di Pierluigi Battista |
Damnatio memoria è forse è troppo, ma questa cancellazione di ogni sia pur minimo frammento che ricordi la tradizione socialista italiana, questo annichilimento persino lessicale, questa sparizione assoluta di un pezzo importante della nostra storia, come vogliamo definirla? Se persino un “post” assoluto come Matteo Renzi, uno che con la tradizione comunista non ha niente a che fare e anzi sta smantellando ogni traccia residuale di ideologismo di marca comunista, se persino lui, senza nemmeno avvedersene, schiaccia tutta la storia della sinistra italiana come emanazione del Pcí, che segno è?
Dice Renzi che la sinistra nemmeno votò a favore dello Statuto dei lavoratori con l’articolo 18. Ma come lo Statuto dei lavoratori è stato fatto dalla sinistra, quella socialista. Il padre dello Statuto è stato un socialista, Giacomo Brodolini e il suo Ispiratore un grande glaslavorista socialista, Gino Giugni. E invece passa l’idea che la «sinistra» sia stata contro. Il socialismo espulso dalla storia e dalla sinistra.
Una dimenticanza ma molto eloquente. Fa bene sul Foglio Guido Vitiello, a menzionare, con ironia e conservando il senso delle proporzioni, qualche precedente.
Come le “mani” di Karl Radek che continuavano a dimenarsi, staccate dal corpo del loro proprietario, nel filmato, di un congresso della Terza Internazionale»: Stalin voleva azzerare ogni traccia del dirigente bolscevico caduto in disgrazia, ma quei particolare delle mani gli era sfuggito.
Oppure le tre versioni nelle fotografie della Rivoluzione cubana. «a prima con Castro che parla animatamente accanto a Carlos Frenqui e ad Enrique Mendoza» nella terza, strappati via i dissidenti Frenqui e Mendoza solo Castro che parla come uno squilibrato.
Ma sulla cancellazione della storia socialista nessun “Commissariato degli archivi“, come si intitola uno splendido libro di Alain Jaubert provvede a distruggere i reperti scomodi del passato, come accade negli Stati totalitari. Qui è solo il trionfo del più vieto luogo comune, l’incapacità di capire, secondo gli stereotipi del senso comune, quanto sia stata importante il riformismo socialista nella storia italiana fino a Bettino Craxi, anzi soprattutto con l’accelerazione modernizzatrice impressa da Craxi, mentre il Pci ancora non aveva ancora spezzato il legame di ferro con le mitologie del comunismo realizzato.
Un luogo comune così pervasivo da sfiorare persino un “campione” della politica post-ideologica come Renzi.
Tratto dal Corriere della Sera.
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