centro destra e di centro sinistra hanno provveduto, pian piano, senza fare propaganda e silenziosamente allo smantellamento dello stato sociale e delle garanzie costituzionali, creando i contratti di lavoro atipici, e abolendo l’articolo 18, reo di aver causato la crisi lavorativa del nostro Paese. Il tutto sotto gli occhi vigili di un Europa che più che pensare alla salute sociale dei propri cittadini preferisce pensare alle casse dei vari Stati membri, diventando una sorta di banca transnazionale, che punta alla liquidità dei propri clienti più che al benessere.

Perché ci sia stata questa svolta non è lecito saperlo, perché di facciata l’Europa si presenta come paladina delle genti, e non delle banche, o per meglio dire dei fondi dei singoli Stati. Quel che però è certo che tra i pensatori e gli idealisti che auspicavano una reale integrazione europea, tra cui Altiero Spinelli, l’Europa doveva essere uno Stato reale, non un’Unione bancaria e monetaria, con una base economica socialdemocratica, che mettesse il benessere dei cittadini di fronte a quello economico, senza aspettare che il neoliberismo generi da solo ricchezza, perché se esiste un’organizzazione statale è proprio per garantire il rispetto delle leggi e il benessere di tutti ciò che si associano, cosa che però spesso si dimentica.