UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA
“Il dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”
RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI
Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343
ANNO ACCADEMICO 1978-1979
PARTE QUARTA
IL PENSIERO SOCIALISTA E LO STATO SOCIALISTA IMPERFETTO
Potrà sembrare paradossale, e forse lo è sotto alcuni aspetti, collocare in queste pagine dedicate all’analisi della tesi trotskista pure gli interventi più interessanti scritti dai socialisti sulla natura del modello sovietico. I socialisti, infatti, ritengono nel loro complesso l’Unione Sovietica un paese socialista (con alcune imperfezioni) e non uno stato operaio degenerato. Ciò che mi ha fatto decidere circa la loro collocazione in questa sezione è la presenza, soprattutto in alcuni autori, di tesi tipiche del pensiero trozkista (come vedremo in seguito e come faremo meglio risaltare nelle pagine dedicate alle osservazioni). Questi temi, dicevo, ritornano anche se molto attutiti, quasi un eco ovattata, negli articoli di alcuni socialisti.
Anche se quei pensatori definiscono lo Stato sovietico di tipo socialista, al pari dei comunisti, ho preferito differenziarli da questi in quanto la loro divergenza dai giudizi comunisti è fatta rilevare chiaramente da loro stessi. In un articoletto anonimo apparso sul quotidiano del partito il 10 novembre 1948 si afferma che ciò che distingue il pensiero comunista da quello socialista a proposito dell’Unione Sovietica non riguarda tanto il giudizio sugli sviluppi della Rivoluzione d’Ottobre, quanto quello sullo stato che dalla stessa rivoluzione è sorto:
“Il punto che diversifica i socialisti dai comunisti è l’accordo su alcuni dei successivi sviluppi non della Rivoluzione russa, ma dello Stato che da quella rivoluzione è nato.” (14)
Con questa affermazione, in altre parole, si vuole operare una distinzione tra quelle che sono le realizzazioni sociali ed economiche della rivoluzione e la sua sovrastruttura politica.
Riccardo Lombardi, in una serie di articoli pubblicati sull’Avanti! (15), dà sostanzialmente ragione a questa tesi. Il chiodo sul quale Lombardi batte il martello con un’insistenza decisa è rappresentata dalle riflessioni sul problema degli effetti, positivi o negativi, cui avrebbe dato origine lo stretto legame intessuto dalle forze del movimento operaio internazionale con la politica di Mosca. In altre parole: la sudditanza dei partiti di sinistra agli interessi della politica sovietica favorisce la vittoria socialista del proletariato internazionale e facilita il cammino dello stesso socialismo sovietico, oppure rende entrambe le cose più difficili e spinose?
Nell’articolo “Socialisti, comunisti ed unificazione” Lombardi risponde chiaramente affermando che, se da una parte i socialisti devono difendere ed aiutare fraternamente l’Unione Sovietica in quanto quello è il solo paese nel mondo nel quale “lo sfruttamento economico dell’uomo sull’uomo sia stato giuridicamente e di fatto abolito” e difenderlo, dice Lombardi, “indipendentemente dal giudizio che sul regime politico in esso instaurato possa darsi” (16), d’altra parte dovere delle forze socialiste è quello di difendere la propria autonomia dall’ apparato dirigente dell’Unione Sovietica. Le forze socialiste non devono perciò cadere nel vicolo cieco della subordinazione agli ordini del Cremlino, ma seguire situazione per situazione quella particolare linea politica che risulta essere di massimo rendimento per il raggiungimento dello scopo, cioè per la realizzazione di una società socialista :
“La difesa e l’aiuto fraterno all’URSS, qualunque sia il giudizio che sul regime politico in essa instaurato possa darsi, è un dovere primordiale per ogni socialista che del socialismo non abbia rinnegato tutto e conservato solo il nome …. La difesa e l’aiuto fraterno all’Unione Sovietica devono essere esercitati dai partiti socialisti in piena indipendenza dall’apparato dell’Unione, non devono isterilirsi in una mera opera di assecondamento della politica dello Stato sovietico.” (17)
Ogni successo del socialismo infatti, scrive Lombardi, oltre ad essere un passo in avanti per il proletariato internazionale è pure un apporto concreto alla difesa del socialismo russo. Ritorna, in altre parole, il concetto che, solo grazie al successo mondiale del socialismo, sia possibile la concreta realizzazione del socialismo stesso nei singoli paesi.
L’autonomia dalla politica dello Stato sovietico è indispensabile al fine di evitare i pericoli e gli intoppi che la politica russa potrebbe creare alle forze proletarie internazionali. La subordinazione a Mosca si trasformerebbe in un freno insopportabile che rallenterebbe pericolosamente l’avanzata del socialismo:
“Se, per esempio, i dirigenti dell’Unione Sovietica nella pienezza della loro responsabilità, reputassero utile ai fini della difesa e dell’incremento dell’Unione che determinate riforme socialiste mature per la realizzazione, fossero in questo o in quell’altro paese accantonate, che la classe operaia svolgesse una politica di attesa e di collaborazione laddove le possibilità di lotta vittoriosa esistono, ebbene in tal caso noi diremmo che i socialisti non dovrebbero affatto rinunciare alla lotta o accantonarla perché gli interessi permanenti del proletariato internazionale e, con essi quelli dell’Unione Sovietica, ne sarebbero in tal modo meglio serviti.” (18)
Che quest’ipotesi non sia puramente retorica o fantasiosa, ma al contrario molto reale, è provato concretamente dai risultati dell’interferenza degli interessi sovietici nella determinazione, ad esempio, dalla politica di alcune forze della sinistra italiana. Lombardi sostiene infatti che l’accantonamento delle riforme di struttura e degli ideali che avevano alimentato la Resistenza al nazifascismo è dovuto all’influenza degli interessi della politica sovietica, tendente a dividere il mondo, assieme alle altre superpotenze, in sfere d’influenza rigidamente determinate: la vita e la ritirata delle forze proletarie in Italia sarebbe quindi il prezzo (‘usuraio’, dice Lombardi) pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione in Europa orientale:
“Il caso indicato come esempio che potrebbe apparire retorico non è poi tanto paradossale, se al congresso di Genova un autorevolissimo compagno ha potuto prospettare, sotto tale profilo, l’accantonamento delle riforme di struttura e dei postulati della Resistenza in Italia dopo il 25 Aprile, quale prezzo pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione nell’Europa centro orientale. Noi possiamo giudicare che tale prezzo è stato ‘usuraio’.” (19)
L’origine di questa particolare politica dello Stato sovietico, sostiene l’autore, ha una causa precisa: la mancata rivoluzione nell’Occidente industrializzato. Questo fatto ha provocato l’abbandono da parte bolscevica dei principi di libertà e di iniziativa popolare presenti nella Rivoluzione d’Ottobre ed ha provocato come risultato naturale lo stalinismo, il principio gerarchico, la direzione burocratica:
“Questa è la conseguenza non di un capriccio, bensì di un fatto obiettivo, della mancata espansione, cioè, della rivoluzione proletaria oltre i confini dell’Unione Sovietica, dell’insuccesso riportato dal proletariato dopo la prima rivoluzione mondiale, del fallimento della rivoluzione in Germania, in Ungheria e in Italia e della conseguente necessità per l’URSS di accantonare i profondi motivi libertari, di iniziativa popolare, di democrazia economica insite nella Rivoluzione d’Ottobre e nell’azione di Lenin, per sviluppare i motivi statalisti, gerarchici, di direzione centralizzata e burocratica espressi drasticamente nell’attuale parola d’ordine ‘Famiglia, Stato, Patria.” (20)
In un altro articolo Lombardi sottolinea molto significativamente come quelle strutture prodotte in Russia dal mancato avvento del socialismo nel mondo (il nazionalismo, il principio gerarchico, la burocratizzazione) non siano affatto caratteristiche del socialismo. E ancor più significativamente scrive che è proprio questo motivo (il carattere non socialista di alcuni aspetti del regime sovietico) a impedire l’identificazione degli interessi sovietici con quelli del proletariato mondiale:
“Ragioni storiche che non solo hanno impedito e impediscono che la classe operaia dell’URSS potesse sviluppare i profondi motivi di libertà e di autogoverno, di iniziativa popolare, in confronto ai motivi gerarchici, burocratici, nazionalistici, motivi, ricordiamolo, che non sono socialisti. Questa è la giustificazione storica per la classe operaia internazionale di identificare le finalità della sua politica rivoluzionaria con le finalità particolari dello Stato sovietico.” (21)
Quindi, riassumendo, Lombardi afferma che, a causa di alcune storture statalistiche e burocratiche che deformano il regime sovietico, la politica dello Stato russo non può servire da direttiva per il movimento socialista internazionale, perché provocherebbe, nel caso venisse seguita, un freno ed un rallentamento del cammino del socialismo che deve invece procedere separatamente ed in piena autonomia, nello stesso interesse dello Stato sovietico che, grazie ad una vittoria mondiale del socialismo, supererebbe le proprie storture cui ancora è condannato dal suo storico isolamento.
Un altro aspetto del pensiero socialista a proposito dell’Unione Sovietica consiste nella critica degli squilibri registrati nell’ambito della distribuzione e del consumo, dove, accanto ad un proletariato che vive con poco, si trova un piccolo numero di persone che gode di considerevole ricchezza e di un benessere sconosciuto al resto della popolazione.
Un articolo degno di nota a questo proposito è firmato da Ruggero Mura ed è tratto dalla rivista quindicinale della gioventù socialista “Internazionale” (22). Mura sostiene che gli operai in Urss non conoscono il vero ammontare del valore prodotto dal loro lavoro e quindi nemmeno l’ammontare di quel plusvalore che, se non finisce nelle mani dei capitalisti come nei regimi borghesi, viene però incamerato dallo stato sovietico:
“In realtà gli operai russi non possono rendersi conto del valore prodotto dal loro lavoro e tantomeno potranno quindi rendersi conto degli aumenti di paga cui hanno diritto per un maggior lavoro compiuto. Vi è un plus valore che non va nelle mani del capitalista, come gli stati borghesi, ma che viene incamerato dallo stato.” (23)
Lo stato, l’organo preposto alla redistribuzione del reddito nazionale (“è lo stato che stabilisce l’ammontare dei salari”), adotta dei criteri di distribuzione tali da generale diseguaglianze enormi tra i vari strati di cittadini sovietici, diseguaglianze che aumentano in misura sorprendente a mano a mano che ci si avvicina ai più alti gradi della gerarchia. Questa diseguaglianza è giudicata inammissibile in un tipo di società veramente socialista:
“Quando si passa alle categorie superiori il ventaglio si estende enormemente e le sperequazioni aumentano …. Noi osserviamo che il sistema sovietico ammette sperequazioni inammissibili in una società socialista, a tutto vantaggio delle categorie politiche dirigenti e che la massa operaia non ha assolutamente la possibilità di un controllo del valore prodotto dal suo lavoro e di pretendere un’analoga o almeno proporzionale corresponsione.” (24)
L’autore, concludendo, tiene a precisare che la sua non vuole essere una sterile critica al sistema sovietico, ma la dimostrazione della validità della tesi che afferma che il socialismo non può vedere la luce in uno stato singolo:
“E ciò non per assumere una posizione di sterile critica nei confronti del sistema sovietico, ma per avvalorare la nostra tesi secondo la quale non si può realizzare il socialismo nell’ambito di uno stato singolo (lo stato presuppone logicamente una società divisa in classi, per cui è indispensabile l’esistenza di un potere superiore e indipendente).” (25)
La situazione di stallo in cui si troverebbe la Russia, costretta dalla necessità a creare uno stato forte, sarà sbloccata soltanto dall’avvento di una rivoluzione sociale sul piano internazionale, che spezzi i finimenti che ancora trattengono il socialismo russo:
“Nell’Unione Sovietica la necessità di difesa della Rivoluzione d’Ottobre ha imposto l’esigenza di creare uno stato e quindi il dominio di una classe politica. Soltanto la rivoluzione sociale sul piano internazionale riuscirà a sbloccare una tale situazione.” (26)
La critica alle diseguaglianze economiche esistenti in Urss viene anche ripresa dal quotidiano del partito, “L’Avanti!”, che nel suo numero del 13 luglio 1947 riporta appositamente un brano scritto da Oreste Rosenfeld (27) dedicato a questo argomento. Rosenfeld parla addirittura di ‘diseguaglianza organizzata’ in Urss, dove i cittadini privilegiati sono soddisfatti in tutti i modi nei loro bisogni; lo stato stesso, sostiene l’autore, organizza il mercato nero per fornire a questi strati privilegiati gli oggetti di lusso e i prodotti della migliore qualità.
Rosenfeld non addolcisce il tono della sua critica, parla di ‘magnati’, di ‘bel mondo’ per qualificare la vita di questi alti funzionari.
Accanto alle critiche, tutto sommato bonarie e fraterne di alcuni aspetti realtà sovietica, il pensiero socialista si caratterizza per una vivace difesa di altre caratteristiche del regime sovietico, di quegli aspetti, cioè, che riguardano più da vicino le strutture economiche del modello bolscevico: la statizzazione dei mezzi di produzione e la pianificazione dell’economia, aspetti di cui si fanno paladini e difensori.
In particolare, è la rivista “Socialismo”, diretta da Rodolfo Morandi, a dedicare l’attenzione maggiore a un analisi approfondita di questi problemi.
In un articolo Bienstock (28) si sforza di mostrare come solo attraverso la nazionalizzazione dell’economia, attraverso la distruzione della proprietà privata capitalistica, l’operaio si senta pienamente responsabile dell’andamento della produzione e offra di conseguenza il suo sforzo maggiore nell’impegno produttivo, cosciente che egli è ormai parte integrante del meccanismo economico produttivo e non più una molla inerte e sfruttata. I successi dell’economia sovietica nazionalizzata e pianificata, sole condizioni efficaci ed adatte a stimolare l’operaio nell’impegno produttivo, sarebbero quindi da ascrivere non ad una coercizione al lavoro o ad interessi materiali dell’operaio, ma al grande senso di responsabilità e di coscienza raggiunta dall’ operaio nella nuova economia socialista sovietica.
In un altro articolo Jean Bary sottolinea l’importanza dell’elemento della pianificazione in quanto significa la fine del disordine tipico di un’economia mercantile. Con la fine di questo disordine, dice l’autore, la libertà passa da un suo gradino inferiore per salire a quello superiore, caratterizzato dalla democrazia di piano:
“La sottomissione ad un piano significa la rinuncia a libertà disordinate, che non sono altro che false libertà, ma la pianificazione crea altre libertà che danno al concetto di democrazia ha un contenuto molto più sostanzioso.” (29)
L’autore è pure convinto che la pianificazione sovietica, democratica, sia l’espressione di un’alta democrazia economica, dal momento che i lavoratori non sono costretti a subire il piano e non sono più dei semplici meccanismi, delle rotelle della produzione, ma intervengono in prima persona a determinare le scelte, a discutere il piano stesso che non è quindi indipendente da essi. Questo concilierebbe il principio di una direzione centralizzata con la libertà dell’individuo:
“L’elaborazione dei piani di prospettiva non è l’opera esclusiva di alcuni specialisti, ma un’impresa grandiosa cui tutto il paese partecipa …. È questo un fenomeno del tutto nuovo, di cui non si può non sottolineare il significato: gli esecutori sono chiamati a discutere il piano di produzione che viene loro sottoposto, non sono più elementi che debbono accettare un piano determinato indipendente da essi, ma individui responsabili, di cui si cerca di elevare la coscienza e il cui parere non viene trascurato. Si manifesta qui un fatto nuovo di grande portata: il sorgere della ‘democrazia del lavoro’. Questa forma di democrazia ha la funzione di conciliare una direzione centralizzata con la libertà dell’individuo.” (30)
L’economia pianificata sovietica viene infine definita dall’autore un ‘Nuovo Umanesimo’.
Cesare Dani, che pure difende la pianificazione sovietica come momento necessario per il superamento dell’anarchia mercantile e come nuovo superiore sistema economico di regolamentazione della produzione, annette molta più importanza, per quanto riguarda lo stimolo a produrre, allo ‘spirito dell’ incentivo’ fornito all’operaio che non la convinzione di questi di essere parte integrante dell’economia, elemento necessario nella determinazione dei piani regolatori della produzione, eccetera.
L’ultimo articolo di cui ci occuperemo è quello di Giacinto Cardone, tratto dalla rivista socialista “Quarto Stato”, diretta da Lelio basso (31).
In quell’articolo Cardone, pur mettendo in rilievo i pericoli insiti in una pianificazione totale dell’economia (pericoli di burocratismo, di perdita dell’interesse individuale nella produzione, di mancanza di elasticità), considera tuttavia la nazionalizzazione dell’economia e la pianificazione economica uno stadio necessario sulla via dell’organizzazione più spontanea e libera delle forze produttive :
“(Nonostante) i pericoli del burocratismo, della paralisi della vita produttiva, venendo a mancare l’interesse individuale ed appesantendosi con piani che non possono mai avere l’elasticità necessaria per fronteggiare tutte le contingenze, la nazionalizzazione è tuttavia uno stadio necessario sulla via dell’organizzazione più spontanea e libera delle forze produttive.” (32)
Note:
14 – Lenin o Hitler in “Avanti!”, 10 novembre 1948.
15 – Riccardo Lombardi Predicatori di astinenza in “Avanti!”, 22 luglio 1948; I colloqui di Mosca in “Avanti!”, 3 agosto 1948; Socialisti comunisti e unificazione in “Avanti!”, 27 agosto 1948; Ipotesi e realtà in “Avanti!”, 7 settembre 1948; Contro il partito della guerra in “Avanti!”, 29 settembre 1948.
16 – Lombardi Socialisti …. art. cit.
17 – Ibidem
18 – Ibidem
19- Ibidem
20 – Ibidem
21 – Lombardi Ipotesi …. art. cit.
22 – Ruggero Mura Sistema salariale nell’URSS in “Internazionale”, 31 ottobre 1946.
23 – Ibidem
24 – Ibidem
25 – Ibidem
26 – Ibidem
27 – Oreste Rosenfeld Ineguaglianza sociale organizzata in “Avanti!”, 13 luglio 1947.
28 – G. Bienstock L’imponderabile nella nuova economia sovietica in “Socialismo”, settembre 1945.
29 – Jean Bary Pianificazione e democrazia in “Socialismo”, aprile 1946.
30 – Ibidem
31 – Giacinto Carbone La nazionalizzazione dell’economia in “Quarto stato”, 30 gennaio 1946.
32 – Ibidem
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.