di Pino Augieri |
In questo quadro una programmazione nazionale del fabbisogno energetico
La proposta di Umberto Minopoli sull’energia elettrica mi sembra interessante perché consente di aprire un nuovo – e spero più positivo – capitolo nella discussione sulla politica energetica. Discussione che langue.
Non entro nel merito della realizzabilità della proposta, che si lega anzitutto alla accettazione – da parte della Francia – di dividere, con l’Italia, produzione e utilizzo di una riserva che già una volta è stata dichiarata strategica dai nostri “cugini”. Ma le recentemente rinnovate buone relazioni, soprattutto con Draghi, dei rapporti tra i due Paesi segnano un punto a favore.
Al di là della finalità immediata di sollecitare, per questa via, un possibile “sconto” sull’energia elettrica che importiamo ed in prospettiva importeremmo; sconto che in una situazione di partenariato potremmo chiedere con un po’ di forza in più; al di là dell’immediato dunque mi piace, della proposta, l’idea che si possa in tal modo sollecitare – creando un primo nucleo operativo – la discussione prima e soprattutto la realizzazione poi di un piano energetico europeo per una politica energetica comune.
Non tutti sanno che significa definire un piano energetico: e forse è bene riepilogarlo, almeno negli elementi più significativi. Significa decidere l’andamento delle richieste di consumi di energia dei prossimi anni e dunque il fabbisogno da assicurare; determinare il mix di fonti primarie da utilizzare per la produzione; decidere la quota di dipendenza dall’ ”estero” nella fornitura di queste fonti (e questa decisione è interdipendente da quella precedente); produrre una previsione di utilizzo almeno trentennale – e forse ancor più a lungo termine – delle centrali (dando per scontato – come è scontato – che le fonti rinnovabili da sole non potranno mai assicurare la piena copertura del fabbisogno energetico), partendo dalla considerazione che occorrono 5/10 anni per la loro costruzione e che i relativi costi sono ammortizzabili in altri 25/30. Se poi si parla di centrali atomiche tutto il discorso dei tempi si sposta verso il massimo dei tempi indicati. Scusate se è poco.
Le questioni relative all’approvvigionamento delle fonti primarie, o per meglio dire di quelle fonti che devono integrare quelle “proprie”, sono evidentemente questioni delicate di geo-politica che riguardano “l’affidabilità politica” degli Stati “esteri” ai quali ci si rivolge. Dunque, parlare di un piano energetico europeo – anziché di un piano nazionale – significa poter contare su fonti primarie europee e non solo autoctone; di un potere contrattuale verso i fornitori “esteri” ben più ampio di quello delle singole Nazioni; del dispiegarsi di intese, programmazioni e contrattazioni che, saranno pure altrettanti banchi di prova, ma sono altrettanti tavoli comuni di lavoro sui quali far crescere l’idea stessa di Europa.
Dunque Minopoli – e qui il mio apprezzamento – adombra la messa sul tappeto di una problematica che le ultime vicende hanno misurato nella sua immensa dimensione, con una sollecitazione all’Europa a fare un passo avanti.
Ma, indirettamente, anche un “avviso ai naviganti” di casa nostra: se non fosse possibile un piano energetico europeo, è bene sapere che senza programmazione e pianificazione dell’energia si fa un salto nel buio che è impossibile accettare. Dunque toccherebbe a noi, da soli, predisporne uno nazionale. Con qualche difficoltà in più e con ancora maggiore urgenza.
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