NOTE REFERENDARIE

  di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   Perchè nessuno ne parla? LE ELETTRICI E GLI ELETTORI DEL SENATO SONO TUTTI EGUALI? NO! DIPENDE DOVE ABITANO Italiani di serie C: Gli italiani residenti all’estero nella circoscrizione EUROPA sono: 2.685.815 Più del 50% degli italiani residenti all’estero eleggevano 2 senatori su 6. Con il taglio della Circoscrizione Estero del Parlamento, fatta senza modificare l’art. 6 L. 459/2001 eleggeranno 1 senatore, come i 277.997 della circoscrizione Africa, Asia, Oceania e Antartide. Italiani serie B: Gli italiani residenti in 16 regioni su 19 dove vivono 57.963.803 abitanti il 97,52% del censimento 2011, la cui rappresentanza ha avuto un taglio del 36,50% in media. Valle d’Aosta e Molise hanno un numero fisso invariato di senatori, 1 VdA e 2 Molise, mentre il Trentino-Sudtirolo va da 7 a 6, –14,28%. Questi sono gli italiani di serie A, perché ne bastano 171. 500 per avere 1 senatore. Questi sono gli Italiani di serie A, perché ne bastano 171. 500 per avere 1 senatore. Sei LOMBARDO dovete essere 313.000 Veneto 304.000 (effetto della vicinanza?). Campano 320.000 Calabrese 327.000 Sardo 328.000 (regione a Statuto speciale con la maggiore minoranza linguistica riconosciuta aveva 8 senatori ne avrà 5 uno in meno ma con il 59,28% di abitanti in più. Friulian-giuliano 305.000 (aveva 7 senatori ne avrà 4 2 meno del T-A.A./S ma con il 18,46% di abitanti in più. Abruzzese 327.000 (aveva 7 senatori come i trentin-sudtirolesi ne avrà 4 con 27% abitanti in più). Ligure 314.000 (come Sardegna ma con il 52,67% di popolazione in più). Marchigiano 308.000 (come sardi e liguri ma con il 42,57% di abitanti in più) Completiamo la panoramica con le ultime 2 regioni al voto: Toscano 306.000 Pugliese 312.000 Violati principi supremi, cosa che secondo la sentenza n. 1146/1988 della Corte Cost. non si può nemmeno con norma di rango costituzionale UGUAGLIANZA Cittadini art. 3 UGUAGLIANZA Voto art. 48 UGUAGLIANZA di candidatura art. 51. 3 ragioni  in più per dire NO! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COMMENTO AL DOCUMENTO POLITICO DI SOCIALISMO XXI

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Ho letto con molta attenzione la bozza di documento presentato dal direttivo di XXI secolo e ne ho apprezzato la serietà dell’analisi storica (storia come risultato della politica catarsi della filosofia) dell’ultimo secolo. Un documento che ben si solleva al di sopra del livello della discussione politica attuale, volgarmente intrisa di populismo ed elettoralismo. Voglio quindi dare il mio contributo costruttivo su alcuni punti: 1 – L’equiparazione nel periodo post ’29, e in particolare nei tre decenni postbellici, tra politiche socialdemocratiche e keynesismo, va, a mio parere, rivisto identificando nei due filoni, quello socialdemocratico e quello keynesiano, al di là di una coincidenza di politiche temporalmente condivise, una distinzione di fondo che semplificherei come segue. Keynes disvela le contraddizioni del liberismo ed indica nell’azione dello stato lo strumento per superare dette contraddizioni, ma in questa rivoluzionaria visione, Keynes salva il capitalismo usando lo stato e rimane coerentemente antisocialista. La socialdemocrazia condivide il nuovo protagonismo dello stato che individua come lo strumento più idoneo per una legislazione sul welfare di dimensioni mai conosciute su questa terra. La sua azione tuttavia si limita ad agire a livello sovrastrutturale sia nella creazione dello stato sociale sia nel limitare la sua azione nel controllo della struttura produttiva egemonizzata dal capitale. Ritorna la visione di Olof Palme del capitalismo come struttura da fortificare per meglio essere tosata per dare più benessere alle classi subordinate. Si accenna al periodo dell’IRI come fase in cui lo stato non si limita a “tosare” ma interviene anche nell’incidere sulla struttura produttiva. Ebbene penso che questo salto del ruolo dello stato che assume una nuova dimensione proprio nel modo di produzione vada approfondito. 2 – Il documento ad un certo punto recita:” Deve essere l’occasione per favorire legislativamente la individuazione e la promozione concertata tra le parti di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove forme/contratti di lavoro compatibili con l’introduzione delle nuove tecnologie, ma ponendo al centro della attenzione i diritti dei lavoratori e dei cittadini in un equilibrato rapporto con le esigenze della competizione economica internazionale.”  Il punto che a mio parere è sottovalutato, è appunto quello “delle nuove tecnologie” che non richiedono solo nuove forme di contratti di lavoro ma che indicano allo stato una funzione fondamentale ed essenziale nel nuovo modo di produzione. Parlo naturalmente della rivoluzione 4.0 che si basa su uno sviluppo delle tecnologie i cui livelli di produzione sono al di là delle possibilità del capitale privato per potente che sia. Mi rifaccio naturalmente ai testi di Mariana Mazzucato che spiegano in modo esauriente che tutte le meraviglie tecnologiche sviluppate negli USA dalle grandi come Amazon, Google, Apple etc. nascono da ricerche di base di apparati statali (pentagono, difesa, etc.) che possono investire in ricerche anche ad alto rischio di realizzazione e comunque in termini temporali inaccessibili al capitale privato. Ma è anche la realtà cinese che in pochi decenni da economia da ciotole di riso sta diventando la più potente realtà tecnologica (e quindi industriale) del mondo, e ciò grazie ad una programmazione precisa e determinata della politica statale. Il caso Cina mette quindi a confronto l’efficienza di una programmazione centralizzata (con sovrastrutturale piuttosto dittatoriale) e una inefficienza della democrazia basata sulla libertà dei mercati. Quindi lo stato non può più limitarsi alla costruzione di un welfare generale senza porsi il problema di essere lo “stato-innovatore” soggetto detentore della responsabilità nella ricerca. Chiaramente questa nuova funzione mette in discussione la sovrastrutturale concezione della proprietà dei mezzi di produzione, anche perché questo nuovo modo di produzione creerà rivoluzioni sociali nei rapporti di lavoro (ivi incluse grosse esclusioni dal mondo del lavoro di milioni di lavoratori). 3 – Rimane completamente valido quanto scrive il documento relativamente alla cooperazione con il capitale privato che continuerà ad operare e che se inserito nei piani di una programmazione centrale, potrà avere “partecipazioni” dello stato, tenendo fermo il principio che i soldi che lo stato eroga sono soldi dei contribuenti e che quindi non possono essere regalati a fondo perduto, ma civilisticamente investiti nel capitale sociale con tutti i diritti di un investitore privato: dividendi e partecipazione al CdA, anche perché i dividendi debbono servire a finanziare un sistema di reddito di cittadinanza universale per gestire la rivoluzione occupazionale generata dalla rivoluzione industriale.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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LA CRISI DEL NEOLIBERISMO: PERCHE’ L’EUROPA NON GUARDA ALLA SOCIALDEMOCRAZIA?

di Christian Vannozzi | La politica economica neoliberista è stata ormai adottata nell’Unione Europea fin dai tempi della moneta unica, l’euro infatti nasce con una forte vocazione neoliberista, quel regime politico economico che ha reso grande, si fa per dire, gli Stati Uniti d’America, e altri stati del mondo. Certo il neoliberismo può generare ricchezza e benessere, specialmente ai così detti capitalisti, ovvero coloro che investono il loro capitale in un’impresa, e tra questi possono essere annoverate anche le banche, essenziali per la moltiplicazione del capitale, in quanto per fare impresa c’è bisogno di liquidità, e questa liquidità per l’appunto viene data dalle banche, che sono il vero fulcro del neoliberismo. Ma vediamo più nel dettaglio cosa è questo neoliberismo. Per capirlo occorre prima soffermarsi in linee generali sul liberismo, naturalmente non ci soffermeremo nei dettagli economici, per quello servirebbe un economista, ma in linee generiche basta sapere che per l’economia liberista lo Stato è superfluo, anzi, a volte può essere anche dannoso, in quanto l’economia deve essere in grado di aggiustarsi e muoversi da sola, senza alcun intervento statale. Grazie a questa cosa i vari imprenditori d’impresa possono fare un po’ quello che vogliono, senza incorrere in leggi statali che possano limitare, anche a tutela del lavoratore, la propria azione, rischiando il meno possibile. Naturalmente tutto questo va a discapito dei lavoratori, che possono essere facilmente sacrificati e non pagati per il bene dell’azienda, in virtù del fatto che prima o poi il sistema economico è in grado da solo di riassorbire la disoccupazione e quindi elargire ricchezza a tutti, imprenditori e lavoratori. Occorre in pratica, secondo questi ‘santoni’ economici, solo attendere, forse anche qualche anno, per poter ricevere i benefici sociali del liberismo. Oggigiorno, anche nell’Unione Europea, si persegue questo tipo di sistema economico, che dopo la Seconda Guerra Mondiale prende il nome di Neoliberismo, ovvero un liberismo non più settecentesco ma adattato al nuovo sistema economico odierno, che vede nella finanza, e non più nel solo capitale, la sua forza trainante. Quello che l’Europa non capisce è che il sistema liberista entra in affanno facilmente, specialmente ora che il capitale è virtuale, e non più reale come potevano essere i reali oggetti prodotti, ora, argento petrolio ecc., e farne le spese furono in primis gli Stati Uniti, che nel ’29 furono letteralmente messi in ginocchio dalla crisi, da cui si risollevarono grazie all’energica presa di posizione del presidente Franklin Delano Roosevelt, che adottò in economia le teorie keynesiane, ovvero di intervento statale per garantire l’occupazione attraverso opere pubbliche. Tutto questo perché a dispetto degli esperti l’economia non si stava riaggiustando da sola, e lo Stato è dovuto attivamente entrare in campo aggiustando i rpoblemi sociali che la disoccupazione e i fallimenti d’impresa creano. Gli Stati Uniti, come ben sappiamo, non hanno mai imparato la lezione del ’29, riproponendo di continuo le politiche liberiste, ma quel che più preoccupa è che lo stesso faccia l’Europa, un Europa in cui tralasciando le distorsioni marxiste leniniste generate in Russia e in Europa Orientale, in Paesi di vocazione europeista come la Germania, l’Italia e la Francia, ha sempre trionfato, da costituzione, la socialdemocrazia, ovvero un libero mercato controllato però dallo Stato che interviene per garantire l’uguaglianza formale dei cittadine, la tassazione progressiva in base al reddito, gli aiuti economici ai bisognosi e il reclutamento lavorativo, tutte cose che pian piano si stanno abbandonando, non tanto in Germania e in Francia, quanto in Italia, dove con la fine della così detta Prima Repubblica i Governi di centro destra e di centro sinistra hanno provveduto, pian piano, senza fare propaganda e silenziosamente allo smantellamento dello stato sociale e delle garanzie costituzionali, creando i contratti di lavoro atipici, e abolendo l’articolo 18, reo di aver causato la crisi lavorativa del nostro Paese. Il tutto sotto gli occhi vigili di un Europa che più che pensare alla salute sociale dei propri cittadini preferisce pensare alle casse dei vari Stati membri, diventando una sorta di banca transnazionale, che punta alla liquidità dei propri clienti più che al benessere. Perché ci sia stata questa svolta non è lecito saperlo, perché di facciata l’Europa si presenta come paladina delle genti, e non delle banche, o per meglio dire dei fondi dei singoli Stati. Quel che però è certo che tra i pensatori e gli idealisti che auspicavano una reale integrazione europea, tra cui Altiero Spinelli, l’Europa doveva essere uno Stato reale, non un’Unione bancaria e monetaria, con una base economica socialdemocratica, che mettesse il benessere dei cittadini di fronte a quello economico, senza aspettare che il neoliberismo generi da solo ricchezza, perché se esiste un’organizzazione statale è proprio per garantire il rispetto delle leggi e il benessere di tutti ciò che si associano, cosa che però spesso si dimentica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AL REFERENDUM DELLA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI VOTARE NO!

di Antonio Foccillo | L’idea di democrazia, con il tempo, con le nuove generazioni, sembra quasi sfuggirci dalle mani, in uno scollamento sempre più sensibile tra rappresentanti e rappresentanti. Oggi nella società vi è una smarrita consapevolezza di poter incidere, anche in minima parte, nei processi decisionali dell’impianto democratico del nostro Paese. In sostanza, si stenta a riconoscersi a pieno titolo in qualcosa di più grande di cui ci si sente attivamente partecipi. Bisogna ricreare le condizioni per stimolare la discussione e la partecipazione per evitare che l’apatia mini alla radice la possibilità di cambiare le cose. Il concetto di democrazia corre di pari passo con quello della partecipazione. La partecipazione consapevole è concepibile solo allorquando vi sono diversi strumenti e luoghi cui poter accedere per potersi costruire un’idea su quello che ci circonda, attraverso l’informazione, l’ascolto e il dialogo. Senza questi luoghi, questi momenti, dai più piccoli fino alle istituzioni parlamentari, la pluralità insita della partecipazione viene meno e prendono vigore individualismi e verità inconfutabili. In questi anni, abbiamo assistito prima al declassamento dei partiti e delle loro strutture verticali a livello territoriale, poi gli attacchi alle Istituzioni, ed infine alle organizzazioni sindacali. Abbiamo permesso, anche con il favore dell’opinione pubblica, opportunamente costruito con campagne ad hoc, il superamento del finanziamento pubblico dei partiti, confinando ancora di più la politica a cosa di pochi noti. Il tutto in un quadro dove la rappresentanza ha gradualmente ceduto il passo a ottiche non più proporzionali ma sempre più maggioritarie e distorsive del voto. Si sono attaccate le Costituzioni del dopo guerra perché la nuova filosofia del pensiero unico neoliberista le riteneva troppo intrise di orpelli garantistici che non rispondevano più alla velocità delle decisioni necessari ai nostri tempi. Proprio quest’ultimo concetto sembra il mantra forte dell’ennesima riforma a ribasso della democrazia, il taglio dei parlamentari. Il rischio, è quello che si crei una vera casta, soprattutto in un sistema dove il finanziamento delle associazioni partitiche si presta a cederlo a influenti gruppi di potere; dove le spinte maggioritarie restringono l’accesso alle minoranze; dove ci sono nominati e non più preferenze, dove i diritti cedono dinnanzi a pareggio di bilancio; dove la politica dal basso non ha più luoghi per esprimersi e creare nuovi gruppi dirigenti. Ancora, una parte dell’attuale gruppo dirigente della politica muove da un’idea della democrazia svincolata dagli strumenti della politica del novecento e che si riconosce in un “click”: la “democrazia diretta” del blog, delle piattaforme online, del tweet, dei like e dei dislike. Una partecipazione rapida e dal divano di casa, con gli occhi sul device a portata di mano. Questo sono diventati gli strumenti a disposizione di chi vuole avventurarsi nella partecipazione politica. È ovvio che un’idea simile faccia il paio con la riduzione dei parlamentari, ed è coerente con chi ha soppiantato la le sezioni con i meetup e con chi proponeva premio di maggioranza e sorteggio dei parlamentari per raggiungere ampie maggioranze Con la riduzione dei parlamentari la capacità reale di scelta dei cittadini, pertanto si affievolirà ancor di più. Se si vuole ragionare ancora di democrazia non è accettabile rimanere indifferenti di fronte alla delegittimazione popolare di un organo costituzionalmente riconosciuto come il Parlamento. L’astensionismo, l’apatia, l’entusiasmo per la politica non potranno essere risvegliati da una scelta simile. Rimango convinto dell’idea che, invece, bisognerebbe ridare dignità a quegli strumenti del novecento che se ancora oggi in tante esperienze resistono e convincono, vedi il sindacato, non si comprende perché dovrebbero essere spazzati via come si sta facendo. Nulla potrà cambiare se i mezzi del dibattito rimarranno chiusi ai social, anche perché non può in questi frangenti definirsi tale il dibattito, perché non c’è. Troppo sono i filtri a una vera comunicazione e scambio di idee, che non possono affidarsi ad un post o, ancora di più paradossalmente, vedrete con il tempo, a un’immagine. Oggi ancora di più si pone il problema, viceversa, di riprendere l’azione per ridefinire i contenuti di una società dove siano salvaguardati la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro al diritto alla vita; dalla sicurezza sociale e personale al ripristino del potere di acquisto e ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà, alla partecipazione alle scelte, come la Costituzione statuisce. Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto. Pertanto da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze. La parte sana della società deve evidenziare al Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante illegalità della finanziarizzazione dell’economia e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico-istituzionale che stiamo vivendo. Bisogna ridare alle istituzioni la loro autorevolezza in modo che, ancor prima che con le norme, possano divulgare la cultura dell’economia sociale, della partecipazione, dell’emancipazione civile, democratica e sociale. Per far questo bisogna anche importante tornare a parlare di cosa è e cosa dovrebbe rappresentare un partito, muovendo fin dalla sua etimologia e dalle sue radici storiche. Spiegare perché le persone sentivano il bisogno di unirsi, di mediare i propri desideri personali per il benessere comune. Rileggere le ideologie alla luce della storia per comprendere quanto opportunismo si celi dietro i partiti personalistici o dei leader che continuano a spuntare come funghi. Penso che il nostro Paese la chiave di volta non sia la democrazia del click, ma quella delle assemblee, delle sezioni di partito, delle camere territoriali …

IL MIO NO AL REFERENDUM DI SETTEMBRE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Il 20 settembre voterò NO al referendum confermativo per la semplice ragione che non mi convincono le motivazioni dei proponenti che, mi pare, si limitino a indicare solo il motivo di un risparmio nel bilancio dello Stato, e manchino ragioni più articolate e razionali che diano un senso più compiuto e articolato ad una riforma costituzionale. In estrema sintesi ritengo che i risparmi per il bilancio dello Stato si possono ottenere con una riduzione dei compensi piuttosto che sul taglio dei parlamentari, mentre ritengo che il passaggio ad un sistema monocamerale sia molto più serio e meno semplicistico del contenuto della legge confermanda. Ciò che mi preoccupa più a fondo è il livello cui si è degradata la discussione politica. Capisco che per il PD appoggiare il NO potrebbe mettere in discussione l’attuale compagine della maggioranza, già messa in discussione da Renzi; capisco che i 5S fondino le speranze di evitare un tracollo elettorale enfatizzando questa occasione identitaria; noto tuttavia che le argomentazioni sono di livello opportunistico senza un approfondimento culturale che ritrovo solo in pochissimi interventi. Noto per altro che sui social le argomentazioni siano scese ad un livello miserrimo. Ciò che richiama la mia attenzione, più che la risposta da dare al referendum, è un ragionamento sul concetto e il ruolo degli intellettuali così come affrontato da Gramsci nei suoi quaderni. Questa riflessione mi preme perché noto che i partiti, dopo lo scioglimento del PCI, abbiano abbandonato in toto la funzione di intellettuale collettivo che si pone la missione di avviare una dialettica con i “subordinati” per  la costruzione di una nuova società. Gramsci, nel porsi il tema dell’egemonia, ha esaminato il ruolo degli intellettuali nella costruzione di una nazione, in modo estremamente articolato; in un passo individua 4 punti su cui affrontare il tema: •● ruolo degli intellettuali nella formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso (come gli intellettuali abbiano contribuito alla costruzione di un senso comune alla base della nascente nazione italiana) ● studio di linguistica comparata ● esame del gusto artistico e della funzione dell’arte (dedicato in particolare a Pirandello) ● saggio sui romanzi d’appendice e sul gusto letterario popolare. Sul primo punto Gramsci individua nell’intellettuale del secolo scorso non solo una figura singola colta e accademica, ma vede una rete di figure che contribuiscono a formare il senso comune, a partire dal prevosto per arrivare al notaio, dal maestro di scuola al direttore di banca; un sistema articolato e fors’anche a sua insaputa organico. Ma nel suo esame è interessante tener conto anche degli altri tre punti sopra elencati: la linguistica, il linguaggio dell’arte e la letteratura popolare. Ecco che allora si coniuga il linguaggio dei social con la caduta della funzione dell’intellettuale collettivo; un tempo si leggeva Rinascita, Mondo Operaio, l’Espresso e altre fonti che spingevano i subordinati a sforzarsi ad assurgere ad un linguaggio più impegnativo. Caduto quello stimolo il linguaggio necessariamente è caduto ai livelli attuali, livelli facilmente strumentalizzati dalle forze dell’opposizione che organizzano una “bestia” per creare messaggi provocatori e/o fake news. Ma anche il gusto artistico e letterario non possiamo non renderci conto del livello ad esempio dei film dal neorealismo e dei grandi maestri italiani ed i prodotti commerciali attuali. Anche qui si nota la scomparsa della funzione didattica dell’arte e della letteratura contestuale alla caduta della funzione dei partiti quali costruttori di egemonia. Non si può non notare il disegno strategico, articolato, razionale del pensiero gramsciano e la sciatteria elettoralistica della asfittica filosofia dei partiti attuali.         SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ATTACCO ALLA COSTITUZIONE: IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI E’ IL TRIONFO DELL’ANTIPOLITICA

di Christian Vannozzi | Ormai l’antipolitca è un vero e proprio slogan mediatico lanciato non solo dai grillini, ma ormai da varie formazioni politiche, come la Lega Nord e il Partito Democratico, che ha accettato per ultimo questo vocazione in nome dell’alleanza di Governo antidestra. Ormai si ragiona sempre con l’anti, e non più per ciò che si vuole. Si sta solo contro qualcosa, senza più pensare al perché ci si era associati assieme, ai valori, agli ideali, il tutto per non perdere, non per vincere, perché spesso la vittoria non paga, come è machiavellico pensare, perché quando non si può vincere è meglio pensare a non perdere, anche se questo significa a volte perdere se stessi. Un attacco concreto, per accalappiare più voti possibili, per quella che può essere definita una questione di pancia è il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, un vero e proprio attentato alla costituzione socialdemocratica che abbiamo dal 1948, nata per la volontà dei rappresentanti dei lavoratori nell’Assemblea Costituente, coloro che combatterono per la liberazione dell’Italia contro l’occupante nazifascista, personaggi di un calibro superiore a ogni politico odierno, ma che fanno passare come ‘vecchio‘ come inutile, come non necessario, nascondendosi dietro la bandiera del risparmio, del taglio, dei soldi buttati inutilmente, soldi che però garantiscono una maggiore rappresentanza, anche se questo nessuno lo dice mai. Disseminare l’odio verso la classe politica, rea di guadagnare molto, effettivamente troppo, per fare poco e nulla per la gente del popolo, è facile, come ora è facile lanciare lo slogan ‘mandiamoli a casa’, tanto gridato da Grillo ai tempi dei suoi esordi ed ereditato magistralmente da Salvini, il politico che più di tutti ha saputo usare la politica di ‘pancia’ e da bar, nonché i social network a suo favore, diventando un vero e proprio fenomeno mediatico e accalappiatore di voti, che seguendo la strada lanciata da quello che fu il leader dei 5 Stelle, ha sancito la crescita a dismisura del suo partito, seguito da Giorgia Meloni, altra politica sicuramente di talento dal punto di vista mediatico, che cavalcando l’onda di frustrazione degli italiani nei confronti dei migranti e dei politici non ha fatto altro che indirizzare quella forza negativa verso i suoi avversari, cavalcando anche lei l’onda del taglio parlamentare, dimostrandosi, come fanno i 5 Stelle da anni, non rapaci, corrotti e attaccati alla poltrona e al lauto stipendio, come gli altri politici, ma la paladina delle masse oppresse, ponendo l’attenzione sui votanti e identificandosi con loro, e non con la classe politica incapace. Ultimo a entrare nel clan è il PD di Zingaretti, partito che si sta snaturando giorno dopo giorno, lasciando perplessi i suoi votanti e i suoi iscritti, in nome di questa convergenza politica, che vede i 4 partiti politici principali italiani, seppur avversari, convergere a favore della diminuzione dei parlamentari, come se questa sia la causa di ogni malessere economico italiano, quando in realtà i benefici economici saranno irrisori. Gli italiani risparmieranno infatti meno di 1 euro a testa all’anno, ma quel che conta per i partiti anti sistema non è il risparmio economico, ma dimostrare di essere i veri paladini del popolo contro la classe politica che li ha solo oppressi, mostrandosi come i partiti populisti dell’America Latina, che hanno caratterizzato la politica di quel mondo negli anni ’60, ’70 e ’80, portando si alcuni benefici alla popolazione ma al prezzo di numerose privazioni alle libertà civili e personali. Per gli italiani, stanchi di essere, in un certo senso, presi in giro e sfruttati dalla classe politica, che specialmente in questo periodo storico che vede una profonda crisi e stato di povertà di alcune frange della popolazione rimaste senza lavoro e abbandonate dallo Stato, il tagliare il numero dei politici rappresenta la giusta vendetta divina, vendetta però, che come ogni atto negativo, è destinata a generare un contraccolpo nocivo per chi la mette in atto, in quanto riducendo il numero dei deputati e dei senatori, il voto dei cittadini varrà meno, ed eleggere un proprio rappresentante sarà senza dubbio più difficile, specialmente per i partiti politici più piccoli, quegli stessi partiti che forse le 4 maggiori forze politiche del Paese vogliono definitivamente cancellare, in maniera subdola, e senza che nessuno se ne accorga, creando un oligopolio rappresentato dalla Destra Populista (Lega e Fratelli d’Italia), e i Giallo-Rossi, esponenti non della società di calcio capitolina bensì dell’alleanza tra PD e 5 Stelle che vede il suo connubio in Giuseppe Conte, attuale Premier che può contare su un discreto successo in grado di poter sfidare la destra populista. 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