LA PRIMAVERA DI PRAGA: IL SOCIALISMO DAL VOLTO UMANO

di Christian Vannozzi | La spietata dittatura sovietica iniziava a vedere la reazione delle repubbliche sorelle. Come era capitato a Budapest anche Praga, capitale della Cecoslovacchia, iniziava a mal sopportare la semi occupazione russa, e il suo regime dispotico, tanto che nel 1967, al congresso del partito comunista, il delegato Alexander Dubcek chiede ad alta voce maggiore democrazia e un socialismo dal volto umano. L’intervento di Dubcek scatenò un vero e proprio terremoto politico all’interno del partito comunista cecoslovacco, tanto che proprio lo stesso Alexander fu nominato nuovo segretario politico, con il compito di democratizzare la nazione. Il nuovo leader non mancò le aspettative dei democratici e della popolazione, abolendo la censura, introducendo il voto segreto alle assemblee del partito e ricostituendo il partito socialdemocratico, che era stato la vera spina nel fianco dei comunisti quando si instaurò la dittatura sovietica nella repubblica. Il clou delle riforme socialiste portate avanti da Dubcek si ebbe nella primavera del 1968, che passerà alla storia come Primavera di Praga, una vera e propria rinascita in senso democratico della nazione, che vide la partecipazione attiva della popolazione della capitale alla nascente democrazia. Tutto questo però attirò la prepotente attenzione di Mosca, che intimò a Dubcek di rivedere le sue decisioni libertarie, cosa che fu disattesa da parte dei cecoslovacchi, che nel mese di agosto del 1968 subirono una violenta invasione da parte dell’Armata Rossa, che entrò nella capitale con i suoi carri armati per ristabilire la dittatura. Praga cercò di resistere, con i cittadini che iniziarono a manifestare e a opporsi a tale occupazione. I negozianti si rifiutarono di vendere prodotti agli occupanti sovietici, e alcuni studenti si diedero fuoco in pubblico. Jan Palach, primo protagonista di questo gesto estremo, divenne l’emblema di questa lotta per la libertà, che fu naturalmente repressa nel sangue dai sovietici. La figura di Palach, quasi dimenticata nei successivi anni di dittatura, risalì alla ribalta dopo il crollo del regime a Mosca, ed è ora uno dei simboli della democrazia della Repubblica Ceca. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA REPUBBLICA DI WEIMAR: ESPERIMENTO LIBERALSOCIALISTA?

di Christian Vannozzi | Nel 1919, alla fine dei trattati di pace che avevano attribuito alla Germania il pagamento della quasi totalità delle spese militari e il crollo del Secondo Reich, costituito meno di 50 anni prima dal Cancelliere Bismarck , i socialdemocratici vinsero le libere elezioni politiche e si iniziarono i lavori dell’Assemblea Costituente che avrebbe scritto una costituzione liberale, democratica e socialista in un Paese che era stato tra i più conservatori d’Europa. La sconfitta in Guerra della Germania la stava trasformando in uno Stato democratico, tra i più avanzati d’Europa. La nuova costituzione fu promulgata l’11 agosto 1919 nella cittadina di Weimar nella Turingia, che darà appunto il nome storico di tale Repubblica, che seppur avrà una vita breve, rimarrà nella Storia come esempio. Seguendo i principi espressi nell’ Esprit Des Lois del filosofo francese Montesquieu, il nuovo Stato vedeva la divisione dei poteri, con il Parlamento (reichstag) che deteneva il potere legislativo, ed era eletto direttamente dai cittadini, sia uomini che donne, come anche il Presidente della Repubblica, eletto anch’egli dai cittadini che aveva il potere di controllo tra i vari poteri e quello di nomina del Capo del Governo a cui spettava il potere esecutivo. Il potere giudiziario era infine esercitato dai giudici, come oggi (almeno sulla carta) nelle moderne democrazie. Si trattava di una repubblica semi presidenziale come l’attuale Francia, che vedeva nel popolo il vero centro del potere, cosa senza dubbio lodevole ma che poteva rappresentare un problema in uno Stato all’epoca debole e che era appena uscito da una Guerra logorante che l’aveva indebitato fino al midollo. L’esercito e la burocrazia erano rimasti nelle mani dei dirigenti e degli ufficiali che avevano servito sotto il Kaiser Guglielmo II, che non mancarono di criticare aspramente il trattato di pace, giudicato umiliante, che la nuova repubblica aveva sottoscritto con le potenze vincitrici, condannando di fatto la nazione alla povertà, cosa che sarà pagata, a caro prezzo, soprattutto dalle classi più basse, cioè dagli operai e dai contadini, che invece di vedere migliorate le loro condizioni, le videro peggiorare rispetto agli anni dell’Impero. Ironia della sorte, invece di appoggiare il Governo, che stava costruendo qualcosa di importante, la popolazione tedesca si divise tra gli operai che iniziarono ad avvicinarsi sempre di più alle idee comuniste, abbondando quelle socialdemocratiche che vedevano ormai inutili, mentre impiegati e militari auspicavano l’avvento di un uomo forte, come lo era stato il cancelliere Bismarck, che avrebbe saputo riorganizzare attivamente la burocrazie e l’esercito senza farsi schiacciare dai vincitori. Nel 1920 non mancò un colpo di stato portato avanti da un alto funzionario prussiano che fu fortunatamente sventato dall’esercito repubblicano, mentre le associazioni operaie iniziarono scioperi su scioperi avvicinandosi pericolosamente alle idee comuniste, che non facevano altro che spaventare ulteriormente la borghesia, la burocrazie e l’esercito, sancendo un forte solco tra operai e borghesia. Nel 1923 la situazione precipitò ulteriormente, quando la Francia e il Belgio, a causa della morosità tedesca, occuparono la zona industriale della Ruhr, che diede il colpo di grazia all’economia tedesca nonché un fortissima perdita di valore del marco che veniva stampato con sempre maggiore velocità tanto che a livello internazionale non contava quasi più nulla. Chi aveva investito nei Titoli di Stato perse praticamente tutto, mentre gli stipendi pubblici venivano adeguati giornalmente verso il ribasso. Il Primo Ministro Stresemann formò un nuovo Governo moderato con tutte le forze costituzionali, cercando di unire i liberali e i democratici moderati e isolando, di fatto i comunisti e i nazionalisti, che iniziavano ad avere la simpatia di larghe fasce della popolazione. La crisi vedeva però i militari sul piede di guerra, tanto che alcune frange, guidate dal generale Ludendorff, a Monaco, si allearono con il piccolo partito nazionalsocialista guidato dal giovane Adolf Hitler, e tentarono un colpo di stato che fu però facilmente sventato dall’esercito fedele alla Repubblica che aveva deciso di non schierarsi con il generale Ludendorff. In quell’occasione il giovane Hitler fu imprigionato, iniziando a covare la sua vendetta. Stresemann riuscì, grazie ad abili accordi diplomatici con Inghilterra, Francia e Stati Uniti, a risollevare le sorti economiche della Germania, riducendo l’inflazione e rimanendo al Governo fino al 1929, nonostante la vittoria elettorale dei socialdemocratici nel 1928, Stressmann mantenne infatti il Ministero degli Affari Esteri, fino alla sua morte avvenuta nell’ottobre dello stesso anno. La caduta della borsa del ’29 e la morte dell’abile statista, fecero ripiombare la Germania nel caos, dal quale si liberò la figura di Adolf Hitler e del partito nazista, che nel 1933, tramite le elezioni, prese legittimamente il potere, cancellando in pochi mesi la Repubblica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ARTICOLO 32 DELLA COSTITUZIONE

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Tra vaccino e eutanasia “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Questo articolo della Costituzione è, a mio parere, una meravigliosa costruzione dialettica che contempla e contempera interessi e diritti contrastanti. Vediamo allora gli elementi più importanti. Cittadino e individuo L’art. 32 riconosce la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, viene usato il termine “individuo” e non “cittadino” perché il diritto tutelato spetta a tutti indipendentemente da qualsivoglia requisito come invece altri diritti, ad esempio quelli politici, che sono riservati al cittadino cioè all’individuo che ha i requisiti della cittadinanza. Viene dunque tutelato “l’individuo”, non il solo cittadino. L’estensione ha senso, ad esempio, nel caso di pandemie dove sarebbe assurdo non estendere a tutti pratiche antipandemiche cosa che comprometterebbe ogni azione finalizzata a confinare il contagio. Individuo e collettività La tutela della salute è si un fondamentale diritto dell’individuo ma è, nel contempo, interesse della collettività. Pare logico e condivisibile che la tutela venga garantita dalla Repubblica sia all’individuo che alla collettività, ma indubbiamente problemi possono sorgere quando vi sia conflitto tra i due destinatari l’individuo e la collettività. Conflitto più che evidente in questi giorni tra i fautori di una vaccinazione obbligatoria e i no-vax. Conflitto che non può essere superato con il marchingenio del green pass che tende a raggiungere l’obbligatorietà senza decretarla. Il tema è se l’interesse collettivo possa conculcare il diritto individuale. Questo punto dialettico ci richiama, da una parte Hegel, per il quale lo Stato è la determinazione più alta dell’eticità, e la razionalità dello Stato rappresenta il passaggio successivo al passaggio dallo spirito soggettivo allo spirito oggettivo proiettato allo spirito assoluto. In questo passaggio l’essere-per-sé viene sublimato nell’essere-per-l’altro. Tale posizione fa prevalere senza riserve l’interesse collettivo sul diritto individuale, giustificando quindi l’obbligatorietà di trattamenti sanitari obbligatori. Ma d’altra parte, non possiamo, richiamando Foucault, scordare gli abusi del potere (che non è solo dello Stato ma anche del mercato) a danno del soggetto, abusi che possono sfociare nella mercificazione del corpo (utero in affitto), o nell’uso del corpo per fini di sperimentazione clinica trasformando l’individuo in cavia. Ecco che allora urgono strumenti a difesa dell’individuo contro l’abuso del potere, strumenti che si concretizzano da una parte nel consenso informato del paziente e dall’altra nella difesa della dignità della persona. L’art. 32 della Costituzione è attraversato da tutte queste considerazioni quando stabilisce il diritto del soggetto a rifiutare trattamenti sanitari che gli si volessero imporre (riconoscendo quindi il diritto individuale), ma stabilisce che la legge possa rendere obbligatori trattamenti sanitari quando questi siano finalizzati alla salute della collettività, riconoscendo la superiorità dell’interesse collettivo su quello soggettivo. La Corte costituzionale si è recentemente pronunciata in proposito, respingendo un ricorso della Regione Veneto, che si era appunto lamentata dei vaccini obbligatori (Corte costituzionale n. 5/2018). Naturalmente la legittimità di questo genere di misure estreme viene subordinata dalla Corte ad una serie di condizioni, quali: – Circostanze tali da richiedere un “patto di solidarietà” tra cittadino e stato; – Conseguenze negative assenti o normalmente tollerabili per il soggetto obbligato; – Indennizzo nei limitatissimi casi di conseguenze più serie, a prescindere da colpe; – Ragionevolezza scientifica (concetto questo flessibile e dinamico). La dignità umana Ma l’equilibrio sin qui raggiunto viene tuttavia rafforzato con l’ultima frase dell’articolo, la frase in cui si sancisce che “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Il concetto di “dignità” è un principio fondamentale che si affianca a quelli di “libertà ed uguaglianza” in una concezione di costituzionalismo inteso come limitazione del potere, esso connota tutto il costituzionalismo moderno. La costituzione italiana richiama questo principio sia nell’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (…)”, che nell’art. 36 dove si stabilisce che la retribuzione deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa”. Eutanasia assistita Ma il principio di “dignità” viene richiamato dalla nostra giustizia anche in un altro contesto, quello dell’eutanasia assistita, tornata così di attualità con il referendum per il quale si sono già superate le 500.000 firme. La Corte di Cassazione (sentenza n. 21748/2007) si è pronunciata nel noto caso di Eluana Englaro, al fine di consentirle, dopo molti anni, la sospensione di alimentazione ed idratazione forzata. Ciò è avvenuto proprio sulla base della dimostrata concezione di “dignità della persona” che era stata propria di Eluana durante la sua vita attiva.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DELOCALIZZAZIONI

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Premessa Il Consiglio dei ministri sta per esaminare lo schema di legge Orlando relativa alle delocalizzazioni e già il presidente di Confindustria Bonomi ha lanciato strali di contestazione tali che la sottosegretaria Todde si è sentita in dovere di negare che si tratti di una legge punitiva. Meno becero è l’intervento dell’iperliberista Istituto Bruno Leoni di cui riporto alcuni stralci. Il documento dell’Istituto Bruno Leoni La norma sarebbe ispirata a un’analoga legge francese del 2014, la cosiddetta loi Florange. C’è un solo problema: quel provvedimento è stato in gran parte rigettato dal Consiglio Costituzionale transalpino e, nei fatti, è inutile. (…) All’inizio del 2014, il Parlamento diede il via libera alla norma che ha ispirato Orlando. La legge prevedeva che le imprese con più di mille dipendenti, prima di avviare procedure di licenziamento collettivo, si impegnassero nella ricerca di un acquirente per garantire la continuità produttiva dei loro siti industriali, motivando eventuali rifiuti. In caso contrario, erano previste sanzioni fino a 20 volte il salario minimo per ogni occupato, con un tetto del 2 per cento del fatturato (oltre alla facoltà per il Governo di chiedere la restituzione degli eventuali sussidi ricevuti nel biennio precedente). I giudici costituzionali francesi hanno però fatto cadere una parte cruciale della legge, quella secondo cui l’impresa era obbligata ad accettare le offerte d’acquisto prima di cessare le operazioni, a meno che non compromessero la continuità della produzione stessa. (…)   È davvero bizzarro che il Ministro del Lavoro stia spingendo con tanta forza per una norma (…) eccessiva, punitiva e inefficace. Non c’è alcuna ragione al mondo per pensare che (…) la legge non potrebbe essere censurata sotto quegli stessi profili di tutela della libertà di impresa che ne hanno determinato la bocciatura oltralpe. Perfino la parte meno controversa della norma, relativa alla restituzione degli aiuti di Stato in caso di chiusura – se limitata ai sussidi specificamente finalizzati a creare o mantenere occupazione – rischia di fare acqua. Da un lato, infatti, è già prevista non solo dal Decreto Dignità, ma spesso anche dai bandi con cui gli aiuti vengono erogati. Dall’altro, non ci vuole molto ad aggirare i vincoli attraverso appostazioni contabili che facciano emergere squilibri patrimoniali, magari anticipando l’iscrizione di poste negative. Infine, e più importante, la questione non riguarda solo l’opportunismo delle multinazionali (che c’è) ma il pessimo disegno degli incentivi e, ancor più, l’idea che il potenziale di crescita del Pil nel lungo termine sia figlio della spesa pubblica. Il Ministro Orlando dovrebbe guardarsi allo specchio e prendere atto della realtà: non è coi sussidi che si crea buona occupazione, e non è chiedendoli indietro che si restituiscono al paese le opportunità distrutte dall’eccesso di tasse e di regolamentazione che, anzi, proprio leggi come questa rischiano di esacerbare. Alcune riflessioni Non conosco ancora i contenuti del decreto Orlando, quindi mi limito a focalizzare alcuni punti del documento dell’Istituto Bruno Leoni. La prima osservazione è che non c’è una controproposta elaborata in alternativa ai presunti contenuti dello schema Orlando; si sostiene che lo Stato, come nella più pura teoria liberista, non debba in alcun modo interferire con la tutela della libertà di impresa. Quindi di fronte a situazioni con importanti riflessi economici e sociali (si fa cenno a imprese con più di mille dipendenti) lo Stato non dovrebbe fare nulla nella certezza che ogni intrusione dello Stato nelle decisioni delle imprese e del libero mercato siano inutili se non addirittura dannose. Riconoscendo come meno controversa quella parte della norma che potrebbe prevedere la restituzione di aiuti di Stato concessi nel biennio precedente, l’argomentazione dell’Istituto osserva che tale restituzione è già prevista dal decreto Dignità e spesso anche dai bandi con cui gli aiuti vengono erogati. Ed aggiunge una frase agghiacciante “non ci vuole molto ad aggirare i vincoli attraverso appostazioni contabili che facciano emergere squilibri patrimoniali, magari anticipando l’iscrizione di poste negative”. Tradotto in linguaggio corrente l’Istituto dichiara l’inutilità di porre condizioni agli aiuti di Stato, tanto truccando i bilanci, i vincoli posti si possono facilmente aggirare. Ma l’iperliberismo dell’Istituto si afferma in tutta la sua linearità quando afferma che le politiche interventistiche sono completamente errate essendo basate sull’idea errata che il potenziale di crescita del Pil nel lungo termine sia figlio della spesa pubblica. Su un punto però convengo con quanto espresso dall’Istituto, quando il documento parla de “il pessimo disegno degli incentivi”. Il documento ritiene pessimo lo strumento degli incentivi perché tendono a corrompere la purezza delle decisioni del capitale, io condivido la negatività degli incentivi per un’altra ragione. Gli incentivi, e ricordo che l’ammontare degli incentivi regalati alle imprese sono annualmente pari al gettito IRES, sono un trasferimento dalla comunità al capitale come se un soggetto (la comunità) finanziasse una impresa apportando capitale sociale ma a fronte di questo conferimento a quel soggetto (la comunità) non fosse riconosciuto alcun diritto: né proprietario (azioni societarie), né di partecipazione (all’assemblea dei soci), né di gestione (consiglio di amministrazione), né economico (distribuzione dividendi). Tutti questi diritti, naturale bagaglio di un normale soggetto che sottoscrive o acquista azioni di una società, sono negati al soggetto comunità e vengono appropriati dal capitale che ha trovato così un ulteriore modo di appropriazione del plusvalore tramite fiscalità. Ecco che allora ogni euro che la comunità eroga alle imprese, venga erogato nella forma di partecipazione ovvero proprietà sociale nella impresa. In caso di proposta di delocalizzazione non ci sarebbe da richiedere in restituzione dei fondi che continuano ad essere della comunità ed anzi la comunità avrà voce in capitolo nel decidere sulla proposta stessa.                       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA COMUNE DI PARIGI: IL PRIMO STATO SOCIALISTA DELLA STORIA

di Christian Vannozzi | Il 1 settembre del 1870 Napoleone III veniva sconfitto a Sedan dall’esercito prussiano. Parigi non si fece attendere, e la sua popolazione insorse pochi giorni dopo, il 4 settembre il leader del movimento operaio  Ernest Granger occupò l’Assemblea Nazionale e proclamò la Repubblica. Il Senato e l’Assemblea furono sciolti e si formò un Governo di Difesa Nazionale. Era la fine del bonapartismo, l’imperatrice fuggì in Inghilterra mentre Napoleone III era prigioniero dei prussiani. Il nuovo Governo era diviso tra coloro che volevano continuare la Guerra e coloro che invece volevano porvi fine per stabilizzare, nel miglior modo possibile, la neonata repubblica. All’interno del Governo provvisorio nasceva però la paura verso il socialismo e di conseguenza i moderati e i monarchici cercarono di fare fronte comune per isolare i proletari che invece vedevano di buon grado un Governo che li rappresentasse. Nel frattempo, verso la fine dell’anno la situazione economica precipitò e i prodotti alimentari vedevano aumentare il loro prezzo, tanto che la popolazione parigina iniziò a soffrire la fame e fu costretta a mangiare topi e gatti al posto della carne di bestiame tradizionale. Nel mese di dicembre furono macellati addirittura gli animali dello zoo, come antilopi ed elefanti, per tanta che era la fame, il tutto nella totale incapacità del Governo di fare qualcosa. L’Inverno rigidissimo non fu d’aiuto, poiché mancava il legname e il petrolio. Non tutti potevano riscaldarsi e diversa parte della popolazione morì. Il Governo in mano ai moderati non faceva poi progressi nella Guerra, tanto che i prussiani avevano ormai invaso parte dei territori dell’ex Impero Francese. I socialisti non persero occasione per accusare i moderati di errori tattico militari nonché politici, etichettandoli come gli affamatori del popolo e soprattutto come coloro che stavano vendendo la Francia ai prussiani. La sconfitta subita nelle vicinanze di Parigi da parte dell’esercito repubblicano francese, lanciato allo sbaraglio senza alcuna copertura da parte dell’artiglieria, fece precipitare la situazione, tanto che i superstiti, rientrai nella capitale, iniziarono ad accusare il Governo di averli mandati lì per morire e la popolazione insorse a favore dei militari. La situazione si ristabilì, anche se la repressione fu dura, specialmente contro i proletari e i contadini, i più colpiti dalla crisi. Alle elezioni del 1871 i moderati ottennero la maggioranza e Thiers fu nominato presidente della Repubblica Francese. Fu negoziata la pace con la Prussia, che aveva unificato al Germania, che ottenne l’Alsazia e la Lorena, nonché il pagamento di una ingente cifra come risarcimento di Guerra. Il 18 marzo del 1871 Parigi però insorse autoproclamandosi comune socialista, il primo Governo socialista della storia, noto come la Comune di Parigi. ● Suffragio universale ● Lotta alla povertà ● Democrazia direttamente ● Stato fatto dai cittadini ● Cooperative operaie e gestione di fabbrica Furono questi i punti da realizzare per la Comune parigina, che però ebbe brevissima vita, il 28 maggio il presidente Thiers, con l’aiuto dell’esercito prussiano entrò trionfante a Parigi mettendo fine all’esperienza socialista transalpina. Il cancelliere Bismarck decise di aiutare i nemici per non far dilagare la rivoluzione, che metteva ancora tanta paura all’Europa, specialmente se questa rappresentava l’ideale socialista, vera spina nel fianco dei vari Stati liberali e Conservatori. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I PARTITI SONO MORTI DA 25 ANNI

di Marco Tedesco – Italia Oggi| Le attuali forze politiche infatti non possono assolutamente essere definite dei partiti. Lo dice Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta. Se le Regioni non sono in terapia intensiva, poco ci manca. La pandemia ha indebolito il nostro regionalismo per due motivi: «Le continue tensioni e fratture tra centro e periferia e l’incapacità delle Regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro». A dirlo è Sabino Cassese, giurista, giudice emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Funzione pubblica. Il governo Draghi ha saputo instaurare una modalità più serena e collaborativa tra i governatori, e non è poco, ma i problemi restano, perché – spiega Cassese – a vent’anni di distanza dalla riforma costituzionale del 2001 «è giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato». Con lui abbiamo parlato anche di green pass, Pnrr ed elezione del capo dello Stato («lunga vita al governo Draghi»). Ma è ai partiti che Cassese riserva parole tombali. È inutile la loro ansia di rimanere in partita, soprattutto nella gestione del Pnrr, perché «i partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti». Domanda.Lo stato di emergenza, che lei ha ampiamente criticato quando non ne ha ravvisato i presupposti, vige fino al 31 dicembre. A che cosa – o a chi – serve? Risposta. Ho criticato la dichiarazione dello stato di emergenza, a pandemia inoltrata, perché utilizza il codice della protezione civile, che non dovrebbe applicarsi alle epidemie, e perché uno Stato moderno dovrebbe avere strumenti ordinari per affrontare situazioni difficili. Aggiungo che l’emergenza dichiarata da ultima ha anche un’ulteriore peculiarità: è stata deliberata con decreto legge, mentre il codice della protezione civile richiede soltanto una deliberazione del Consiglio dei ministri. Ancora una volta, si ricorre a strumenti eccezionali perché quelli ordinari non funzionano, invece di cambiare questi ultimi. D. Perché il governo non ha ancora introdotto l’obbligo vaccinale per legge ed è ricorso al green pass, con tutte le difficoltà che ne sono scaturite? R. In realtà il cosiddetto green pass è un obbligo vaccinale, disposto con legge, per ora limitatamente alle persone addette alla sanità, a chi vuole utilizzare i trasporti, alla scuola. In sostanza, con atto con forza di legge, è disposto un obbligo non generalizzato, ma limitato ad alcune categorie. Questo modo di procedere risponde al principio di proporzionalità, secondo il quale, quando vi sono strumenti meno invasivi, si fa ricorso a questi, invece che a quelli generali. D. Come mai da quando c’è il governo Draghi delle Regioni non si è più sentito parlare, se non nelle classifiche di vaccini e contagi? R. Merito del presidente Mario Draghi e del ministro Mariastella Gelmini che hanno saputo stabilire procedure di regolare consultazione con le Regioni, ma anche dei presidenti regionali che hanno capito l’errore di tirare troppo la corda. D. Il nostro sistema regionale esce rafforzato o indebolito dal Covid? R. Esce indebolito perché sono apparsi chiari due punti deboli. Da un lato, le continue tensioni e fratture tra centro e periferia. Dall’altro, l’incapacità delle regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro. Occorre invece che le regioni che hanno buone gambe aiutino quelle che zoppicano. D. Su centralismo e regonalismo si sono consumati dibatti infiniti. La pandemia dovrebbe aggiornare l’agenda delle riforme? R. Le regioni hanno mezzo secolo di vita e 20 anni di esperienza del nuovo regime che fu introdotto con la riforma costituzionale del 2001. È giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato. Il punto debole principale è costituito dalla difficoltà di prendere decisioni che siano veramente nazionali, come richiesto per la gestione nel servizio sanitario nazionale, del sistema scolastico nazionale, del sistema statistico nazionale, e di tutti gli altri sistemi definiti nazionali dalla legge. D. Il Pnrr imporrà all’intero paese una gestione commissariale. Quale sarà il ruolo delle Regioni? R. Per quanto già deciso, non mi pare che vi possano essere sovrapposizioni. Le regioni hanno una funzione di programmazione e di coordinamento, i commissari una funzione di esecuzione. D. Sarà il Pnrr, per lo stesso motivo, a rappresentare il de profundis per i partiti? R. I partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti. C’è un aspetto semantico che va ricordato: solo una delle forze politiche presenti in parlamento conserva nella sua denominazione sociale la parola partito. I partiti erano associazioni con molti iscritti, un’articolazione territoriale, una vita continua delle sezioni, congressi nazionali, organi centrali. Tutto questo non esiste più: ad esempio, il numero degli iscritti ai partiti e oggi 1/8 del numero degli iscritti ai partiti di 70 anni fa. D. Ultima domanda. La situazione nella quale ci troviamo rende plausibile un mandato bis di Mattarella e una permanenza di Draghi a palazzo Chigi fino al ’23? R. Penso sia utile che Draghi ci conduca fuori della crisi sanitaria e poi anche da quella finanziaria che seguirà. Lunga vita al governo Draghi. Pubblicato su SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NIENTE NOMI PER IL COLLE, DECIDA IL PARLAMENTO

di Felice Besotri | Quirinale. L’elezione del Capo dello Stato non prevede la proposta di candidature | La discussione sulla prossima elezione del presidente della Repubblica non contribuisce ad aumentare il prestigio delle istituzioni, né quello dei personaggi che le detengono o le deterranno. Si fanno nomi in un’elezione in cui tuttavia non ci sono candidati e a chi deve eleggere il presidente, i membri del parlamento in seduta comune e 58 delegati regionali, è fatto divieto di parlarne nell’assemblea prevista dall’art. 83 Cost. e a maggior ragione di proporre candidati. Così si è sempre fatto e in fin dei conti non abbiamo eletto delinquenti abituali o golpisti occasionali: siamo in Italia e a Roma e alla fine dei conti lo Spirito Santo, che ispira i Conclavi nella scelta dei papi, può provvedere anche alla scelta del Capo di uno Stato, che nel suo ordine è indipendente e sovrano, come la Chiesa cattolica secondo l’art. 7 della Costituzione. Da quando è vigente la Costituzione repubblicana lo Spirito Santo ha nominato soltanto 6 papi e ben 12 presidenti della Repubblica, il doppio, per combinazione lo stesso numero dei presidenti della Repubblica Federale Tedesca. Ma le somiglianze finiscono qui. In Germania l’elezione del presidente federale è regolata compiutamente dalla Costituzione e da una legge. Così si sa già oggi che l’assemblea è convocata per il 13 febbraio 2022 e che il presidente in carica, il socialdemocratico Steinmeier, sarà, per la prima volta dal 1949, candidato per un secondo mandato, basta che il suo nome sia proposto da almeno uno dei 1418 componenti dell’assemblea federale. Nessun problema in linea costituzionale: l’art. 54.2 GG prevede che il presidente sia eletto per 5 anni e, espressamente, che «la rielezione successiva è consentita una sola volta», mentre il nostro art. 83.1 Cost. si limita a dire che «è eletto per sette anni». La rielezione non era prevista, ma nemmeno esplicitamente esclusa, tuttavia sempre ritenuta inopportuna, tanto che per evitare, che un presidente in carica ci pensasse seriamente, i saggi costituenti previdero che non potesse esercitare la facoltà di scioglimento delle Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato e la precisazione, adottata con la legge cost. 4 novembre 1991, n. 1, «salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura», non significa un maggior favore alla rielezione. Nel silenzio della Costituzione un parlamento rinnovato con una legge incostituzionale (la n. 270/2005, il Porcellum) ha rieletto alla sesta tornata con 738 voti, più dei 2/3 dei voti, quelli richiesti nelle prime tre votazioni, Giorgio Napolitano. Si è creato così un pericoloso precedente, quello di un presidente eletto per necessità contingenti o incapacità di scegliere: una diminuzione del ruolo del presidente della Repubblica come garante della Costituzione, in continuità con la valorizzazione del presidente del Consiglio dei ministri grazie a leggi elettorali che gli garantiscono una maggioranza parlamentare superiore a quella attribuita dal corpo elettorale in libere elezioni proporzionali, e anche il controllo del Parlamento in seduta comune, facendo del primo ministro e della sua maggioranza artificiale i padroni delle istituzioni, comprese quelle di garanzia. Il presidente della Repubblica rischia così di diventare ostaggio o complice di una maggioranza politica e il parlamento, ora ridotto nei numeri da un taglio demenziale, una Camera di ratifica di scelte compiute altrove. La riconferma a tempo di Mattarella è da evitare: se non ci sono altre candidature valide, va rieletto per 7 anni con pieni poteri e non per giungere alla scadenza naturale della legislatura e poter cambiare la forma di governo. Sarebbe, comunque, opportuno che il Parlamento prendesse una posizione di principio e il presidente Mattarella l’ha indicata: vietare la rielezione e contestualmente abolire il semestre bianco. Non ci sono i tempi per un approvazione in via definitiva, ma sarebbe almeno un’indicazione: le presidenze della Repubblica a tempo sono eccezioni non ripetibili. Non è un caso che nessun presidente del consiglio in carica sia stato eletto presidente della Repubblica. Con un parlamento depotenziato e non rappresentativo il futuro presidente del consiglio sarà scelto da un presidente della Repubblica espressione di una maggioranza presidenziale forte politicamente e garante di un atlantismo e un europeismo continuista, quindi non all’altezza delle sfide planetarie politiche, sociali, economiche e ambientali che ci aspettano. Per questo dobbiamo mantenere alto il senso delle istituzioni ed essere rigorosi nel rispetto della Costituzione. Riportare il parlamento al centro è impossibile se si ritengono i parlamentari incapaci di eleggere un presidente della Repubblica come esige la Costituzione per essere invece considerati unicamente destinatari di «pizzini» con scritto il nome da eleggere, deciso altrove. Pubblicato su Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL DOCUMENTO CONOSCITIVO SULLA RIFORMA FISCALE

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Premessa Il 30 giugno le commissioni unite di Camera e Senato hanno prodotto il documento conoscitivo relativo alla riforma fiscale. Il documento denuncia la debolezza dell’attuale maggioranza che, stante la presenza di contrapposti interessi economici, non può che essere inefficace perché non può accontentare tutti e non vuole scontentare una parte (che sta in maggioranza) qualunque essa sia. Il sistema duale La vecchia idea di una imposta commisurata alla somma di tutti gli imponibili, qualunque sia l’origine degli stessi, evocata dalla Costituzione col concetto di “capacità contributiva” connessa alla “progressività” dell’imposta riconducibile al principio Cit (Comprehensive income taxation), è nei fatti, in anni di legislazione fiscale corporativa, sostituita da un sistema duale: da una parte i redditi di lavoro e pensioni, dall’altra gli altri redditi finanziari. Questa differenziazione ha portato ad infrangere il principio dell’”equità orizzontale” che dovrebbe essere costituzionalmente riconosciuto; redditi di pari importo sono tassati in misura anche significativamente diversa a seconda della natura del reddito imponibile; e la penalizzazione riguarda soprattutto i redditi da lavoro e dei pensionati. Il Documento della Commissione pur ammettendo che sarebbe auspicabile tornare ad un completo sistema Cit, riconosce tuttavia che tale ritorno “presenta numerose conseguenze di tipo economico e politico, in quanto implicherebbe l’incremento anche sostanziale della tassazione in diverse categorie reddituali”. La Commissione cioè riconosce che sarebbe auspicabilmente equo tornare al principio Cit, ma ciò, correggendo la legislazione che nel tempo ha favorito alcune categorie reddituali, farebbe pagare imposte più alte a chi è stato finora privilegiato, e quindi non si può procedere. E altre stranezze Poi i puristi del sistema duale sostengono, non si sa in base a quale ragionamento, che l’aliquota da applicarsi ai redditi diversi da quelli del lavoro sia fissa e sia pari all’aliquota più bassa applicabile ai redditi da lavoro. Quindi proporranno una flat tax sui redditi finanziari pari al 23 e non 26% come è ora. Ammettono che gli attuali scaglioni IRPEF presentano uno “scalone” nello scaglione tra i 28 e i 55.000 €; ci sarà quindi uno scaglione in più che riduce in scalini lo scalone e diranno che questo provvedimento è a difesa dei redditi medio-bassi. L’affermazione è falsa: infatti il nuovo scaglione riduce le imposte a tutti i redditi superiori a 28.000€ mentre a non avere nessuna riduzione sono i redditi al di sotto di quella cifra. Di innalzare le aliquote degli scaglioni più alti affinché essi paghino le stesse imposte che pagano adesso, neppure se ne parla. Si parla invece, e sembra certo, che la richiesta di semplificazione porterà all’eliminazione dell’Irap il cui gettito attuale è di 25 miliardi, purtroppo senza indicare come questo gettito (finalizzato alla nostra sanità) potrà essere recuperato. Non mi stupirei che a essere sacrificati fossero i redditi da lavoro dipendente e pensioni, viste le difficoltà di recuperare l’Irap persa tramite aumento dell’aliquota Ires, e la propensione ad aumentare i termini per applicare la flat tax ai redditi delle partite iva. Non si accenna a richiedere la fatturazione elettronica ai “forfettari” né di tassare i dettaglianti sulla base di un ricarico rispetto agli acquisti; il tutto per evidenziare la scarsa attenzione posta alla battaglia contro l’evasione fiscale, e contro un sistema di riscossione che si aggiunge agli effetti negativi dell’evasione. Mi pare invece positiva la proposta di unificare le leggi europee per la tassazione delle imprese, al fine di evitare l’arbitraggio fiscale all’interno della comunità.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CATTEDRE LEGATE AD UN ALGORITMO ED ESTATE PASSATA SUL COMPUTER: E’ QUESTA LA VITA DEL PRECARIO DELLA SCUOLA?

di Christian Vannozzi | Chi pensava che con l’uscita di scena della ministra Azzolina il mondo della scuola si sarebbe risollevato dalle ceneri si sbagliava di grosso, perché il nuovo inquilino dello scranno più alto di Viale Trastevere di certo non ha intenzione di far risorgere nulla, anzi, si impegna molto a peggiorare le cose e la vita dei docenti precari, anche se forse poterà un lieve miglioramento organizzativo, ma a che prezzo? Il lato positivo della faccenda, se tutto funzionerà per il meglio e l’informatica non giocherà qualche brutto scherzo dell’ultimo minuto, sarà il fatto che nei primi di settembre saranno occupate tutte le cattedre vacanti. Questo permetterà a migliaia e migliaia di docenti precari potranno avere un lavoro fin da settembre, e le scuole non avranno problemi nel completare l’organico in corsa, garantendo a tutti gli alunni i propri docenti fin dal primo giorno di scuola. Fino a questo punto tutto sembrerebbe ottimo, e la condizione di tutti, precari, scuole e studenti, si direbbe migliorata, ma nella vita reale tutto a un prezzo, ed è proprio quel prezzo che forse non si è voluto esaminare. Iniziamo dai docenti precari, che nel mese di Agosto si sono dovuti sedere al computer per inserire le 150 preferenze scolastiche richieste. Lavoro di poco conto per chi non è addetto ai lavori, ma che certamente diventa titanico se i server si bloccano continuamente e se non si conoscono le disponibilità delle varie scuole, dato che è uscito solo pochi a pochi giorni della chiusura della domanda con diversi errori. Se si unisce questa situazione di stress al fatto di non potersi godere, dopo un anno di scuola, la meritata vacanza per distendere i nervi e rilassarsi, si può ben capire lo stato mentale che può aver e un docente precario, che per carità, può almeno contare su un lavoro, ma dove sarà questo lavoro, in quale angolo remoto della provincia scelta non è dato sapere fino ai primi di settembre, salvo, come detto prima, complicazioni dell’ultimo minuto che nel mondo digitale italiano avvengo con regolarità. Che dire poi degli studenti? Verissimo che avranno i docenti a disposizione dal primo giorno di scuola, ma quali docenti? Con un algoritmo che assegna le cattedre non è detto, anzi è poco probabile, che si potrà contare sulla continuità didattica, e di conseguenza diverse classi avranno dei cambi di docenti, magari dopo aver potuto contare per vari anni dello stesso insegnante. Cambiare il docente nell’ultimo anno di un ciclo di scuola è qualcosa di veramente terribile, quasi traumatico per bambini e adolescenti, per non parlare dei disabili, che vivono il ambio in maniera esponenziale rispetto agli altri compagni. Dov’è la tutela dei più deboli di cui si parla tanto? Sindacati e politici, di tutto “l’arco costituzionale” (non ne è rimasto neanche uno a rappresentarlo Ndr.), dovrebbero dare questa risposta ai vari genitori che si troveranno, a breve, in questa situazione, perché uno Stato che si dimentica dei più deboli non è di certo un Stato degno di questo nome. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COMITATO UNITA’ SOCIALISTA PER LE REGIONALI IN CALABRIA

di Natalino Spatolisano – Quotidiano del Sud | Costituito con l’avallo del segretario nazionale del Psi Enzo Maraio il Comitato per l’Unità Socialista in Calabria, che spiana la strada per la presentazione di una lista socialista unitaria collocata nel centrosinistra nella prossima tornata elettorale di ottobre, a sostegno della candidata a governatrice della Calabria Amalia Bruni. I militanti di Socialismo XXI se lo erano infatti prefisso come obiettivo, sin dall’incontro tenutosi a Livorno nel mese di marzo 2018, “ricomporre la diaspora socialista restituendo al Paese un partito socialista in grado di riannodare il filo del dialogo con i cittadini italiani”. Finora ci sono riusciti soltanto in parte, facendo convergere nel neo comitato soltanto tre anime politiche di estrazione socialista, Psi, Forum liberal – socialista e Socialismo XXI. Entrano a pieno titolo nel nuovo sodalizio, in rappresentanza del Psi, la coordinatrice nonché vicesegretaria nazionale del Psi Francesca Rosa D’Ambra ed i membri Scipione Roma, Mattia Caruso, Gianni Milana, Gian Maria Lebrino, Gregorio Buccolieri e Domenico Tomaselli, di Forum liberal – socialista il responsabile regionale Francesco Maviglia, infine di Socialismo XXI il coordinatore regionale del movimento Santoro Romeo ed i componenti Domenico Ferrò, Giovanni Sculli, Giuseppe Frasca, Pietro Sgrò, Francesco Morano, Franco Danilo e Giuseppe Femia. “Il neo comitato è aperto a tutti i soggetti di estrazione socialista che volessero aderire, ivi compresi i singoli compagni che vi si riconoscessero”, sottolinea il coordinatore regionale di Socialismo XXI Calabria Santoro Romeo, “siamo infatti coscienti”, prosegue il sindacalista della UIL ed ex amministratore al Comune di Africo, “della condizione in cui versa la sinistra italiana, considerata l’assenza di un autorevole partito socialista, e sempre più  convinti  che il socialismo si costruisce con la dedizione e la passione degli aderenti e con la costituzione di un collettivo pensante al servizio dei cittadini. Saremo presenti con la nostra lista in occasione delle elezioni regionale di ottobre, ci batteremo fondamentalmente per quattro punti programmatici, sanità, turismo, infrastrutture  e forestazione, bisogna porre fine ai cosiddetti ‘viaggi della speranza’ al Nord e garantire cure uguali a tutti i cittadini riaffermando il principio di una sanità pubblica ed efficiente, serve investire ed operare nel turismo quale settore economico trainante ma anche nelle infrastrutture, ma necessita intervenire urgentemente nella forestazione, anche alla luce delle recenti devastazioni per mano di anonimi piromani, attraverso un nuovo Piano di forestazione nazionale, in linea con le direttive europee. Un progetto basato su due pilastri, protettivo e produttivo, bisogna realizzare le opere necessarie per il consolidamento del territorio, poi serve garantire la salvaguardia del bosco esistente con lo sfruttamento del legname ma anche delle biomasse per produrre energia pulita, rimboschendo gradualmente parte dei 570mila ettari di terreno forestale calabrese, al fine di ottenere”, conclude Santoro Romeo, “il massimo della produttività e del livello occupazionale possibile, soprattutto giovanile”.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it