di Pasquale Calandra – Coordinatore Socialismo XXI Sicilia |
Il susseguirsi di riforme sul sistema delle pensioni in Italia si sono impuntate sulla diffusione della flessibilità per l’accesso alla pensione.
Ultimamente il dato relativo all’età media è cresciuto fino ad arrivare ad anni 64 e mesi 3, in questo calcolo della media è compresa anche la quantità dei lavoratori vi accedono alla pensione con un’età prossima a 67 anni.
Detto ciò, si può pensare che una maggiore flessibilità di accesso alla pensione sarebbe utile, anche, per gestire la fase di ricostruzione produttiva delle imprese, dando modo alle aziende di programmare un turnover generazionale più articolato e tutelando, cosi, i lavoratori più fragili e maggiormente esposti per motivi di salute.
È accertato, il fatto che il dato relativo all’importo medio delle pensioni continua ad essere preoccupante, in particolare quello delle donne, che in larga misura percepiscono assegni con importi inferiori ai 750 €uro mensili.
Sotto il profilo delle tutele, è quindi importante, fare interventi che valorizzino il lavoro di cura e la maternità ai fini previdenziali, cosi da sostenere, le pensioni delle donne. Ed anche rendere strutturale la cosiddetta «opzione donna.»
Per arginare quel fenomeno delle «pensioni povere», si deve obbligatoriamente agire in tempi brevi, infatti, con il «sistema contributivo», è palese il rischio che i giovani con carriere più discontinue, a causa della diffusa precarietà, di questi molti anzi, tanti anni, si trovano a percepire assegni delle pensioni davvero miserevoli.
Per garantire ai giovani pensioni future più consone, al costo della vita, a mio avviso, bisogna introdurre meccanismi che coprano i periodi di inoccupazione e di formazione tra un lavoro e l’altro ai fini contributivi.
Un Ministro del Lavoro seriamente impegnato, dovrebbe essere impegnato a fronteggiare l’emergenza del lavoro, tenendo conto che il Ministero ha una struttura specifica, sui temi previdenziali, che oggi più che mai, sarebbe opportuno rendere attiva, per intraprendere subito un confronto con le Organizzazioni Sindacali.
È inspiegabile, come stucchevolmente, i lavori delle commissioni istituzionali che devono valutare l’usura e la gravosità delle differenti mansioni e separare la spesa assistenziale da quella previdenziale «la vera anomalia e il vero lucchetto della Previdenza Italiana», non siano, fino ad oggi, stati capaci e capire che si annida proprio in queste innovazioni, la vera Riforma del Sistema Previdenziale e Pensionistico.
Per queste ragioni si ritiene, che con urgenza bisogna attivare le nuove le commissioni e riprendere i lavori al più presto, cosi da avere il tempo di elaborare i rapporti utili al lavoro del Governo e del Parlamento sui temi Previdenziali e Pensionistici.
Intanto e in attesa di decisioni strutturali e in prossimità dell’annuale rivalutazione è opportuno fare delle proiezioni, quanto più vicine alla realtà, attraverso alcune simulazioni e prendendo a base i dati forniti dall’Istat, che hanno indicato quali dovrebbero essere, per il 2023, gli aumenti delle pensioni.
Il calcolo dell’Istat, aggiornato a settembre u.s., prevede, a fronte dell’1,7% del 2022, un’aliquota provvisoria del 7%, che, in pratica, conferma, come sempre, quella della Banca Centrale Europea, stimata al 6,8%…
► Questa differenza, pari al 5,1%, comporterebbe, qualora tali previsioni dovessero essere confermate dal prossimo Decreto del Ministero delle Finanze, una rivalutazione tre volte superiore a quella del 2022.
► Che, secondo il Decreto del Governo Draghi, «Aiuti bis», L’Inps, per le pensioni d’importo rivalutato fino a 2.692 euro, avrebbero dovuto anticipare, e non lo hanno fatto, dal 1° ottobre del presente anno.
► Che è opportuno ricordare che, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni, si rammenta, che «l’indice Istat» è applicato in misura decrescente, a seconda della fascia di reddito pensionistico in cui si colloca il pensionato destinatario.
► Che le fasce, dopo le modifiche introdotte dalla legge Fornero e dalle leggi di bilancio 2014 e 2019, con la legge di gennaio n. 160/2019 «legge di bilancio 2020» sono state ridotte, dal 2022, da sette a tre, ripristinando, in pratica, quelle previste dalla legge n. 338/2000.
Pertanto, anche per prossimo anno, l’indice di rivalutazione delle pensioni del 7% sarà applicato nella misura del 100% per quelle inferiori a quattro volte la minima dell’Inps; 90% per quelle comprese tra quattro e cinque volte; 75% per quelle oltre le cinque volte.
In pratica, per ciascuno degli importi mensili di pensione corrisposti nel 2022, l’aumento lordo, dovrebbe essere quello nello schema riportato a parte.
Infine, appare evidente, che tra i temi più caldi e urgenti sui quali dovrà lavorare il Governo Meloni, insistono, senza dubbio, le pensioni.
Secondo le notizie che si ascoltano sui media e sulle indiscrezioni, che trapelano dal Ministero dell’Economia, il Governo dovrebbe lavorare a un nuovo anticipo tra 61 e 63 anni di età e 40— 41 anni di contributi versati «con bonus per chi lavora oltre i 63 anni: la novità.»
Le «ipotesi e gli interrogativi» sono naturalmente tante: per esempio
► Nel 2023 è prevista una «Quota 41» abbinata a un requisito anagrafico?
LE PROPOSTE E LE IPOTESI DEL NUOVO GOVERNO |
► Il nuovo anticipo al vaglio del nuovo Esecutivo riguarda una platea potenziale di 90mila persone e prevede incentivi per chi continuerà a lavorare sotto forma di contributi aggiunti allo stipendio.
► Il piano per le pensioni del Governo Meloni, da allegare alla prossima Legge di Bilancio «da qui dovrebbero passare tutte le misure approvate nella manovra finanziaria», che comprende un meccanismo per incoraggiare la permanenza al lavoro degli over 63, con un sistema di sgravi contributivi a favore del lavoratore, cosi da indurlo ad andare in pensione più tardi.
► Nei fatti, l’Esecutivo, vorrebbe insomma, disinnescare lo «scalone» della Legge Fornero a partire da gennaio, offrendo uno stipendio più alto a chi decide di restare al lavoro.
► Le norme in atto, prefigurano uno scenario negativo, con l’uscita dal lavoro di fatto impossibilitata prima dei 67 anni di età, abbinata a un’anzianità contributiva di 20 anni.
Al contempo si stringe anche su «Quota 41 ordinaria», con pensionamento a 41 e 42 anni e 10 mesi per il 2022 senza il limite d’età. Ma, la vera domanda è: la stessa regola varrà anche per il 2023?
Ciò che sembra certo è che, col 2022 che va esaurendosi, tramonta anche l’era di Quota 100 e 102 e in tanti, perderanno la possibilità di ritirarsi dal lavoro con le attuali misure. Tuttavia spunta la cosiddetta «Quota 103».
Ma sarà così?
NELLA TABELLA LO SCHEMA DEGLI AUMENTI PREVISTI NEL 2023
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