di Pasquale Calandra – Coordinatore Socialismo XXI Sicilia |
Prima ancora di fare delle considerazioni sulla politica economica dei Socialisti in Europa, da attivista socialista e da sindacalista da oltre 40 anni della UIL, devo fare una premessa -che serve a chiarire molte cose di quelle che vorrò scrivere, parliamo di socialisti in Europa, non di quello che genericamente viene chiamato «Il Socialismo», o politica economica socialista-, perché è opportuno fare una doverosa precisazione, che apparentemente può apparire prodotto da un illuminato Professore, che non sono.
Perché il Socialismo e l’aggettivo Socialista accostato alla politica economica, vengono utilizzati, anche per fare riferimento alla politica economica dei paesi ex comunisti o comunisti?
Del comunismo, che si realizza in Unione Sovietica, e che in seguito si è sparso anche in altri paesi, e che ha caratterizzato l’intera storia del secolo XX, si chiamava socialismo, altresì chiamato comunismo, idea non solo diversa, ma, storicamente, politicamente e culturalmente, di un vero e proprio antagonismo, che prese le mosse tra quelle che sarebbero stati socialisti e socialdemocratici, già nel secolo XIX dopo Karl Marx e dopo Friedrich Engels ai tempi delle culture e dei partiti che presero su di se il carico dei ceti più deboli della fine dell’800. Portiamoci per un momento alla realtà dell’800, quando sta nascendo la società cosiddetta industriale, quando accade quel fenomeno che è di autentica trasformazione della vita delle nostre società, che affida alle macchine la produzione di beni. Una delle conseguenze di questo grande cambiamento è, che formandosi le grandi fabbriche, migliaia e magliaie di persone, trovarono lavoro, con ciò si ha una notevole trasmigrazione dalle botteghe e dalle campagne nelle fabbriche, e, nasce più tardi quella che ci abitueremo a definire la «La Classe Operaia», prima largamente maschile e poi anche femminile, qual è il punto, il sistema nuovo della società industriale, sposta completamente il soddisfacimento dei bisogni, sposta l’assetto dei diritti reciproci tra gli esseri umani, crea rischi, che prima non c’erano, crea condizioni di lavoro che non c’erano mai stati in passato in fabbrica, quando la fabbrica iniziò ad esistere.
Non c’è un contratto collettivo, che parli di diritti di chi lavora, per quanto ore lavora, parli di ferie, di cosa succede in caso di infortunio, non c’è assolutamente nulla di tutto questo e allora il lavoratore e le lavoratrici in fabbrica, sono persone esposte ad una realtà completamente nuova e sprovviste di diritti dei quali si possono avvalere. Nel frattempo, anche le persone che vivono nelle campagne, o che avevano prima le botteghe artigiane, perdono progressivamente di condizioni positive, si forma un variegato insieme di esseri umani, che potremmo definire, come si usavano definire allora «Gli Esclusi», c’era una società che mutava, e che dimenticava le persone che venivano sfruttate, o abbandonate alla loro povertà.
Ecco allora la presenza di Movimenti Sindacali e politici, che si venivano formando, per affermare le ragioni degli «Esclusi» e qui che arriva Karl Marx il quale prospetta la società industriale come una fase nuova della storia, al termine della quale, la nuova classe degli sfruttati gli «Operai», diventerà la classe dominante, che creerà un nuovo sistema. In questa fase nasce il Movimento Anarchico, il nome di Michail Bakunin, dovrebbe dire qualcosa a tutti noi, che eccita la ribellione soprattutto di chi vive nelle campagne, in nome di una vita dignitosa, è qui che nasce un Movimento Socialista, che, inizialmente prende nel suo insieme, le mosse da Marx, ma che poi pian piano, si distingue tra coloro i quali pensano che il loro compito principale e non esclusivo, sia quello di migliorare le condizioni di vita e coloro che escludendo i diritti pensano che la finalità debba essere soltanto quella di fare arrivare la società industriale al suo culmine.
Un Movimento che nasce unito sul cambiamento della società industriale, e che si divide fondamentalmente in questi filoni. Dopo questa premessa, vorrei partire dal lavoro; il quale credo, mai come adesso sia una parola «centrale» da cui ripartire.
Se capita di incontrare una persona, dopo avergli chiesto come si chiama, la prima domanda spontanea è «che lavoro fai?»
Questo significa che il lavoro è un elemento importante, un fatto di identità, questo vuol dire, che sapere cos’è il lavoro oggi, come vivono le persone oggi che hanno bisogno di lavorare per vivere e soprattutto qual’è il contributo che si può dare per una rappresentanza del lavoro, che credo oggi, non esiste, lo dico facendo politica un veloce paragone.
Noi oggi siamo negli anni ’20 del XXI secolo. Anche gli anni ’20 del secolo scorso è stato un periodo molto importante se lo guardiamo dal punto di vista sindacale ed anche storico-politico. Il il biennio 1919-1920 fu chiamato il «biennio rosso», una fase molto efficace, per ciò che accadeva. Ci furono esperienze anche di autogestione nel mondo del lavoro, tant’è i lavoratori pensarono che non ci fosse bisogno di qualcuno che per farli lavorare doveva essere il proprietario, ma credevano, che attraverso il loro lavoro e mediante un’autoorganizzazione, si poteva essere libere come persone, al punto di potere affermare anche un cambiamento di carattere sociale nel mondo.
In realtà dovremo fare un bilancio. Sono trascorsi più di 100 anni, Socialismo più Fordismo ha prodotto solo il Fordismo, non certo il Socialismo che intendiamo noi, lo dico in maniera decisa come ragionamento, perché, secondo me, c’è un punto fondamentale. Il lavoro non è semplicemente un’attività che ti permette di vivere; il punto fondamentale è che il lavoro è un diritto di «Libertà delle persone» perché se una persona non è libera nel lavoro, non è in grado di potersi realizzare, non è in grado di poter realizzare il proprio progetto di vita. Non è neanche in grado di riconoscere se stesso e quella che è la sua dimensione di vita nel contesto sociale non a caso la nostra Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro.
Per dare l’idea, il lavoro e il suo valore, sono un elemento, che può andare oltre la singola appartenenza politica, anzi, nei momenti più alti di crescita e di conquiste, nella lotta per l’emancipazione delle persone, attraverso la libertà nel lavoro, si sono determinate anche le conquiste più avanzate nel modello sociale, quindi, oggi è l’elemento che noi abbiamo il dovere di valutare; dobbiamo migliorare il metodo di rappresentare, o almeno provarci, perché se noi andiamo a vedere cos’è oggi il lavoro, come vivono oggi i lavoratori, anche negli elementi, che possono essere considerati di evoluzione, io credo che ciò che sta avvenendo è un peggioramento delle condizioni di lavoro e soprattutto delle libertà delle persone nel lavoro.
Quando si ragiona sull’algoritmo non si valuta che questo sta determinando, in molti casi, un aumento dello sfruttamento nel mondo del lavoro e sta allargando la forbice tra quei pochi, che stanno migliorando le loro condizioni nel lavoro e della qualità del loro lavoro. Una stragrande maggioranza di lavoratori, che ha ancora più vincoli di prima rispetto agli spazi di possibile democrazia e di libertà nel lavoro, che sostanzialmente può avere e molto spesso quello che sta prevalendo è una logica autoritaria, insomma, un nuovo controllo controllo sulle persone e non è un caso, considerare ciò che succede in Amazon o con i Reader.
Provate ad andare in qualche posto di lavoro, andate in un ospedale, andate in una azienda, in un centro commerciale, in un Ente Pubblico, andate dove volete e vi accorgerete, che le persone, pur lavorando e facendo lo stesso lavoro, non hanno più gli stessi diritti e le stesse tutele e tu sei di fronte al fatto, che questo determina, una competizione tra le persone, quindi, non un elemento di solidarietà e dall’altra parte se la consideriamo meglio, questo è avvenuto perché in questi anni si è favorito un processo, anche sotto il profilo legislativo, un processo di riorganizzazione delle imprese fondato sulla logica dell’appalto, del sub-appalto e delle finte cooperative, che tutto messo insieme, sono oggi un elemento diffuso, trasversale e se vogliamo andare fino in fondo, questo elemento ha determinato, non solo un abbassamento dei diritti delle persone, e nel meridione, in particolare, si tocca con mano, perché se la criminalità organizzata la fa da padrone sugli appalti, e attraverso quel sistema, pezzi interi dell’economia sono in mano alla malavita organizzata, con il conseguente peggioramento e ricatto del lavoro e del suo valore che questo ha determinato.
Questa logica ha prodotto un notevole peggioramento della condizione sociale del Paese e la legislazione del lavoro che è stata fatta negli ultimi 25 anni, non solo in Italia, ma anche in altri paesi europei. E’ messa in discussione il diritto al lavoro, che era costruito e conquistato con lotte, senza precedenti, una logiga indotta dal sistema finanz-capitalistico, il quale si è trasformato in soggetto che governa anche la politica.
Con globalizzazione, la “caduta del Muro”, si è pensato che si sarebbe estesa la democrazia, quello che in realtà si è determinato in concreto, è che l’unica cosa che liberamente può circolare nel mondo senza vincoli e il denaro. Parto dal presupposto che le persone per vivere hanno bisogno di lavorare, e noto quando discuti con i lavoratori, che la paura, l’insicurezza, persino la rabbia è determinata da questi processi. Nei luoghi di lavoro, quando si discute tra i lavoratori, anziché lottare contro chi li sfrutta, si ha paura del collega, come se fosse un potenziale nemico che possa sottrarre lavoro. Invece, è uno dei tanti sfruttati quanto quanto siano gli altri lavoratori.
Penso che la sinistra nelle varie forme con cui si è espressa in questi anni in Italia e in Europa, e mi riferisco alle politiche espresse dai socialisti, dai socialdemocratici ed anche da coloro che esprimono cultura cristiano sociale, doveva essere di sinistra, inteso come un rifiuto all’appiattirsi al concetto di politiche neoliberiste.
Abbiamo capito con notevole ritardo, in special modo quando c’è stata l’opposizione di UIL e CGIL per il Jobs Act. Non c’era nulla che potesse essere riconducibile alle poltiche del lavoro di matrice socialiste o di “sinistra” che dir si voglia. Sono 53 anni dalla legge 300/1970 lo Statuto dei Lavoratori. Oggi la questione non è tornare indietro a quello statuto. Se noi vogliamo per davvero affermare i diritti nel lavoro, noi oggi abbiamo bisogno di un nuovo statuto dei diritti, che sancisca, un punto fondamentale e cioè che i diritti, non possono essere legati al tipo di rapporto di lavoro, ma i diritti devono essere legati alla persona a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro. I diritti delle persone vengono prima del rapporto di lavoro, e questo elemento è un cambiamento che secondo me anche il sindacato deve attuare nei contratti di lavoro.
In Italia ci sono i salari più bassi e gli orari più alti di tutta Europa e dei paesi più avanzati, quindi esiste sicuramente una disparità sia di salario, sia di redistribuzione del lavoro e di ragionamento del tempo. Oggi, come dicevo, c’è un punto prioritario, da discutere nel momento in cui si rimette al centro il lavoro, è su cosa si produce, cosa lavori e con quale sostenibilità ambientale lo realizzi. Se considerato dal punto di vista sindacale, questo produce un cambiamento. La proprietà del tempo e della qualità del lavoro, e quindi, la formazione che deve essere permanente, sui contratti noi come sindacato dobbiamo chiedere che nelle 40 ore settimanali che si fanno, devono essere impiegate 3 o 4 ore alla settimana per la formazione. Poichè c’è il salaro perché produco, ma anche perché studio e mi aggiorno per tutto l’arco della vita lavorativa.
Se dopo 100 anni la condizione di lavoro è ancora quella che è, vale a dire il modello organizzativo è ancora Fordista, e che il capitalismo è diventato di natura finanziario, dobbiamo porci la domanda sul come organizziamo il lavoro e se ripartiamo dal lavoro e dalle persone come elemento di ricomposizione di una rappresentanza che sia in grado di affrontare questi temi e questo pone la questione della formazione del sistema delle relazioni sindacali, pone il problema di democrazia e di una legge sulla rappresentanza, che sia in grado di garantire questi diritti fondamentali di partecipazione.
Quindi, ci vorrebbe più dignità e aggiungo, che come deve cambiare il lavoro e la rappresentanza, deve cambiare però la cultura dell’impresa, perché anche questo è il passaggio che abbiamo di fronte. Se sottoscrivi un accordo con i sindacati ed è stato approvato dal 90% dei lavoratori, con voto segreto o palese, in quell’accordo hai assunto degli impegni, se non si rispettano a quel punto siamo alla barbaria.
I ritardi che abbiamo, sono legati ai ritardi di investimenti, di innovazione. Siamo indietro rispetto ad altri Paesi, anche rispetto agli investimenti del comparto auto elettriche. Se continuiamo a produrre auto a benzina e gasolio, questo non è colpa dell’Europa, ma la responsabilità sta nel non investire in nuove teconologie, bensì pensare ai dividendi azichè migliorare le infrastrutture tecnologiche delle imprese proprie.
Abbiamo bisogno di lanciare l’idea dell’Unità Sindacale, seppur opera non semplice. Tuttavia sono fortemente convinto che nel rispetto del pluralismo questa strada vada decisamente percorsa.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.