MONTE DEI PASCHI DI SIENA

 

 

di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

Il piano approvato dalla Commissione europea nel 2017

La Commissione europea ha approvato il piano dell’Italia a sostegno della ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena in linea con le norme della Ue, «sulla base di un efficace piano di ristrutturazione». Questo, ha indicato l’esecutivo europeo, «contribuirà a garantire la redditività a lungo termine della banca, limitando nel contempo le distorsioni della concorrenza». Gli aiuti di Stato in questione valgono 5,4 miliardi di euro (contro le stime che da mesi indicavano un esborso pubblico superiore ai 6 miliardi) e servono per la ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena sulla base dell’accordo di massima sul piano di ristrutturazione della banca raggiunto il 1° giugno 2017 dalla commissaria Vestager e dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan .

Il contributo da parte dei privati, cioè azionisti e obbligazionisti subordinati, sarà di 4,3 miliardi. (da Il Sole 24 ore) La ricapitalizzazione precauzionale, come previsto dalla Direttiva BRRD, è una misura che può essere adottata per evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria. Questo sostegno pubblico ha natura straordinaria, cautelativa e temporanea; può essere concesso solo a condizione che la banca sia solvibile e che l’intervento pubblico sia approvato dalla Commissione europea in base alle regole sugli aiuti di Stato. La Comunicazione della Commissione UE sugli aiuti di Stato al settore bancario (“Banking Communication”), emanata nel 2013, ammette il sostegno dello Stato solo dopo la conversione in azioni degli strumenti di capitale, tra cui le obbligazioni subordinate (principio di “condivisione degli oneri” o burden sharing).

L’ammontare di capitale “precauzionale” che una banca può chiedere allo Stato è quello necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che deriva dallo scenario avverso di una prova di stress. Il 23 dicembre 2016, alla luce dei risultati della prova di stress resi pubblici dall’EBA nel precedente luglio, la BCE ha quantificato per MPS un fabbisogno di capitale regolamentare di 8,8 miliardi con riferimento allo scenario avverso. L’Importo era così determinato:

● 6,3 miliardi per riallineare il CET1 ratio alla soglia dell’8% (dal -2,4% risultante dalla prova di stress nello scenario avverso);

● 2,5 miliardi per raggiungere la soglia di Total capital ratio (TCR) dell’11,5%.

● In particolare, la ricapitalizzazione precauzionale ha richiesto la stesura di un piano di ristrutturazione della banca e di una lista di impegni collegati che il MEF ha assunto per conto di MPS nei confronti della Commissione europea. Tale piano è stato oggetto di valutazione da parte sia della Commissione, per quanto concerne la compatibilità con le norme europee in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, sia del MVU, specie per i profili di adeguatezza patrimoniale prospettica della banca lungo tutto l’arco del piano 2017-2021.

● Le autorità coinvolte hanno dovuto altresì verificare l’idoneità del piano di ristrutturazione a favorire il ritorno della banca a una sostenibile redditività nel medio periodo, condizione indispensabile anche per la prevista uscita dello Stato dal capitale.

● MPS continua a operare in autonomia nel mercato bancario. Si è tra l’altro impegnata ad attuare un piano di ristrutturazione che, per consentire il ritorno alla redditività e alla ​ competitività, prevede: il miglioramento del profilo di rischio (ad es. l’impegno alla cessione del portafoglio di sofferenze, il rafforzamento delle politiche di gestione dei rischi, vincoli all’attività di finanza proprietaria); la riduzione dei costi operativi (anche in termini di numero di filiali e di dipendenti); la cessione di attivi non strategici; limiti alle remunerazioni dei vertici.

● Al MEF, che opera per conto dell’azionista di maggioranza, spetta la scelta degli organi di vertice della banca.

● Il piano di ristrutturazione è stato definito anche con l’obiettivo di favorire il ritorno a una sostenibile redditività, il che ha richiesto la previsione di misure finalizzate a ridurre i costi di gestione della banca. Tra queste vi è anche la riduzione degli organici in misura pari a circa 5.500 unità (di cui 4.800 con l’utilizzo del fondo esuberi) e la chiusura di 600 filiali nell’orizzonte del piano (2017-2021). Il piano non prevede licenziamenti. Sono previste 500 nuove assunzioni. (da Banca d’Italia).

Il piano di MPS prevede che la ristrutturazione si svolga nel corso di cinque anni, durante i quali:

● la banca prevede di riorientare il suo modello di business verso la clientela al dettaglio e le piccole e medie imprese, di aumentare l’efficienza e di migliorare la gestione del rischio di credito . Nell’ambito di questo processo, conformemente alla normativa dell’UE sugli aiuti di Stato, l’alta dirigenza della banca sarà soggetta ad un tetto retributivo (relativo al pacchetto retributivo complessivo) corrispondente a 10 volte il salario medio dei dipendenti di MPS;

● un altro elemento fondamentale del piano è la cessione a condizioni di mercato di un portafoglio di crediti deteriorati di 26,1 miliardi di euro ad una società veicolo finanziata con fondi privati. Questa operazione sarà finanziata parzialmente dal fondo Atlante II. Inoltre MPS venderà a investitori privati i titoli senior con rischio più basso appartenenti alla società veicolo. Per favorire la vendita, la banca chiederà di avvalersi della garanzia statale a condizioni di mercato per la tranche senior nell’ambito dello schema di garanzia dello Stato italiano (il cosiddetto “GACS”, uno schema che non comporta aiuti approvato dalla Commissione nel febbraio 2016). (da finriskalert).

Il problema esuberi

Nella trattativa per l’acquisto di Monte dei Paschi di Siena da parte di Unicredit c’è un dato che dovrebbe rassicurare. Negli ultimi dieci anni il settore del credito a livello europeo ha registrato circa 360 mila licenziamenti, nello stesso periodo di crisi le banche italiane non hanno licenziato nessuno. A fare da cuscinetto è stato il fondo esuberi bancari che assicura ai lavoratori l’accesso al pensionamento anticipato qualora raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento nei sette anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. Un ammortizzatore che garantisce, insomma, fino a sette anni di stipendio, sebbene ridotto di circa il 20%, traghettando i lavoratori al traguardo pensionistico. Uno schema sperimentato e rodato.

«Nel caso di Mps, serve un finanziamento da parte del Tesoro che ha il 64% della banca: il Tesoro dovrà dare del denaro a Mps che girerà quei soldi al fondo. Non c’è ragione — spiega Lando Maria Sileoni, segretario generale di Fabi, il principale sindacato del settore ​ — di alimentare paure sulla trattativa, al di là di qualche aspetto da definire, è un’operazione analoga a quella del 2017 per il salvataggio delle banche venete da parte di Intesa Sanpaolo, quando lo Stato intervenne con oltre 5 miliardi». (da Il Corriere della sera) La nazionalizzazione del 2016 ha fatto pensare a più di un politico (soprattutto del Movimento 5 stelle) che finalmente ci sarebbe stata la riscossa nei confronti della finanza cattiva: una banca pubblica che avrebbe prestato attenzione al territorio concedendo credito alle piccole e medie imprese da sempre bistrattate dalla grande finanza. La realtà è stata ben diversa, una volta che una banca imbocca la strada della discesa agli inferi è difficile raddrizzarla.

Si pensi al destino di BNL che ha dovuto aspettare molti anni per riprendere a camminare grazie alle spalle larghe di BNP Paribas. Il pubblico non può fare miracoli, anzi ha sicuramente meno incentivi del privato per valorizzare un’azienda. Occorre ricordare che nel 2016, l’Europa ha chiuso un occhio accettando il salvataggio dello Stato in barba alla normativa a fronte dell’impegno ad uscire entro il 2021. Un impegno di cui tutti i governi, che si sono succeduti da allora in avanti, sono stati consapevoli. Da allora la banca non è stata rimessa in carreggiata e nessuno si è fatto avanti dall’estero per acquisirla. La soluzione stand alone non è percorribile e quella dell’acquisizione da parte di una banca nazionale è l’unica opzione sul tavolo da tempo. Con Intesa che ha acquisito UBI, di fatto il promesso sposo non poteva essere altro che Unicredit.

Quale è la ragione dell’interesse di Unicredit per MPS? La ragione è duplice. In primo luogo l’obiettivo è inglobare le attività più interessanti di MPS (che ha ancora una rete commerciale valida) garantendosi la neutralità di bilancio grazie alla dote che gli concederà il Governo come già è stato garantito ad Intesa nel caso delle banche venete. Così facendo Unicredit dovrebbe ampliare la sua presa sul territorio garantendosi una maggiore redditività. L’obiettivo più strategico potrebbe essere quello di ricostruirsi delle fabbriche prodotto (risparmio gestito, assicurazioni) di cui attualmente è sprovvisto per mettere in campo strategie di cross selling (vendere ai propri clienti più prodotti). MPS potrebbe portare in dote la compagnia assicurativa in partnership con AXA, per entrare nel mondo del risparmio gestito Unicredit dovrebbe aggiungere un altro tassello (Mediobanca, Mediolanum, Banco BPM).

Si tratta di una svolta U per Unicredit che la porterebbe a seguire con venti anni di ritardo la strada percorsa da Intesa. Intesa si è fusa prima con il San Paolo e poi ha acquisito le banche venete e infine UBI. Unicredit la seguirebbe con prede sicuramente meno interessanti (prima Capitalia e adesso MPS) e tornerebbe a costruirsi (partendo praticamente da zero) le fabbriche prodotto che oggi fruttano buona parte degli utili di Intesa. Forse non ce ne siamo accorti ma Intesa oggi fa i suoi utili in larga misura nel mondo assicurativo e del wealth management. Quindi le due banche giungono a questo matrimonio senza grande entusiasmo. Se questa è la situazione, fanno un po’ sorridere le levate di scudi della politica che vuole difendere il territorio, il patrimonio storico di MPS, evitare di fare un regalo a Unicredit. Il destino è abbastanza chiaro:

● lo Stato dovrà garantire la neutralità patrimoniale a Unicredit il che significa fornirgli una dote di qualche miliardo (almeno due).

● Unicredit prenderà soltanto le attività di MPS più interessanti. ​

● L’ipotesi che lo Stato entri nel capitale di Unicredit con una quota del 5% e così facendo difenda il territorio è irrealistica.

● L’integrità del MPS non è perseguibile in quanto la banca non può camminare sulle sue gambe e nessuno se l’è voluta comprare.

● Le ricadute sul territorio di Siena saranno pesantissime. Può sembrare strana l’analogia ma, pur trattandosi di una banca e non di un impianto industriale, Siena è un po’ come Taranto.

E’ assai probabile che il punto di caduta sarà la creazione di una banca regionale e/o di un potenziamento del Mediocredito centrale. Draghi da persona pragmatica quale è potrebbe avallare questa soluzione per raggiungere l’obiettivo di risolvere la vera grana che è rappresentata da MPS. Si tratterebbe in qualche misura del male minore ben sapendo che una banca regionale o una banca del sud a controllo statale avrebbe vita breve. Insomma un risultato che i nostri politici sventolerebbero come una vittoria ma che in realtà sarà una palla avvelenata.(da Huffpost) Per Unicredit niente fardelli e niente rischi (che restano tutti in groppa allo Stato e ai contribuenti) ma solo i pochi asset pregiati della banca con tanto di incentivi all’acquisto. Oggi ci sono le prime valutazioni degli analisti, positive. Per Unicredit l’operazione la neutralità sul capitale (leggi: non si spende un centesimo ), un accrescimento significativo dell’utile per azione, la protezione dai contenziosi legali e l’esclusione dei crediti deteriorati da qualsiasi transazione. “Nel complesso, si tratta di un’evoluzione positiva per UniCredit” (da Il fatto quotidiano).

Considerazioni

Dalla rassegna stampa sopra riportata, osservo che il piano 2017/2021 non ha avuto quel successo che il piano si proponeva. Infatti gli esuberi di cui si parlava e di cui si parla sono sempre sulle 5.000 unità, e i NPL sono sempre incombenti, mentre si sono aggiunti i contenziosi che potrebbero aggravare la situazione; non so se la rimodulazione degli stipendi dei dirigenti abbia avuto alcun esito. La triste conclusione è che quel piano sia stato solo un modo per tirare a campare senza che ci siano stati interventi determinanti, salvo, nei primi due trimestri del 2021, un piccolo utile di periodo. I piani, basti pensare ad Alitalia e Taranto, sono solo un modo di rimandare i problemi, ben altra cosa sono una seria pianificazione effettuata con serietà e determinazione (sono estremista se penso alla pianificazione cinese?). Questo fallimento del piano mette l’offerta Unicredit in posizione di forza (grazie anche alla dichiarata non opposizione da parte di Banca Intesa).

La banca, infatti tende a spingere il governo a fare uno spezzatino ovvero conferire NPL, cause ed esuberi ad una bad bank e prendersi la good bank risultante con cambio azioni, le azioni della good bank sono cedute dal MEF a Unicredit ed Unicredit cederebbe un 5% delle sue azioni al MEF, senza cacciare un euro. Il classico disegno di socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili. Richiedere all’Europa di dare ulteriore tempo prorogando il piano, mi pare un ennesimo rinvio con bassissime probabilità di successo. Il ministro Franco in commissione parlamentare ha mostrato un ottimismo dovuto garantendo tutti: i dipendenti, la città di Siena, la regione Toscana, i contribuenti e chi rivendica indennizzi. ​

La Lega in particolare, ma un po’ tutti i partiti, hanno colto l’occasione per attaccare il PD ed in particolare Letta, e ciò in puro stile da campagna elettorale; non mi pare che nessuno abbia proposto soluzioni. Peraltro, non pare che ci siano molte possibilità, stante l’obbligo di rimettere la banca sul mercato libero (?) entro fine 2021, il disastroso risultato degli stress tests, la fallimentare gestione del piano 2017/2021.

Si arriva a trattare con Unicredit in posizioni di debolezza e poiché nessuno, credo, pensa che io possa offrire una soluzione, mi limiterò ad una raccomandazione: nessun regalo fiscale a Unicredit, regali che pare siano previsti sotto forma di incentivi fiscali, ma al contrario mettere in azione un meccanismo fiscale che metta a carico di Unicredit sostanziose porzioni del costo gravante sui contribuenti, per la gestione della bad bank.