di Franco Astengo |
La bocciatura in due occasioni consecutive (2014 e 2017) da parte della Corte Costituzionale della formula elettorale scelta dal Parlamento Italiano per essere adottata in occasione delle elezioni politiche generali, l’adozione di una formula mista maggioritaria e proporzionale a separazione completa, altre modifiche del sistema come quelle riguardanti il voto all’estero hanno contribuito nel corso di questi ultimi anni a portare il sistema politico italiano in un quadro di crisi verticale. Una crisi sistemica derivante essenzialmente dall’esasperazione del personalismo, dalla caduta di ruolo dei partiti, dallo spostarsi del termini concreti dell’agire politico verso la governabilità in luogo della rappresentanza con conseguente riduzione di funzioni, ruolo, status dei consessi elettivi, in primis di quelli legislativi centrali.
Un fenomeno questo riguardante il Parlamento nei suoi due rami che ha raggiunto l’apice della distruzione di senso con la riduzione del numero dei deputati e dei senatori da eleggere portando al lumicino la possibilità di rappresentanza territoriale e politica.
Per questa vera e propria “difficoltà sistemica”, collocata al centro di fenomeni epocali di trasformazione economica, sociale, tecnologica, si può individuare una data d’inizio indicandola nel 18 aprile 1993, ventinove anni anni fa.
Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta epocale: nella prima occasione, quella del 1948 quando si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte Popolare.
In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) interessava la legge elettorale del Senato.
La riforma elettorale era considerata allora, semplicisticamente, la chiave di volta per modificare l’intero assetto del sistema politico.
C’era chi, come il movimento capeggiato da Mario Segni oppure parte del PDS proclamava che l’adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe semplificato il sistema, resa stabile la governabilità, fatta giustizia della corruzione, reso trasparente il rapporto tra eletti ed elettori.
Mai promesse da marinaio come quelle enunciate all’epoca hanno causato una vera e propria distorsione nella capacità pubblica di disporre di una corretta visione politica.
L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti.
Si è passati da un sistema misto di collegi uninominali e liste proporzionali bloccate a un sistema proporzionale interamente formato da liste e ,dopo aver tentato addirittura di proporre un sistema che avrebbe fornito la maggioranza assoluta con liste bloccate senza alcuna soglia da raggiungere sul modello della legge fascista Acerbo del 1924, ad un altro sistema misto con collegi uninominali e liste ancora bloccate.
L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti arrendendosi all’idea del prevalere di una logica di “voto di scambio” di massa elargito sulla spinta di una crescente sfiducia nelle istituzioni repubblicane.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.