di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |
La destra rifila un knock down al governo Draghi depotenziando ulteriormente la (de)riforma fiscale; il governo cede sulla cancellazione dei valori di mercato come parametro per la rendita catastale.
In un precedente articolo avevo temuto che il governo sarebbe potuto cadere sulla riforma fiscale: troppo diversi gli interessi ed i riflessi elettorali all’interno della maggioranza governativa per poter costruire qualcosa di serio. Eppure, alla presentazione del governo, il presidente del consiglio aveva usato toni elevati anche se un po’ vaghi nei contenuti, per annunciare le intenzioni di intervenire in modo energico sul fisco: “in questa prospettiva” affermava Draghi, “va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività”.
In realtà i miei timori di una caduta del governo sembrano accantonati anche se i risultati della lotta interna allo stesso comportano un abbassamento degli obiettivi indicati.
Per quel che riguarda la delega, essa pecca di genericità in quanto viene lasciata ampia discrezionalità al governo avendo il parlamento rinunciato a indicare precisi obiettivi e principi cui il governo dovrebbe attenersi, limitandosi a ratificare il testo di una delega predisposto dal governo stesso con un decreto. Il governo cioè ha detto al parlamento cosa il parlamento stesso doveva prescrivere al governo. Oltre al dubbio di incostituzionalità, cresce la preoccupazione per lo spostamento magmatico, di fatto, della funzione legislativa dal parlamento al governo, alla faccia della divisione dei poteri.
L’intervento sull’Irpef modificando scaglioni ed aliquote ha ridotto il carico fiscale ai ceti medi e alti esattamente il contrario di quanto asserito dal PdC e cioè che il carico fiscale era ridotto per i ceti medi e bassi.
La vittoria strombazzata dalla destra sulla riforma catastale costituisce un depotenziamento di un provvedimento che rivedeva i valori dei terreni e fabbricati, ampiamente obsoleti e ingiusti, anche se nel giro di 4 anni e senza aumento del gettito.
Rimangono, rafforzate le imposte sostitutive (flat tax e cedolari secche), fatto che costituisce una preoccupante discriminazione dei redditi: quelli di lavoratori dipendenti e pensionati tassati con criteri di progressività come previsto dalla costituzione, e i redditi altri tassati col criterio proporzionale e con aliquote inferiori alla più bassa aliquota Irpef. Anche qui ci sono preoccupanti violazioni dell’art. 3 e 53 della Costituzione in quanto c’è una discriminazione nell’eguaglianza dei cittadini e in quanto lo stesso importo di reddito viene tassato in modo diverso contravvenendo al criterio della capacità contributiva e al criterio di progressività.
Ma la fiscalità va esaminata non solo sul fronte dei redditi da colpire ma anche per quali scopi i fondi raccolti vengono utilizzati. Facciamo una piccola riflessione partendo dal fatto che la maggior parte delle imposte (Irpef e iva) sono prelevate dai lavoratori e dai pensionati e cercando di vedere questi fondi a chi vengono erogati.
Faccio solo due esempi: il superbonus e i superammortamenti 4.0 introdotti da Calenda.
Il superbonus del 110% nasce come un mostro che regala al beneficiario più di quanto questo spende facendo delle ristrutturazioni edilizie. Lo scopo dichiarato è quello ecologico di ridurre i consumi di gas migliorando gli edifici con interventi atti finalizzati all’efficienza energetica. Si sono approvati interventi per 19 miliardi per ristrutturazioni interessanti l’1% degli edifici, in particolare di soggetti benestanti. L’intervento come beneficio collaterale ha rilanciato l’industria edilizia; oggi non si trova più una impalcatura libera e i costi dei servizi e dei materiali sono “triplicati”. Ma che rilancio di un settore è quello che deriva dal regalo fatto all’utente di quel settore? E’ forse migliorata la qualità dei servizi, la produttività delle imprese, la concorrenzialità delle stesse? NO si è assistito ad un aumento dei prezzi (tanto paga lo stato) all’ingresso sul mercato di imprese improvvisate e impreparate, all’aumento degli incidenti sul lavoro. Dice che è diminuita la disoccupazione; è vero, infatti i lavoratori a tempo indeterminato sono aumentati, ma appena sarà finita la caduta della manna dal cielo, appena cesserà il superbonus, a tutti quei lavoratori non sarà rinnovato il contratto a tempo determinato e la disoccupazione tornerà ai livelli precedenti.
Il bonus 4.0 regala al capitalista che introduce innovazioni tecnologiche materiali ed immateriali sussidi fiscali. Ora la nostra costituzione affida all’iniziativa privata la responsabilità imprenditoriale, affida cioè al capitale di condurre la gestione economica e la produzione del PIL, e ciò nella convinzione che l’iniziativa privata sia la più adatta e capace a interpretare il mercato e ad affrontare la concorrenza mondiale. Fatto sta che da trent’anni la produttività della nostra economia non aumenta, rimane ferma al palo mentre nei paesi nostri concorrenti c’è un aumento di parecchi punti percentuali; si aggiunga poi che quel poco di aumento di produttività non trova riscontro in un uguale aumento dei salari come una delle principali golden rules economiche richiederebbe. C’è allora da chiedersi che capitalismo abbiamo oggi in Italia, se lo stato deve regalare sussidi perché le imprese innovino tecnologicamente, invece di essere loro le prime su questo fronte per combattere la concorrenza, e il futuro dell’economia si presenta come dipendente quasi interamente dalle nuove tecnologie, dalla robotizzazione e dall’incredibile capacità dell’intelligenza artificiale, dell’internet of things, dai computers quantistici (capaci questi di elaborare in poche centinaia di secondi calcoli che i computer attuali eseguirebbero in secoli).
Pare invece che il capitalismo nostrano (non tutto per fortuna, ma dalla stragrande maggioranza) si affidi solo al basso costo della mano d’opera, all’utilizzo di lavoratori precari se non addirittura a lavoro schiavistico come accade nel settore agricolo, ma non solo, nel Mezzogiorno, ma non solo. Se pensiamo che i sussidi creeranno maggior produttività e conseguentemente transitoriamente calo nell’occupazione, e se ricordiamo che i fondi provengono dal lavoro dipendente osserviamo un paradosso che va gestito in modo diverso. Ed il modo diverso è quello di trasformare i sussidi a fondo perduto, ammontanti a più di 30 miliardi di €, in partecipazioni societarie della comunità nelle imprese beneficiate. Se non si fa così continuiamo ad assistere all’appropriazione del plusvalore tramite fiscalità.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.