UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA
“Il dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”
RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI
Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343
ANNO ACCADEMICO 1978-1979
PARTE TERZA
SOCIALISMO REALIZZATO
Affrontando in questa sezione il pensiero comunista a proposito dell’Unione sovietica, debbo ripetere osservazioni già fatte nell’introduzione: è necessario sfoltire l’intricata selva di ditirambi di laudi e soffermarsi soltanto su quegli articoli che, accanto all’inevitabile esaltazione del modello sovietico, presentano almeno dagli sviluppi teorici degni di attenzione. Abbiamo strutturato l’esposizione delle loro teorie suddivise in quattro sezioni per facilitare il compito e per esigenze di chiarezza.
1 – Collettivizzazione agricola e socialismo
Il carattere socialista della collettivizzazione nelle campagne sovietiche è indubitabile per gli scrittori comunisti. Essa, infatti, abolendo la proprietà privata della terra e introducendo la proprietà collettiva del suolo, avrebbe permesso di spiccare lo storico volo necessario al superamento del capitalismo e all’adeguamento della base economica del paese al modello ideale socialista cui il popolo russo aveva aspirato dalla rivoluzione del 1917. Per questi scrittori questa rivoluzione agraria portò indubbi benefici, anche e soprattutto materiali, al mondo contadino. Passiamo all’analisi diretta di queste tesi. Ci occuperemo innanzitutto di tre articoli scritti da un economista sovietico Yuri Pavlovsky, per la rivista dell’Associazione di amicizia Italia – Urss, “Cultura sovietica” (1).
Pavlowski non si limita ad esaltare il carattere socialista della misura politica della collettivizzazione agraria, ma ci fornisce anche le motivazioni concrete che spinsero il governo bolscevico con un’urgenza drammatica a realizzarle. Egli dice infatti che fu la necessità di sviluppare le forze produttive il fattore che pose all’ordine del giorno il bisogno di industrializzare il paese, le cui carenze sul piano economico erano esiziali: sproporzione fra la popolazione rurale e quella cittadina, con la relativa congestione rurale e la conseguente scarsezza dei mercati, l’esiguità del reddito nazionale e medio per abitante, l’esigua importanza nel reddito nazionale della parte monetaria in confronto a quella naturale. Queste carenze, interagendo tra loro, creavano una specie di circolo vizioso in quanto per industrializzare il paese necessitava un aumento della produzione agricola a basso prezzo che servisse a questo scopo, ma per ottenere questo risultato era altrettanto indispensabile fornire all’agricoltura quei mezzi di produzione moderni che solo un paese industrializzato poteva darle. Questo circolo vizioso fu spezzato, ci dice l’autore, seguendo l’ortodossia marxista, in altre parole realizzando il socialismo che si concreterebbe quindi nello sviluppo massimo delle forze produttive:
“Ci
si trovava dunque in una specie di circolo vizioso: per poter industrializzare
il paese, ci si doveva rivolgere anzitutto all’agricoltura, ottenendone a
prezzi molto modesti un forte incremento della quota destinata al mercato, ma
per aumentare questa quota, l’agricoltura doveva intensificare la produzione:
cosa che non poteva fare se non alla condizione che l’industrializzazione
stessa le assicurasse mercati e prezzi soddisfacenti. Il circolo vizioso fu
tagliato seguendo rigorosamente i principi della dottrina marxista
dell’evoluzione della produzione sotto la spinta della tecnica moderna, nel senso del concentramento delle aziende in unità sempre più grandi
e dell’eliminazione delle
piccole unità produttrici non rispondenti ai criteri di efficienza imposti dal
progresso dei mezzi di produzione”. (2)
Che questa uscita dal circolo vizioso in cui si trovava il paese avesse significato uno sfruttamento (evidentemente il russo non usa questa espressione) dell’agricoltura a favore dell’industria è parzialmente riconosciuto dall’economista. Egli riconosce infatti che nella fase iniziale l’agricoltura dovette fornire al governo i mezzi per avviare l’industrializzazione. In pratica ciò ha significato la fornitura di derrate agricole a basso prezzo al governo per alimentare l’esportazione, la sola che potesse far affluire nel paese quei capitali dei quali il governo aveva urgente bisogno e ne era in quel momento privo:
“Il grande lavoro costruttivo dei piani quinquennali, iniziato nel 1927 – 28, doveva appoggiarsi, specie nelle sue fasi iniziali, essenzialmente sull’agricoltura. Questa doveva fornire al governo i principali mezzi sotto forma di prodotti agricoli per l’opera di industrializzazione. Nessun’altra fonte, adeguata ai bisogni, di capitale per l’investimento nell’industria in corso di creazione, salvo quelle rappresentate dall’agricoltura e dall’esportazione, era a disposizione del governo sovietico nel paese stesso o nei mercati di capitali esteri”. (3)
L’autore conclude affermando che dopo questi primi dolorosi inizi la situazione generale risultò notevolmente migliorata e la collettivizzazione delle terre che “permise l’inquadramento dell’agricoltura nel sistema industriale socialista”, ha portato ad una situazione nettamente migliore per lo stesso contadino che, liberato dalla necessaria compressione dei primi anni, gode di un benessere e di un tenore di vita senz’altro più elevato di quello precedente, grazie soprattutto all’introduzione dei trattori e alla meccanizzazione dell’agricoltura stessa, resa possibile proprio dai suoi stenti iniziali. (4)
Il benessere e i risultati positivi non sono limitati al contadino e alle campagne, ma si sono estesi a tutto il paese, grazie sempre all’aumento della produttività agricola che la collettivizzazione ha comportato:
“La produttività del lavoro dei contadini nell’azienda collettiva è aumentata enormemente in confronto con l’azienda contadina individuale condotta secondo i metodi tradizionali. Questo aumento di produzione era naturalmente dovuto non solo alla meccanizzazione, col conseguente miglioramento delle lavorazioni, ma anche a varie altre ragioni: migliore concimazione, introduzione di avvicendamenti più razionali delle culture, sostituiti in molti casi al vecchio sistema, virtualmente forzato, sulle terre ai contadini comuni, dei tre turni, con un terzo della terra arabile a maggese o da altre ancora più primitive …. Grazie a questi miglioramenti, dovuti alla collettivizzazione delle aziende contadine, l’agricoltura sovietica ha potuto mettere sul mercato, comprese le vendite obbligatorie allo stato, una quantità superiore di circa 160 – 170 milioni di quintali a quella messa sul mercato da quella russa in media annua prima della guerra del 1914 – 18.” (5)
Voglio ora fissare i due concetti base che traspaiono
da questi articoli e ne costituiscono l’ossatura: a) l’industrializzazione e la collettivizzazione agricola furono realizzate con l’unica finalità di sviluppare le forze
produttive, b) lo sviluppo delle forze produttive con il relativo miglioramento
delle condizioni di vita del popolo stanno a dimostrare la definitiva
realizzazione del socialismo in Urss. Questi postulati, come vedremo, saranno
il fondamento degli articoli degli scrittori comunisti. Un altro autore, Pierre Cot su
Rinascita, tesse le lodi del sistema kolkoziano socialista mettendo in risalto
un fatto: la perfetta compenetrazione e armonia degli interessi collettivi ed
individuali realizzata da questa forma economica di produzione socialista. L’iniziativa individuale, egli asserisce,
trova nel sistema kolkoziano uno spazio straordinario di espressione, negli interessi oltretutto dell’intera comunità:
“Infine, l’organizzazione kolchoziana consente una migliore organizzazione di ciò che in Urss si chiama iniziativa delle masse, ma anche dell’iniziativa individuale. È un punto sul quale bisogna insistere, perché troppi ripetono che il regime sovietico distruggere la personalità e tende a trasformare l’individuo in una sorta di fantoccio meccanico …. L’agricoltore kolkoziano ha una casa ed un orto, lavora insieme ad altri i campi del suo kolchoz, o, se lo si preferisce, del suo villaggio. Ogni coltivatore si sente più particolarmente portato verso uno degli aspetti della sua professione, l’uno ama sperimentare nuovi procedimenti, l’altro si interessa specialmente alla coltura della vite o a quella delle piante da frutto, un terzo ha il gusto dell’allevamento preferendo ora le vacche, i cavalli, i montoni e i maiali, un altro infine ha ciò che a volte si chiama il dito del meccanico: ama riparare gli utensili più complicati …. Nel sistema kolkoziano la specializzazione è più facile; chi ha disposizione ad occuparsi delle vacche lavorerà alla stazione d’allevamento, chi ha disposizione per i trattori diverrà meccanico alla MTS e lo specialista degli alberi da frutto curerà i frutteti. L’iniziativa individuale ha varie occasioni per esercitarsi e la differenza delle doti e delle attitudini è meglio utilizzata.” (7)
Ho riportato per esteso questa citazione per un preciso motivo. Ha richiamato infatti il pensiero di Marx a proposito del comunismo, regno del lavoro liberato, dove ognuno potrà essere a piacimento in diversi momenti della giornata pescatore, meccanico, filosofo, cacciatore eccetera, senza coazione alcuna. Da quanto afferma Cot si ricava che, se ancora non si è giunti a tanto, si è comunque sulla buona strada, potendo l’uomo senza coazione alcuna scegliersi almeno il tipo di lavoro e di professionalità che gli è propria.
Dobbiamo rilevare inoltre un’altra interessante affermazione di Cot, che, paragonando il “limitato settore di coltivazione individuale” (ossia il piccolo appezzamento privato della singola famiglia contadina) a quello collettivo, comunitario, rileva come il contadino preferisca questo a quello, considerando la cura del proprio appezzamento privato alla stregua di un hobby:
“La coesistenza di un settore limitato di coltivazione individuale e di un settore collettivo permette al contadino sovietico di paragonare i rispettivi vantaggi dei due tipi di coltivazione. Egli si rende conto per mezzo della propria esperienza che la stessa quantità di lavoro è più produttiva quando viene usata razionalmente nel settore collettivo. Il piccolo appezzamento individuale diventa una specie di divertimento: ci si consacrano i propri passatempi.” (8)
Paolo Robotti, che ha trascorso molti anni in Russia durante il fascismo, ci parla nei suoi articoli della collettivizzazione e del sistema kolkoziano (9). Dopo avere definito la collettivizzazione “una completa rivoluzione compiuta nell’agricoltura” che ha creato “un regime assolutamente nuovo”, afferma che il risultato, cioè l’aumento della produttività agricola, sta a dimostrare il successo del socialismo. E questo è un punto cardine anche delle stesse argomentazioni di Pawlowski.
Dice infatti Robotti:
“I
risultati confermano il successo del socialismo anche in questo campo. Fra il
1929 e il 1938 le superfici coltivate a grano sono passate dal 96 milioni di
ettari a 136 milioni: aumento equivalente a quasi il doppio della superficie
attualmente coltivabile in Italia.” (10)
Robotti esclude pure che si possa scorgere qualche contraddizione tra produzione socialista e produzione cooperativa. Afferma infatti perentoriamente:
“C’è contraddizione tra produzione socialista e produzione cooperativa? Assolutamente no. Perché sono due branchie di un grande complesso: l’economia socialista.” (11)
Un altro articolo che ci offre degli spunti interessanti, utili alle riflessioni che svolgeremo nelle pagine successive, è quello di Duccio Tabet, sempre su Rinascita (12).
Anch’egli ripercorre nelle linee fondamentali la storia dello sviluppo dell’economia sovietica. Afferma che prima della collettivizzazione delle terre esisteva ancora in Russia un ristretto numero di capitalisti sfruttatori nelle campagne, i kulaki, accanto all’enorme massa dei contadini poveri al limite dell’ indigenza e dei contadini medi, dall’incerto avvenire.
Da questa situazione di arretratezza e di malessere, a parere di Tabet, i contadini si risollevarono con le loro stesse forze, dando vita al movimento della collettivizzazione, reso possibile dalla disponibilità dei trattori, dall’esempio propositivo fornito dal funzionamento dei sovkhoz statali, costituiti subito dopo la rivoluzione e dall’aiuto fornito loro dallo Stato sovietico nella lotta contro i contadini ricchi. È da rilevare particolarmente, nel brano che segue, l’affermazione che furono i contadini stessi ad operare la collettivizzazione, per loro stessa iniziativa. Afferma infatti Tabet:
“Sull’esempio dei primi Kolkoz che, all’ indomani della Rivoluzione d’ottobre, si erano costituiti tra gruppi di contadini poveri più avanzati, per l’azione di propaganda e di convincimento operato tra i contadini individuali attraverso l’esempio del sovkhoz, per la disponibilità di macchine agricole che gli operai sovietici producevano con ritmi rapidamente crescenti, per l’aiuto del governo sovietico nella lotta contro i kulaki, i contadini sovietici dettero vita a quell’impetuoso movimento che in pochi anni doveva portare all’organizzazione kolchoziana la quale totalità delle aziende contadine.” (13)
Il risultato di questo impetuoso movimento fu la realizzazione del benessere per i contadini, lo sviluppo della produttività agricola, l’eliminazione delle classi sfruttatrici.
“Soppressi i kulak, scomparve dall’ economia sovietica l’ultimo gruppo di sfruttatori. La miseria che affliggeva il contadino povero, la precarietà che minava l’esistenza del contadino medio scompaiono anch’esse: nel kolchoz c’è lavoro per tutti, le MTS mettono a disposizione del kolchoz tutta l’attrezzatura meccanica occorrente, ciascuno viene compensato in base alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Il contadino kolkoziano non ha più da temere né lo sfruttatore del contadino povero, che è stato sterminato, né l’aleatorietà del contadino medio, che la generalizzazione del progresso tecnico sostituisce con la sicurezza di un incessante prodigioso sviluppo della produzione.” (14)
Una rapida, ma interessante esaltazione del sistema
Kolkoziano è esposta in un articolo di Giovanni Borghese (15). Secondo Borghese i
risultati positivi della realizzazione del socialismo nelle campagne, tramite
la collettivizzazione si possono sintetizzare nei seguenti punti: 1)
conciliazione degli interessi del contadino con quelli dello
Stato 2) massimo
benessere dei contadini
3) assenza di crisi, grazie alla vendita dei prodotti
agricoli allo stato, senza imbarazzi commerciali e intoppi di mercato 4) gli
appezzamenti individuali provvedono a sufficienza al fabbisogno familiare:
“L’industrializzazione dell’agricoltura mediante la collettivizzazione delle terre ha dato alla Russia in quindici anni la forma di produzione che ha mirabilmente conciliato gli interessi dello Stato sovietico e anche quelli dei contadini …. I contadini russi trovano oggi nel kolchoz la forma di produzione che li stimola al lavoro, che assicura il massimo rendimento della terra e dell’allevamento del bestiame, che consente a ciascun membro della famiglia di poter lavorare, di godere dell’assistenza collettiva e di sviluppare e curare le proprie attitudini in libera e serena emulazione. Mentre da un lato il lavoro per le terre e il bestiame in cooperativa offre al partecipante una larga remunerazione in rapporto al rendimento della propria attività e assicura la vendita dei prodotti allo stato evitando così crisi imbarazzi commerciali, dall’altro lato gli appezzamenti di terreno riservati singolarmente ai kolchoziani, i capi di bestiame consentiti in proprietà e gli orti alimentari di ciascuna famiglia provvedono a sufficienza al fabbisogno familiare.” (16)
A questo punto a mio parere i motivi principali che determinano gli scrittori comunisti a difendere, esaltare e proporre come modello a tutto il mondo il sistema kolkoziano sovietico sono stati sufficientemente chiariti. Passiamo quindi al secondo punto dell’esposizione, quello riguardante l’industrializzazione sovietica.
Note:
1- Yuri Pawlowski Il significato economico della Rivoluzione russa in “Cultura sovietica”, luglio 1945; L’organizzazione dell’agricoltura socialista sovietica in “Cultura sovietica”, gennaio 1946; L’agricoltura sovietica nel quadro dei piani quinquennali in “Cultura sovietica”, ottobre-dicembre 1945.
2 – Pawlowski L’agricoltura ….. art. cit.
3 – Ibidem
4 – Ibidem
5 – Ibidem
6 – Pierre Cot A proposito dei kolchoz in “Rinascita”, gennaio 1945.
7 – Ibidem
8 – Ibidem
9 – Paolo Robotti L’Unione sovietica due anni dopo la fine della guerra in “Rinascita”, aprile 1947; Trent’anni di socialismo in “Rinascita”, settembre 1947; La guerra contro il fascismo in “Rinascita” novembre 1947; L’industria sovietica in “Rinascita”, novembre 1947; Il partito bolscevico nel sistema sovietico in “Rinascita”, giugno 1948.
10 – Robotti Trent’anni …. art. cit.
11 – Robotti L’Unione sovietica …. art. cit.
12 – Duccio Tabet L’agricoltura sovietica in “Rinascita”, novembre 1947.
13 – Ibidem
14 – Ibidem
15 – Giovanni Borghesi Un mese nella Russia sovietica in “Cultura sovietica”, ottobre-dicembre 1945.
16 – Ibidem.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.