UN CHIARO NO AL TAGLIO DEL PARLAMENTO

 

di Mauro Scarpellini Responsabile amministrativo Socialismo XXI |

 

Riassumo un’illustrazione più breve possibile che offre argomenti per essere consapevoli che occorre votare NO e far votare NO al referendum del 20 e 21 settembre 2020.

Questa illustrazione si limita all’osservazione e al commento di questo evento e volutamente esclude riferimenti a partiti e movimenti perché il referendum non è una scelta tra liste diverse, ma una consultazione personale. Vanno convinte le persone, a prescindere dalla loro preferenza elettorale quando ci sono elezioni.

La domanda sulla scheda è questa: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella G.U. della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?».

Prima osservazione.

La scelta non è sul taglio del numero dei parlamentari, ma sul taglio del Parlamento.

Il Parlamento è adeguato? No. Sono opinione e constatazione comuni che i suoi componenti non sono prevalentemente persone di adeguata qualità, competenza, conoscenza per essere i legislatori dell’Italia.

La causa dell’inadeguatezza è il numero dei parlamentari? No.

La causa è la legge elettorale. La sintetizzo.

La legge elettorale vigente divide l’elezione in quota maggioritaria e quota proporzionale. La quota maggioritaria è uninominale – cioè quella col nome imposto sulla scheda – ed è molto alta, per i 3/8 dei seggi, il 37,5% dei seggi. La parte proporzionale ha liste bloccate, cioè sono eletti non i preferiti dagli elettori ma quelli che sono secondo l’ordine dell’elenco deciso dal partito o dal movimento e che ci ritroviamo nella scheda elettorale.

Poi il voto dell’elettore obbligatoriamente è congiunto tra candidato uninominale e la lista collegata.

L’effetto di questo ingegnoso meccanismo è la compressione notevole della scelta dei propri rappresentanti a danno dell’elettore.

La riduzione del numero dei parlamentari aiuta la concentrazione del potere dei capi di partito e di movimento, cioè di coloro che decidono i nomi da candidare, e costoro decidono gli eletti; attenzione, riducendo il numero sarebbe possibile prevedere quasi del tutto la composizione nominativa del Parlamento già prima dei risultati. Il peso della scelta degli elettori sarebbe nullo.

Noi diciamo che non vogliamo essere rappresentati meno ma rappresentati meglio e il meglio si può avere senza ridurre i parlamentari ma cambiando la legge elettorale per avere candidati di qualità diversa dall’attuale.

Seconda osservazione.

I parlamentari sono troppi.

Il numero dei Deputati non è sempre stato 630 o giù di lì; c’è stata una volta, era il 1929, nella quale Mussolini pensò che il numero giusto di deputati fosse 400; così dal 1930 fino alla fine della guerra i deputati furono 400. Non venivano votati. Ebbene, se negli anni ’30 si fosse potuto votare (gli elettori sarebbero stati circa 15 milioni allora) la rappresentanza sarebbe stata comunque il triplo di quella che ci sarebbe se vincesse il SI al referendum di questo mese. Ma la conoscenza della storia non appartiene molto a coloro che proposero questa legge.

Nel 1948 c’era un parlamentare ogni 80 mila cittadini, adesso ce ne sarebbe uno ogni 151 mila se vincesse il SI. Un allontanamento ulteriore tra eletto e problemi che lui deve conoscere e rappresentare.

Terza osservazione.

L’Italia ha più parlamentari degli altri paesi.

E’ falso. L’unico serio criterio per giudicare sul numero dei parlamentari è guardare al rapporto fra membri del Parlamento e abitanti.

Sfatiamo questa bugia confrontando quattro paesi in Europa: Gran Bretagna, Francia, Spagna e Italia. Prendiamo non solo i deputati della Camera, ma tutti i parlamentari della Camera bassa e della Camera alta, che da noi si chiama Senato e altrove ha altra denominazione.

La Gran Bretagna ha 1 parlamentare ogni 46.000 abitanti. (1426 totale).

L’Italia ha 1 parlamentare ogni 63.000 abitanti. (945 totali/ 615 + 330).

La Francia ha 1 parlamentare ogni 70.000 abitanti. (925 totali).

La Spagna ha 1 parlamentare ogni 76.000 abitanti. (615 totali).

Se vincesse il SI l’Italia andrebbe a 1 parlamentare ogni 100.210 abitanti. (600/ 400 deputati e 200 senatori).

Avvicinare i governanti ai governati è un buon principio, ma con questo referendum si chiede di fare l’opposto. La critica sulla creazione di una casta di nominati, ancor più ristretta di oggi, è fondata perché non inventata o supposta. Comanderebbero i capi di partito o i capi esterni di movimenti che non hanno mai avuto una responsabilità politica né sono stati mai eletti da qualche parte.

Quarta osservazione.

La riduzione del numero dei parlamentari non incide sulla rappresentanza, ma la rende più autorevole

Completamente falso. Se si riduce il rapporto fra cittadini e parlamentari si incide profondamente sulla rappresentanza politica, sia quantitativa che qualitativa. Perché si realizzi una vera rappresentanza politica, bisogna che i singoli candidati parlamentari abbiano una relazione reale e continua con i cittadini e con i problemi del territorio in cui si candidano, nonché un rapporto costante, non limitato al momento del voto, con i propri elettori e con le forze intermedie del territorio – rappresentanze degli imprenditori, dei lavoratori, delle istituzioni locali e altre -. Meno sono gli eletti e più difficile è realizzare quel rapporto. Questo nuoce all’azione dei parlamentari sul piano qualitativo perché riduce la possibilità di una conoscenza dei problemi concreti. Quindi la rappresentanza politica ne risulta peggiorata.

Quinta osservazione.

Riducendo il numero dei parlamentari si risparmia soldi pubblici

I calcoli fatti dicono che la riduzione dei parlamentari porterebbe a un risparmio di appena lo 0,007 del bilancio dello Stato, pari a 1,35 euro a cittadino l’anno. La riduzione dei costi è un argomento che fa presa su chi non segue a fondo questi argomenti. Bisogna spiegarlo.

 Sesta osservazione.

C’è un processo in corso, pluriennale, per la riduzione dei poteri democratici.

Non deve sfuggirci che questa legge, se vincesse il SI, non sarebbe l’ultima nella progressiva riduzione dei poteri democratici dei cittadini.

Da anni è in corso di attuazione un processo pericoloso che spesso sottovalutiamo o non consideriamo.

I cittadini contano meno : perché nei Comuni è stato ridotto ridotto il numero dei Consiglieri comunali; perché in molte città sono state abolite le Circoscrizioni i cui consigli erano eletti dai cittadini; perché le province esistono – contrariamente alla propaganda che diceva che erano state abolite – ma i cittadini non ne eleggono più gli amministratori; perché nelle Regioni è stato ridotto il numero dei Consiglieri eletti; perché i corpi intermedi rappresentativi di istanze e filtri utili alla sintesi, quali le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori, sono insidiati nella loro funzione e se ne limita enormemente l’apporto.

Insomma, è in corso un processo di cui perdiamo la consapevolezza, che tende a ridurre il ruolo dei cittadini e dei corpi intermedi, a concentrare il potere in tecnocrazie crescenti, in luoghi economici e finanziari esterni alle sedi decisionali politiche e in pochi esponenti contornati da eletti che devono approvare tutto quel che fanno per poter essere rieletti con benevola nomina alla successiva occasione.

Sulle riforme della costituzione italiana studiò una delle più grandi banche d’affari degli Stati Uniti d’America, la JP Morgan. Quella banca sostenne di cambiare i sistemi politici e costituzionali di alcuni paesi europei e in particolare la costituzione italiana perché <<è troppo socialista>> in quanto garantisce protezione costituzionale e diritti. Non sto interpretando; c’è un suo documento ufficiale del 28 maggio 2013. Fu consulente del governo Renzi, tanto per ricordare.

Dire NO al referendum vuol dire fermare questo processo e gli ulteriori tentativi almeno al punto in cui è arrivato.

Settima e ultima serie di osservazioni sintetiche per concludere.

Perché il voto al referendum conta: essendo un referendum costituzionale non c’è il quorum e quindi nessun voto deve andare disperso e potrà determinare la vittoria del NO. Sta crescendo la preferenza al NO che era partita minoritaria.

Perché è in gioco la rappresentanza politica: diminuendo il numero dei parlamentari cresce la distanza di questi dai cittadini e dal territorio. Se vincessero i SI l’Italia scenderebbe all’ultimo posto dei 27 Stati membri dell’Unione europea nel rapporto fra deputati e abitanti.

Perché è in discussione la funzione del Parlamento: non è vero che in pochi si lavora meglio; riducendo del 37,5% i parlamentari si consegna il lavoro delle commissioni parlamentari a pochissimi membri di pochi partiti; in questo modo non si tagliano solo i parlamentari ma si taglia il Parlamento ledendo sia il lavoro legislativo sia il controllo sull’operato del Governo.

Perché la democrazia è un bene supremo: risparmiare sulla democrazia non è solo sbagliato, ma ridicolo, visto che il risparmio sarebbe dello 0,007 del bilancio statale ovvero 1,35 euro per cittadino: poco più un caffè all’anno per ognuno.

Perché la cattiva politica ha altre cause: non nel numero dei parlamentari, ma perché sono eletti su leggi elettorali incostituzionali, viziate dalla logica maggioritaria che mortifica la rappresentanza della effettiva volontà politica, che impediscono ai cittadini di scegliere i candidati che vengono così nominati dalle segreterie dei partiti.

Perché vogliamo difendere la democrazia e la Costituzione: il taglio dei parlamentari è infatti un tassello di un disegno più complesso, già in corso da tempo, che prevede anche una nuova legge elettorale senza scelta dei candidati e con una elevata soglia di accesso che impedirebbe a milioni di cittadini di essere rappresentati in Parlamento. Se non fosse vero un disegno più complesso, i costi li avrebbero ridotti riducendo i compensi ai parlamentari. Non l’hanno fatto.

Il NO può fermare questo disegno di ridurre al Parlamento la funzione di cardine della democrazia.