SVEZIA, FINLANDIA, NATO E LE BUONE PRATICHE PER LA DISTENSIONE E LA PACE

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |

Appena un mese e mezzo fa l’Assemblea dell’Associazione SOCIALISMO XXI scriveva, tra l’altro, nel documento relativo alla situazione di guerra in UCRAINA:

<<Non sono accettabili le minacce nucleari reiterate dalla Russia, poi smentite, poi riaffacciate. Esse indicano un alto livello di nervosismo politico e militare e di tensione che devono essere celermente superati.

Sono criticabili le dichiarazioni in libertà di vari esponenti politici italiani e stranieri, governanti nazionali e dell’Unione europea sull’adesione di altri Stati alla NATO, omettendo di valutare ciò che il trattato NATO prevede e cioè che siano gli Stati già aderenti a invitarne altri ad aderire dopo aver compiuto l’esame se ulteriori ammissioni elevino le condizioni di sicurezza. Mancano un esame da parte del Parlamento italiano ed un voto di indirizzo su questo delicatissimo punto.>>

Il 28 giugno 2022, a Madrid, i Capi di Stato e di Governo hanno deciso che Svezia e Finlandia possano essere ammesse nella NATO.

Desidero commentare sotto due profili questa scelta. Il primo profilo riguarda l’attenzione dedicata a questa scelta dalla politica italiana e il ruolo dei partiti e movimenti e del Parlamento.

Racconta la storia che quando il Parlamento italiano discusse la proposta di adesione alla NATO formulata dal Governo De Gasperi, nel 1949, la sensibilità generale degli italiani era pervasa dagli effetti della recentissima guerra mondiale e dei danni, lutti e dolori causati a persone e cose. Non fu facile parlare di patto militare a breve distanza di tempo dai tragici fatti militari. La sensibilità generale, tuttavia, fu fortemente influenzata anche da altre considerazioni e timori. L’Unione Sovietica aveva avviato una totale opera di costruzione della cosiddetta “democrazia socialista” in diversi Stati europei che con gli accordi di Yalta erano entrati definitivamente nell’area di influenza dominata dell’U.R.S.S. Clamorosa fu la vicenda di comunistizzazione violenta della Cecoslovacchia nel 1948, ma non furono risparmiati gli altri Paesi dell’Europa orientale con elezioni alterate nei risultati, intromissioni della polizia segreta e altri meccanismi di pressione e di esclusione di tutte le tendenze politiche non comuniste.

Gli italiani erano influenzati dalle valutazioni dei partiti politici la cui carica ideologica espressa non riusciamo neanche ad immaginare ai nostri tempi. La carica ideologica portava a schierarsi per l’alleanza occidentale (centro, destra, sinistra laica), per la preferenza con l’URSS (comunisti), per il neutralismo militare (socialisti).

Il voto in Parlamento fu preceduto da dibattiti accesi, pubblici, diffusi e animati. Il voto rispettò gli schieramenti e alcuni parlamentari democristiani e socialdemocratici e tutti quelli socialisti e comunisti non votarono la proposta.

Oggi il dibattito di ammissione di Svezia e Finlandia ha visto estranei i cittadini, e questo è grave. Ha visto estranei i partiti e i movimenti. All’interno di questi ultimi, poi – con riferimento ai movimenti maggiori, quello leghista e quello grillino – in contemporanea alle decisioni della NATO il dibattito è stato ben preso da altro. Nei leghisti l’attenzione e la preoccupazione è stata tutta sulla temuta conseguenza dell’insuccesso della Lega nella tornata elettorale amministrativa di alcuni Comuni. I risultati potrebbero anticipare la non guida del Segretario della Lega dell’alleanza di centro-destra alle prossime elezioni politiche. Cioè Meloni sostituirebbe Salvini. Nei grillini la preoccupazione al culmine della crisi scissionista ha riguardato se i parlamentari possano essere ricandidati per la terza volta oppure no.

La depressione indotta dal constatare la qualità della politica che sto descrivendo per i due citati movimenti non viene attenuata dall’assenza di discussione da parte degli altri partiti. Quasi tutti sostanzialmente zitti. Il Parlamento sostanzialmente delegante al Governo (leggi al Presidente del Consiglio) le scelte strategiche e militari.

Il secondo profilo che richiede una riflessione è il comportamento di governi e governanti in campo internazionale. Che l’Italia, appartenendo alla NATO, non possa che essere leale all’alleanza è una corretta considerazione. Vale per l’Italia e dovrebbe valere per tutti i paesi membri dell’alleanza, inclusa la Turchia, tanto per indicarne un altro. Stare nella NATO dovrebbe significare anche che nessun Paese dovrebbe auto assegnarsi un ruolo verbale (di norma seguito da atti politici e fatti militari) di accensione dei rapporti critici, inclusa la Gran Bretagna, anche qui tanto per indicarne un altro i cui comportamenti del suo capo di governo sono assimilabili a quelli del capo di una tifoseria. Egli cerca di apparire grintoso sulla guerra in Ucraina dopo che la sua grintosità per la Brexit ebbe successo nelle urne e sta avendo conseguenze indesiderate e indesiderabili per i suoi cittadini.

Mi domando quanto valga ritornare sul trattato dell’ alleanza, dato che di esso non sembra che interessi un gran che. Il trattato – è così scritto – prevede che sia la NATO ad invitare un paese a far parte dell’alleanza militare dopo aver compiuto – è così scritto – un esame se l’ingresso del nuovo paese aumenti o migliori la sicurezza dei paesi già alleati.

Nessun atto pubblico di partito e di movimento abbiamo letto a tal riguardo e nessun atto di governo. La mia opinione è che l’ingresso di Svezia e Finlandia non aumenti la sicurezza dei paesi già membri dell’alleanza. Serve ai due paesi per sentirsi coperti da un’alleanza militare e quindi aumenta solo la loro sicurezza a scapito di una riduzione della sicurezza degli altri. Sono convinto di questo per la considerazione che la Russia vedrà aumentare i confini con i paesi aderenti alla NATO. E’ stato usato a ripetizione il ricordo dell’evento esattamente parallelo del 1962, allorquando l’URSS stava piazzando missili a Cuba e l’occidente ritenne – Stati Uniti per primi – che alla porta di casa non avrebbe tollerato missili avversari.

Poco vale discettare se la Svezia consentirà l’installazione di armi nucleari nel proprio territorio entrando nell’alleanza. E’ l’iniziativa politica e diplomatica che sta dimostrando la propria incapacità che non è incapacità tecnica ma è volontà.

Ho l’impressione, forse ho solo la presunzione di temere (me lo auguro fortemente) che i poteri forti occidentali, quelli che effettivamente comandano, cioè la grossa finanza speculativa e l’industria militare, abbiano una propria visione ed una strategia di espansione e conquista di mercati commerciali e di materie prime strategiche. La conquista può essere fatta anche usando strumenti potenzialmente espansivi – anche se nati per non essere preposti a tale uso – e la NATO può essere uno di questi.

Metto da parte la mia presunzione di timore – che, tuttavia, ha precedenti ben noti; si ricordi la teoria e la conseguente azione militare statunitense dell’esportazione della democrazia in vari paesi asiatici e il suo immancabile costoso insuccesso – per soffermarmi su una possibilità pacifica che avrei visto molto utilmente ripresa e rilanciata. Non è facile parlare di ripresa di possibilità pacifica mentre siamo nel pieno di una guerra scatenata dal paese che dovrebbe essere interlocutore per trasformare la possibilità pacifica in accordo di distensione e sicurezza.

Se non dimentichiamo la storia ci rendiamo conto che però tutto è possibile. Cosa dice la storia? Dice che l‘URSS fu una coprotagonista dell’avvio delle operazioni belliche che causarono la seconda guerra mondiale. L’URSS nel 1939 sapeva, come tutti, che la Polonia aveva un patto di difesa militare con Francia e Gran Bretagna. Lo sapeva e, però, concordò il 23 agosto 1939 con il dittatore tedesco Adolf Hitler, con un accordo ufficiale in parte pubblico e in parte segreto, di aggredire la Polonia e spartirsene i territori con la Germania. L’1 settembre 1939 partì l’attacco tedesco e Francia e Gran Bretagna, rispettando il loro patto, dichiararono guerra alla Germania. Il 17 dello stesso mese partì l’attacco sovietico alla Polonia. In base all’accordo l’URSS fornì petrolio e grano alla Germania in guerra fino al giorno dell’attacco tedesco all’URSS il 22 giugno 1941.

Il ruolo dell’URSS non le impedì di diventare alleata degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e vincere la seconda guerra mondiale benché le persone sovietiche protagoniste fossero le stesse, cioè Iosef Stalin, Vjaceslav Molotov e tutto il gruppo dirigente dell’URSS. Ricordo questo particolare per far notare che la personalizzazione dei fatti politici e militari non corrisponde allo svolgimento – nella storia, e non solo in quella della seconda guerra mondiale – dei rapporti politici tra persone di schieramenti opposti. Che questo sia gradevole lo nego, non mi piace, ma sto raccontando quel che è stato, non quel che piace.

D’altra parte quel che ho ricordato non fu il solo caso nel secolo scorso. Proprio no. Ne indico un altro di quelli di portata non secondaria ricordando l’accordo del Camp David del settembre 1978. Lì, sotto la saggia regia del Presidente statunitense Jimmy Carter si incontrarono, si pacificarono e strinsero un patto e le rispettive mani i due nemici Anwar El Sadat, Presidente egiziano, e Menahem Begin, Primo Ministro israeliano. Da allora Egitto e Israele hanno cessato ogni attività bellica.

In questo senso sono fuori dei trascorsi storici le dichiarazioni che riguardano le persone sia se fatte dal Ministro degli esteri russo Lavrov, sia se fatte dall’ingenuità infantile (parlando politicamente) del Ministro degli Esteri italiano Di Maio; ma anche se fatte dal Presidente statunitense Biden, di cui – dicono le indiscrezioni giornalistiche – gli assistenti alla comunicazione della Casa Bianca si sforzano di dare significati corretti e interpretati che, anziché, chiarire e smentire, confermano non una non conoscenza della storia da parte del Presidente ma – e questo è più grave – un suo obiettivo sin dai tempi nei quali era soltanto Senatore di portare la Russia a condizioni di subordinazione politica e militare. Ho visto la registrazione filmata delle sue dichiarazioni esplicative di quando era senatore.

Il quadro complessivo non è confortante. L’aggressione russa all’Ucraina non è l’unico problema sul campo. Ce ne sono molti. C’è la tendenza russa a ricostituire l’impero zarista e poi comunista. Si prenda atto che i filmati apparsi fan vedere bandiere dell’URSS comunista al vento nel Donbass laddove i militari ucraini sono stati cacciati e quelle non sono le bandiere della Repubblica federativa russa. C’è la tendenza di ambienti statunitensi nella direzione della linea di Biden e, analogamente, di Johnson in Gran Bretgna. C’è un segretario generale della NATO che parla troppo e esprime troppi giudizi che competono ai governi che ad essa aderiscono. C’è Charles Michel, il Presidente del Consiglio europeo che – senza averne mandato – parla di “vittoria” dell’Ucraina sulla Russia, dando spazio ad una comunicazione nella quale identifico questi aspetti: responsabilità della Russia per l’aggressione, necessità di difesa dell’Ucraina, sconfitta della Russia grazie alla solidarietà di armi date all’Ucraina.

Io confermo e cambio così la comunicazione: responsabilità della Russia per l’aggressione, certamente; necessità di difesa dell’Ucraina, certamente; attivazione di contatti e proposte per ripetere l’esperienza del 1975. Di questa devo dire qualcosa per spiegarmi.

Forse i più giovani non possono rendersene conto, ma negli anni del dopo seconda guerra mondiale la tensione internazionale e la minaccia bellica erano quotidianamente presenti e pericolosamente incombenti. Nel 1975 fu, tuttavia, fatto un passo notevole per raffreddare la situazione. Ci fu una preparata conferenza a Helsinki che ad agosto 1975 sancì l’accordo di 35 Stati per la firma di una dichiarazione sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa. Nel 1975 firmarono gli accordi, tra gli altri Paesi, l’Unione Sovietica (e non c’era ancora Gorbaciov), gli Stati Uniti (ne era Presidente un repubblicano, Gerald Ford).

Detti accordi riconoscevano le frontiere esistenti fra gli stati europei, compresa quella che divideva la Germania in due entità politiche distinte e sovrane, quella della Repubblica federale di Bonn e quella della Repubblica democratica, di Pankow, comunista. C’era l’impegno al riconoscimento dei diritti umani, impegno normalmente dichiarato da tutti e poi declinato secondo le volontà nazionali, talora per noi inconcepibili. Dopo 20 anni da quegli accordi nacque l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), alle quale aderiscono 57 Paesi ed ha operato per la pace, la comprensione, il mantenimento della pace in zone calde, il dialogo politico.

Quindi non si tratta, a mio parere, che di riprendere un cammino che metta a frutto l’esperienza dell’ OSCE, così duramente violentata dall’aggressione russa all’Ucraina. Suggerisco un percorso impervio, per strateghi pazienti, per elaboratori di quadri complessivi di equilibrio che garantiscano la sicurezza e la sicurezza è un termine non a beneficio unilaterale se si vuole che sia frutto di accordi internazionali, ma deve riguardare tutti i partecipanti e un metodo coerente per mantenerla.

Purtroppo la Russia è venuta meno. Avrebbe avuto, la Russia, elementi di pressione formidabili per indurre gli occidentali e con essi l’Ucraina a discutere di suoi interessi e sue richieste. Gas, petrolio, terre rare, grano, non erano armi scariche. La Russia ha preferito la forza, l’invasione, il tentativo di sostituire con un Quisling qualunque il legittimo Presidente ucraino. I più giovani vadano a leggere chi fu Quisling. L’operazione non è riuscita e la vendetta sta nella distruzione per la distruzione.

Tutto ciò non può far rispondere come dichiara Charles Michel, analogamente ad un innominabile italiano, <vinceremo>.

L’OSCE la consideriamo defunta? Lo sforzo di 35 e l’adesione di 57 Paesi sono trascurati dalla comunicazione politica e anche giornalistica, poco critica e troppo compiacente, ma una minima concezione di politica estera non può buttare alle ortiche un bagaglio pacifico di esperienza internazionale per assumere linguaggio e atteggiamenti solo in divisa militare.

Ora mi domando, l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO come si collega ad un disegno di recupero delle possibilità di dialogo, sicuramente faticosi, al momento difficilissimi, di cui l’Europa ha bisogno?

Mi riconosco pienamente nella dichiarazione dell’Assemblea nazionale di Socialismo XXI che ho riportato all’inizio. Non sono utili dichiarazioni in libertà, ma – come dice uno scherzoso detto popolare – occorre accertarsi, prima di parlare, che la lingua sia connessa al cervello.