TERZO ARTICOLO SUL SOCIALISMO

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |

Caro Renato, Ti rispondo con piacere al Tuo ultimo commento.

Da sempre la traduzione del pensiero e della ideologia socialista in politica, cioè in atti e scelte concrete che in una società pluralista e democratica sono frutto di mediazioni, hanno visto dialettiche anche aspre e persino contrapposizioni all’interno del socialismo organizzato in partiti e sindacati. Non è un problema e non è il nostro caso perché, alla fine, i motivi di consenso sono superiori ai dissensi. Almeno cosi’ mi sembra.

Una nuove e più “radicale” fase di riformismo socialista è un obiettivo comune ed era implicito anche nel mio commento al Tuo primo articolo, in particolare per quanto riguarda il ruolo dello Stato e delle Istituzioni pubbliche per ridare alla loro funzione il primato del governo della società per una prospettiva di sviluppo e di avanzamento sociale e civile, compromessa da anni da politiche liberiste proprie dello strapotere dei potentati finanziari e permesse, purtroppo, dalla debolezza della politica e delle forze intermedie.

Su ciò non ho visto dissensi , è vero che non avevi parlato come rimedio alla statalizzazione di TUTTE le attività economiche e dei mezzi di produzione, forse l’eccessiva insistenza  data alla  indicazione di una necessità di un ruolo dello Stato  non solo di regolazione ma anche di attore nell’economia ha tratto in inganno il sottoscritto ma anche qualche compagno romano che Ti ha letto in face book. D’altronde anch’io ho parlato di un ritorno alla presenza pubblica in determinati settori non solo con compiti sociali ma anche di interesse strategico-industriale in presenza di una colpevole latitanza dell’impresa privata.

Siamo quindi d’accordo che non pensiamo di modificare il carattere di economia mista propria del nostro sistema economico, sulla base dei principi indicati nella Costituzione.

SULL’ECONOMIA. Mi sembra che concordiamo in larga parte. Non sono certamente le mie riserve sulla trasformazione in azioni del sostegno finanziario alle imprese per i loro interventi progettuali in ricerca ed innovazione tecnologica a negare la mia condivisione alla Tua proposta più generale.

Vorrei spiegarmi meglio rispetto al mio primo commento. Siamo d’accordo che non è certo il metodo Calenda 4.0 “prendi i soldi e scappa” la scelta migliore per marcare il sostegno pubblico per l’incentivazione di questo fattore  fondamentale per lo sviluppo del nostro sistema produttivo.

Lo Stato, deve – a mio pare –  praticare una sua funzione primaria di indicazione e programmazione di linee e di scelte piu’ appropriate per delineare il modello produttivo e le specializzazioni sulle quali vogliamo collocare l’Italia nella divisione internazionale delle produzioni e del lavoro, anche attraverso politiche e pratiche concertative con gli attori sociali. Ciò che avviene in alcune democrazie europee, anche nostre concorrenti sul piano produttivo e come avvenuto anche da noi, in brevi ma fruttuosi fasi della vita nazionale.

La ricerca e l’innovazione tecnologica sono fondamentali per la competitività del nostro sistema e richiede una programmazione sistematica continua di idee, di obiettivi, di progetti e di risorse frutto di uno sforzo corale pubblico e privato. Ciò anche per determinare un modello di consumi che non puo’ essere lasciato alla discrezione del libero mercato.

Le iniziative del capitale privato (che vanno stimolate anche nell’interesse delle stesse imprese) se rientrano in questo “schema programmatorio” vanno sostenute (come avevo già indicato) con facilitazioni creditizie ed una fiscalità di vantaggio, così come deduzioni e detrazioni fiscali  sono previste per altre finalizzazioni non più importanti di questa per il sistema-Paese.

Se sono al di fuori di questo schema programmatorio si pagano i loro programmi in materia. Perché lo Stato dovrebbe intervenire se non ha condiviso la bontà di detti programmi o di finanziarli in cambio di azioni, diventando socio di minoranza di una impresa e quindi corresponsabile di un programma dai dubbi risultati sul quale non ha potuto sviluppare la sua influenza o indirizzo ??

SULLO SFRUTTAMENTO. Mi sembra di aver capito che il Tuo utilizzo di questo termine negativo, fino a parlare di “neo-schiavismo”,  viene praticato non per valutare la gravosità e la pesante condizione di lavoro della generalità delle prestazioni umane (in particolare degli operai) imposta da un capitalismo votato al massimo profitto quanto per definire l’appropriazione incontrollata ed a volte gravida di conseguenze da parte del capitale del lavoro intellettuale destinato a sostituire progressivamente il lavoro materiale o fisico causa la robotizzazione  o l’automazione spinta.

Sul discorso della disoccupazione derivante da questi processi, a cominciare dall’introduzione delle Nuove Tecnologie informatiche, ho già chiarito nel mio precedente commento i vari problemi derivanti da affrontare non in termini luddisti ma attraverso  diritti e poteri sindacali in mano ai lavoratori che vanno gestiti ed ampliati, attraverso i confronti previsti dai CCNL e  gli  organismi all’uopo eletti, con capacità di proposte anche alternative a quelle padronali. Insomma con pratiche di co-determinazione (come le chiamano i compagni svedesi) a livello aziendale e di concertazione a livello generale, quest’ultima che il governo D’Alema voleva istituzionalizzare e fu respinta (non so perché, allora ero già al CNEL) dalle OO.SS. e da Confindustria.

Rifiutare su questa materia una  legislazione di sostegno a relazioni industriali avanzate, che è una peculiarità del socialismo riformista, è stata per me una occasione sprecata, tanto piu’ in una fase di regresso economico che indeboli’ il potere sindacale dei lavoratori.

Sul fatto che il lavoro umano è destinato a scomparire, non essendo un “futurologo” né un filosofo capaci di esercitarsi su una lontanissima prospettiva, guardando ai problemi dell’oggi e del loro perseguimento in negativo se non affrontati radicalmente, non mi sento di seguire questa “profezia” confortato da una recente intervista di un mio illustre concittadino, il Prof. Faggin inventore del microprocessore che ha dato il via alla informatizzazione, il quale ha detto che nessun robot (anche il piu’ sofisticato) non potrà mai sostituire l’uomo perché non ha in sé né produce senzazioni, emozioni, creatività.

Ma poi, per restare alla complessa concreta situazione dell’esistente pur in continua evoluzione, ritorno a ribadire che un conto è parlare di grande impresa industriale o finanziaria nelle quali la robotica, le NTI, l’automazione delle varie attività sono diffuse, altro conto sono le migliaia e migliaia di piccole aziende industriali, artigiane, del commercio e dei servizi alla persona, alle famiglie e alle imprese con milioni di lavoratori che prestano la loro attività prevalentemente fisica e tradizionale perché per dette attività ci sarà sempre bisogni di operatori con variegate  funzioni alcune anche autogestite nelle forme e negli orari. Condizioni di lavoro che hanno certamente le loro problematiche non solo economiche e che devono trovare soluzioni. Sono però attività in aumento, altro che sparizione del lavoro,  specie nei servizi innovativi e che richiedono semmai  specializzazioni attraverso programmi formativi specifici che la scuola non produce.

Vi è poi una crescita del lavoro intellettuale legato proprio a  quelle situazioni produttive oggetto di continua evoluzione e modifica del prodotto e dei processi produttivi/lavorativi per raggiungere risultati continui di competitività nelle quali competenza, cultura e creatività la fanno da padrone nel rapporto con l’impresa. Tant’è che le professionalità di eccellenza sono oggetto di attività concorrenziale fra le imprese per l’acquisizione di dette prestazioni.