CRISI ECONOMICA A TERNI E IMMIGRAZIONE

 

di Mauro Scarpellini– Responsabile Amministrativo di Socialismo XXI |

 

IL QUADRO DEMOGRAFICO DI TERNI

I dati statistici ufficiali più recenti (all’1.1.2019) informano di un cambiamento demografico silenzioso e netto in corso nella città di Terni. Esso è sintetizzato in questa tabellina.

ANNO

RESIDENTI

TOTALI 

       (A)  

RESIDENTI

STRANIERI

      (B)

  RESIDENTI

  STRANIERI

      IN %

DIFFERENZA

TRA      

    (A) e (B)

2005

   109.569

     5.984

       5,46

    103.585

31.12.2019

   110.530

   13.523

    12,23

      97.007

 

Il commento di questi numeri riferiti ad un arco di tempo sostanzialmente breve -quattordici anni- porta ad esprimere considerazioni immediate e comprensibili per la loro semplicità e ragionevolmente valide anche al momento di questa redazione.

La città è in crisi. Lo è nel periodo contemporaneo e promette di restarvi nella prospettiva probabilmente con accentuazione di dati negativi.

Sono conosciuti i riferimenti di attività produttive che preoccupano in merito alla loro sopravvivenza e al loro contributo occupazionale, economico e sociale. Si possono ricordare, solo per iniziare, i settori della chimica e della siderurgia.

La riduzione di residenti dell’ultima colonna -che è la differenza tra i ternani di origine italiana e i ternani di origine straniera- è il risultato dell’azione di più fattori, tra i quali la probabile diminuzione della natalità (che dovrebbe essere in parte bilanciata dal prolungamento della speranza di vita e probabilmente a Terni non è sufficiente) e, in sicura maggiore misura, l’emigrazione definitiva dalla città verso altre città italiane e straniere.

L’emigrazione indica che le condizioni economiche e sociali non sono soddisfacenti e non offrono prospettive positive.

Non è irrilevante il numero di giovani diplomati e laureati che lascia la città per cercare lavoro fuori, in Italia e all’estero.

L’aumento del livello di scolarizzazione e di istruzione prodottosi nei decenni recenti porta i giovani residenti italiani a ricercare un impiego del proprio sapere acquisito e della propria preparazione in lavori di minore impegno fisico, maggiore impegno intellettuale, migliore distribuzione di orario e altri vantaggi. È ciò che si verifica in tutte le società nelle quali il progresso del livello educativo incontra opportunità applicative in un contesto di ampio sviluppo, e di questo abbiamo buona conoscenza e memoria in quanto si è verificato anche in Italia sicuramente dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Se le condizioni ora indicate non sono possibili i giovani le cercano altrove. È nota peraltro qualche contraddizione nello svolgersi di questo processo emigratorio di giovani italiani. Non sempre la loro soluzione lavorativa all’estero è di livello culturale o scientifico o, comunque, professionale di alto contenuto. Sovente il loro lavoro, per fortuna trovato, è anche di modesto contenuto ma necessitato e obbligato dalla scarsa dimestichezza con la lingua locale dei nostri giovani.

Allo stesso tempo, tuttavia, esiste una contemporanea diversa realtà che riguarda un numero crescente di giovani e consiste nella loro necessità di avere un reddito, un lavoro, comunque e dovunque. Emigrano; disposti anche a lavorare in mansioni meno qualificate di quelle alle quali potrebbero ambire grazie al loro titolo di studio. Partono preparati, pronti ad accettare modeste soluzioni con l’aspirazione a crescere nel breve tempo.

La maggiore istruzione porta a non desiderare i lavori precari, prevalentemente manuali, ritenuti più faticosi e instabili.

Questa fotografia della realtà ternana va comparata con la realtà di altre città, di altri villaggi e contrade di paesi stranieri che non hanno ancora avuto il livello di sviluppo della nostra città e dell’Italia e si scopre che il processo qui descritto ha somiglianze e analogie, pur con le caratterizzazioni tipiche e proprie di ogni situazione. Ci sono diversità antropologico-culturali e diversità dei livelli di sviluppo e non solo.

L’emigrazione italiana verso gli stati Uniti d’America dopo l’unità d’Italia e poi verso il Canada e l’America latina può essere analizzata con criteri non lontani da quelli che possiamo usare per analizzare il fenomeno migratorio dai 113 paesi dai quali provengono i 13.523 residenti ternani di origine straniera.

C’è un avvicendarsi storico di fasi migratorie nel mondo.

A Terni c’è un rimpiazzo demografico indicato dai numeri prima riportati. Lavori non più desiderati dagli italiani sono ricercati da stranieri che ne lasciano altri meno graditi o che cercano uno spazio di vita da costruirsi in un contesto più progredito rispetto a quello che abbandonano nella loro terra d’origine.

Questo rimpiazzo avviene come se fosse stato preordinato, gradatamente ma sicuramente. Alcuni effetti sono evidenti nei lavori artigianali e nel commercio al minuto, in prevalenza, ma anche nell’imprenditoria, nei servizi alle persone, artigianali e nel settore terziario in generale.

Questo quadro complessivo descrive un mutamento già avvenuto della realtà economica, sociale e culturale della città. Questo mutamento non si è fermato. Quello che sociologicamente definiamo ascensore sociale -cioè crescita scolastica e culturale e miglior lavoro della generazione successiva rispetto alla precedente- si concretizza -per i residenti di origine italiana- non più nel luogo di nascita o nei dintorni, ma con l’andata via dal luogo d’origine.

Quando ciò diventa un fenomeno quantitativamente rilevante -e lo è- la crisi è certificata. Lo è per la seconda fase, quella della ricerca di un lavoro migliore, ma ormai abbiamo sintomi anche di messa in crisi della prima fase, quella della scolarizzazione e dell’apprendimento.

Il livello economico della città non migliora, anzi regredisce quantitativamente e comporta una stabilizzazione delle attività produttive ad un livello conservativo. Ciò, in questa fase di storia economica, è già o sarebbe già (il dubbio è necessario) un risultato positivo. Definiremmo per analogia questa situazione come una situazione nella quale non funziona l’ascensore produttivo. È una situazione nella quale il rimpiazzo di cittadini residenti di origine italiana con cittadini stranieri nei mestieri svolti localmente concretizza la sostituzione dei primi con i secondi.

Per i primi la condizione vissuta o probabile è sgradita ed emigrano; per i secondi è -in generale- migliorativa rispetto a quella d’origine ma penosa a volte sul piano affettivo, linguistico, relazionale, forse anche religioso.

Anche gli immigrati, bisognosi di avere un reddito, un lavoro, comunque -e per questo sono emigrati dalla loro casa- e dovunque sono disposti anche a lavorare in mansioni meno qualificate di quelle alle quali potrebbero ambire grazie al loro titolo di studio.

Anche per loro l’ascensore sociale si verifica con la seconda parte realizzata all’estero. Abbiamo una coincidenza di un ciclo che normalmente non è ben capita per come e perché si verifica.

INTERVENIRE PER MODIFICARE QUESTO QUADRO

Il quadro che emerge, già documentato nel suo andamento da una ricerca della UIL di Terni del 2015, fu definito ternitudine, una sorta di malinconica e sconfortata analisi della situazione che appariva non suscettibile di cambiamento per la responsabilità degli attori economici e politici che -per ruolo- hanno l’interesse e il dovere di occuparsene.

Dal 2015 non si sono registrate iniziative significative per la ripresa economica e occupazionale della conca ternana. Non conosciamo sedi nelle quali si analizzino gli effetti dei provvedimenti assunti per l’area di crisi complessa Terni-Narni. Non conosciamo sedi nelle quali si ipotizzi un coordinamento finalizzato allo sviluppo del territorio nel quale esistono anche eccellenze imprenditoriale con anche vocazione all’esportazione di qualità. Non conosciamo ma forse non esistono.

Occorre intervenire per modificare questo quadro su più settori d’intervento. Ne indichiamo alcuni ma la richiesta principale, prioritaria, è quella di avere una sede nella quale si esprima un’idea complessiva per lo sviluppo dell’Umbria.

In tanti si rendono conto che una critica che corre nelle conversazioni serie non è relativa a quale ipotesi di sviluppo regionale si stia configurando ma è relativa alla continua erosione di funzioni pubbliche e private a danno del territorio ternano. Ciò, dice la critica che corre, in favore del perugino e del folignate; in favore di potentati o di aggregazioni di interessi e a scapito del ruolo della città di Terni e della qualità e quantità di servizi e prodotti che -invece- Terni potrebbe fornire. Una dequalificazione che non vede reazioni da chi dovrebbe.

Nessuno reagisce eppure i dati ufficiali dicono che la riduzione del numero di ternani di origine italiana (residenti nel periodo della tabella dal 2005 al 2019) è superiore al numero di emigrazioni (nette dai rientri) dell’intera Umbria. E come se dall’intera Umbria siano emigrati solo i ternani. Un dato anomalo che denuncia le responsabilità in ogni campo.

Il quadro esposto richiede una cura da cavallo, decisa, convinta, necessaria. I settori nei quali intervenire sono tutti. Occorre una visione complessiva e coordinata delle leve d’intervento normativo, d’investimento, finanziario. Dal turismo all’industria, dall’agricoltura al commercio e così via, tutti i settori produttivi vanno coinvolti.

Gli elaborati di questa pubblicazione sono una sollecitazione e un’indicazione che le istituzioni pubbliche e private dovrebbero utilizzare e arricchire.

L’IMMIGRAZIONE A TERNI 

Quanto prima spiegato sulle cause che provocano le immigrazioni trova una conferma andando a riferire dati più di dettaglio, assolutamente illuminanti, che confermano la crisi della nostra città.

Prendiamo atto dei dati relativi al numero dei romeni che sono la comunità straniera più numerosa a Terni. Erano 4.761 a fine 2019, oltre il 35 % degli immigrati residenti in città.

Terni con i 4.761 immigrati romeni era al quindicesimo posto tra le città italiane per numero di immigrati romeni; ma Terni non è la quindicesima città italiana, è la quarantunesima. Anche questa è una conferma del processo di rimpiazzo demografico in una città in forte crisi e di consistente emigrazione dei propri residenti di origine italiana. Evidentemente la comunità romena in Terni si è collocata in modo tale da fare punto di riferimento ulteriore per i connazionali e si è rafforzata nel numero; similmente a quanto avvenne per le comunità italiane -perfino organizzate in comunità di provincia e perfino di paese di provenienza, come constatai a Brooklyn anni fa- e come è avvenuto in ogni altra parte americana e australiana nella fase della più consistente emigrazione italiana. E a Terni non ci sono immigrati seduti all’angolo di qualche piazza che chiedono elemosina, né romeni né di altra origine.

Come detto, questi immigrati non aumentano perché i residenti vanno via. Il fenomeno lo abbiamo già illustrato.

L’immigrazione a Terni è cresciuta ed è un fenomeno importante e su essa manca in città una riflessione organica; in verità manca una riflessione minima. L’immigrazione non ha soltanto la causa prima spiegata. Qui ci occupiamo esclusivamente del fenomeno descritto ma l’immigrazione in Italia e nei paesi più sviluppati ha anche altre precise cause. Guerre, guerriglie, persecuzioni etniche e religiose, effetti del cambiamento del clima, sovrappopolamento.

L’O.N.U. SCRIVE CHE L’IMMIGRAZIONE E’

L’O.N.U. ha pubblicato i tassi di fecondità per paese. La sovrappopolazione in alcuni paesi non sufficientemente sviluppati provoca emigrazione. Popoli asiatici e africani viventi in scenari di oppressione, di guerriglia o di guerra, fuggono -se possono. Fuggono, se possono, coloro che vivono in zone nelle quali le variazioni climatiche hanno già peggiorato la loro vita o perfino l’hanno messa in pericolo. L’O.N.U. prevede una migrazione di 200.000 milioni di persone entro il 2050 e quindi, attenzione, quella di constatare esistenza e flussi di immigrati non ha opzioni; l’immigrazione è.

Chi ha responsabilità pubbliche e affronta l’argomento dell’immigrazione su un piano di competizione declamatoria e di bravura muscolare nel fermare il fenomeno stesso non sa quel che dice.

Il tema, se si vuole, potrà essere sviluppato in altra sede, qui è circoscritto a quanto detto. Riferito ciò, ci si domanda cosa si può fare sul piano locale. Sul piano locale, comunale, la questione immigratoria va affrontata per quel che è nella dimensione del territorio comunale. Gli immigrati non sono mano d’opera di riserva. Sono cittadini.

Taluni affermano che la posizione assunta politicamente sull’immigrazione chiarirebbe l’appartenenza di chiunque su posizioni di destra o di sinistra, su posizioni di buonisti o di cattivi o altre definizioni simili. È banale quel modo di attribuire l’appartenenza politica, perché sono semplificazioni che sono il finale di analisi assenti o superficiali o emotive che valutano un aspetto o pochi aspetti del problema rispetto alla molteplicità degli aspetti stessi. Invece è corretto, è di ordine civile, generale, cioè valido per i cittadini, a prescindere dalle personali scelte elettorali, condividere, confermare e rendere in azione politica e amministrativa nel territorio comunale l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che afferma: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Non riprendiamo, qui, l’argomento lavoro e sviluppo, prima toccato.

L’articolo 3 condensa l’essenziale; l’Amministrazione comunale, per la parte di sua competenza, adempia le sue funzioni pubbliche, con diritti e doveri propri e altrui, sia in termini di solidarietà umana (diritto alla vita) che di sicurezza personale per i residenti e per tutti. Di origine italiana e di qualsiasi altra origine. Senza eccezioni. E così devono fare tutte le Autorità pubbliche presenti nel territorio.

Lo Stato deve fare il suo, attraverso i suoi corpi e le sue politiche di governo. Il Comune deve, per la propria parte, collegare il proprio programma di azione coi concetti della Dichiarazione universale, sottoscritta dall’Italia. Non è semplice, ma una linea di comportamento etico e concreto va pur tenuta. L’assenza di analisi e di conoscenza degli eventi, l’assenza di impostazione concettuale e delle azioni da compiere sono il vuoto nel quale naviga l’incapacità a fronteggiare fenomeni complessi e straordinari. Cosa può esserci, ragionevolmente, in alternativa? Diritto alla vita è solidarietà, assistenza, diritto/dovere all’integrazione, all’apprendimento dell’italiano, al rispetto delle leggi, diritto/dovere al lavoro e all’istruzione. Un processo ordinato giova all’economia locale, non dà un vantaggio solo all’immigrato ma all’intera società nella quale egli si è inserito. Diritto alla libertà è liberazione dal bisogno per gli italiani e per coloro che desiderano diventare italiani; esercizio effettivo della libertà per le donne immigrate, non sottomesse e nella pienezza della parità nella famiglia e nella società. Si deve capire, su questo punto, il rigore del rispetto dell’obbligo scolastico, unica via di crescita e di liberazione del pensiero. Diritto alla sicurezza per tutti, italiani e immigrati. Quindi nessuna tolleranza, omissione, leggerezza perché la legge è uguale per tutti. La sensibilità sulla sicurezza è diffusa e il bisogno di sicurezza è di tutti e, dunque, la sicurezza massima possibile dovrebbe essere di sistema. Il fatto che i dati statistici (quindi medi) dicano che i pericoli percepiti in Italia siano molto maggiori di quelli reali -generando insicurezza-  non toglie importanza al problema e non basta riferire le statistiche ma occorre -per la parte di competenza dei Comuni e di tutte le Autorità pubbliche presenti nel territorio- mettere in atto politiche amministrative utili alla corretta informazione e incrementare la collaborazione con la magistratura e i corpi preposti alla sicurezza dei cittadini. A Terni non c’è una situazione di allarme generale e, tuttavia, i pochi episodi inaccettabili di violenza e malaffare non sembrano prevenuti e fronteggiati da chi dovrebbe farlo con necessaria decisione. C’è una indolente e rassegnata posizione che non va bene per il buon senso comune. Diritto/dovere alla conoscenza delle diversità culturali, religiose e delle tradizioni. Conoscersi e conoscere è una necessità per la convivenza civile in una realtà che è multietnica.

IL RECUPERO E LO SVILUPPO

Il recupero di una prospettiva della comunità ternana allo sviluppo economico, sociale, culturale del proprio territorio e la garanzia di convivenza serena sono gli obiettivi da traguardare.