PEGGIO DI COSI’ SAREBBE STATO DIFFICILE

Convegno sull’Autononomia Regionale Differenziata, Umbertide (PG) 11 febbraio 2023 |

Noi siamo contro lo sgretolamento dell’unità nazionale.

L’articolo 5 della Costituzione dice che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”  Leggiamo le parole “decentramento amministrativo”, non leggiamo “decentramento per realizzare uno Stato quasi federale”.

Non vado oltre sugli aspetti costituzionali perché lo faranno molto bene fra poco i miei Colleghi relatori subito dopo di me. Io vi trasferisco una ricostruzione storica,  osservazioni e considerazioni e non farò sconti ad alcuno.

I Presidenti delle Giunte regionali dell’Umbria e delle Marche, Catiuscia Marini e Luca Ceriscioli il 12 luglio 2018 scrissero insieme una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte iniziando il percorso istituzionale per una maggiore autonomia dal Governo centrale e dal Parlamento, seguendo l’articolo 116 della Costituzione, come modificato nel 2001 all’interno del Titolo V della stessa.

I due Presidenti si adagiarono su una possibilità astratta di sviluppo autonomo dovuto a nuove autonomie conseguibili.

Un po’ di storia occorre. La modifica del Titolo V della Costituzione fu votata da una maggioranza parlamentare nel 2001 composta da una coalizione di Ulivo, di Comunisti italiani, di Udeur. I partiti di centro-destra votarono contro perché erano all’opposizione ma, in effetti, vedevano legiferare un complesso di loro obiettivi che ora intendono realizzare avendo la maggioranza parlamentare.

Il Governo in carica era guidato da Giuliano Amato, allora indipendente scelto dai DS. Quella maggioranza parlamentare modificò la Legge Costituzionale n. 3/2001 [riforma Titolo V della Costituzione (artt. 114–132 Cost.)] perché voleva seguire e inseguire la Lega Nord sul federalismo e sull’autonomia, sperando in un recupero elettorale a danno della Lega. Le materie erano quelle che allora la Lega sosteneva invocando anche e soprattutto la secessione dall’Italia.

Insomma la Costituzione usata non affermare principi e valori ma per conquistare subito voti.

Era il periodo anche di spinte di poteri forti che sostenevano che in Europa gli Stati erano superati come dimensione adatta allo sviluppo e occorreva passare alle economie regionali sviluppate, quindi la Catalogna fuori dalla Spagna, la Lombardia fuori dall’Italia e così proseguendo, che sarebbero state felici isole di sviluppo integrate tra loro.

La maggioranza di allora fu rapita da questo contesto : inseguimento della Lega Nord e nuovo sviluppo neoliberista per aree e non per Stati.

L’aver fatto quelle modifiche con la maggiore autonomia possibile ad alcune Regioni a statuto ordinario può influenzare e modificare tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il godimento di alcuni fondamentali servizi pubblici nazionali, come, ad esempio, la scuola pubblica e la sanità in modo più evidente e grave.

Ci sono utilità e disutilità nel maggiore decentramento di funzioni verso le Regioni. Il decentramento può avvicinare il governo locale ai cittadini, favorendo il controllo della spesa da parte dei cittadini stessi, per cui gli amministratori eletti si dovrebbero sentire più attenti e responsabili nelle scelte e nelle decisioni; questo in teoria. Al contrario la distribuzione di competenze può creare diseconomie di scala; può determinare forme di iniquità fra cittadini nel godimento di servizi sociali essenziali e incentivare un fenomeno conosciutissimo, quello della mobilità dei cittadini per ricevere le prestazioni sanitarie. Conosciamo bene il fenomeno dei pazienti che da determinate Regioni vanno a farsi curare in altre.

Le Province di Bolzano e Trento e le Regioni Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia hanno una media dei livelli pro-capite di spesa pubblica corrente ed in conto capitale che sono nettamente superiori alla media nazionale per il finanziamento di favore che hanno queste Regioni. E’ ciò ha fatto nascere un altro fenomeno poco conosciuto, la richiesta di trasferimento di Comuni da una Regione ad un’altra.

Il Comune di Sappada ha ottenuto di passare dal Veneto al Friuli Venezia Giulia nel 2017 per star meglio, proprio perché quest’ultima Regione è a statuto speciale e gode di trattamenti che non ha la confinante Regione Veneto a statuto ordinario ed è rimasto anche nella Comunità montana precedente, quella del Cadore. I Comuni di Cortina d’Ampezzo, di Livinallongo del Col di Lana e di Colle Santa Lucia – tutti in provincia di Belluno –  iniziarono a chiedere di passare dal Veneto alla Provincia autonoma di Bolzano nel 2007 e nel settembre scorso – visti i sondaggi elettorali nazionali che preannunciavano la vittoria della coalizione nazionale di destra – hanno rilanciato la richiesta sostenuta peraltro da un referendum consultivo locale, ovviamente favorevole, fatto nel 2007. Quei Comuni hanno già nominato i loro rappresentanti nel comitato referendario che sostiene il passaggio alla Provincia autonoma di Bolzano. Non vogliono perder tempo. Questi fatti avvengono se c’è differenziazione regionale ed è la prova che non volere la differenziazione è un atto di responsabilità.

La riforma costituzionale del 2001 ha ridotto la differenza fra le competenze delle Regioni a statuto speciale e ordinario; le disparità nelle modalità di finanziamento di queste Regioni permangono. La riforma del 2001 prevede che possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario ulteriori competenze in 23 materie elencate all’articolo 117 della Costituzione; alcune sono perfino fra quelle di esclusiva potestà statale. Sulle 23 materie – cosiddette della potestà legislativa concorrente – vi riferisco, per ragioni di tempo, solo tre voci per esemplificare l’incongruenza di quel che hanno fatto con quell’elenco. Tutela e sicurezza del lavoro : si potranno raggiungere condizioni di tutela e di prevenzione da malattie professionali e da infortuni diverse da Regione a Regione. Non so cosa accadrebbe al cittadino se cambiasse residenza regionale. Istruzione : non so immaginare cosa potrà generare il pluralismo educativo regionale; ci torno fra poco e meglio di me ne parlerà la professoressa Lucia Marinelli.

Previdenza complementare e integrativa : sono tipici strumenti dello stato sociale di una comunità nazionale che diventerebbero strumenti di differenziazione, di vantaggio o svantaggio, di disuguaglianza sociale ed economica solo in base alla residenza dei cittadini senza, peraltro, la garanzia di possedere i requisiti demografico-attuariali tecnicamente indispensabili per l’equilibrio di lungo periodo dei fondi pensione relativi. La Regione Umbria, nella sua risoluzione del 19 giugno 2018 del Consiglio regionale, unanime, specifica : “si richiede di garantire alla Regione la facoltà di promuovere e finanziare nel proprio territorio forme di previdenza complementare e integrativa.“ Cioè ha chiesto di pagare i contributi per le pensioni integrative e complementari. Un richiesta espressa in questo modo conferma che si è deliberato senza la conoscenza tecnico-scientifica delle condizioni demografico-attuariali che reggono la sostenibilità di un fondo pensione nel lungo periodo.

Bastano questi tre esempi per riclassificare i cittadini italiani secondo la loro residenza. E non ho portato l’esempio della sanità.

Il 28.2.2018, pochi giorni prima delle elezioni generali del 4 marzo, il Governo Gentiloni, per tramite del Sottosegretario di Stato Gianclaudio Bressa (di Belluno; appartenente al gruppo parlamentare del PD) concluse la stesura con ciascuna delle tre Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, di una Pre-Intesa. Si ripeté l’insipienza del 2001 a pochi giorni prima delle elezioni, come allora, per seguire e inseguire la Lega Nord sul suo terreno. Le tre Pre-intese sono di struttura simile. Prevedono il trasferimento di competenze, una durata decennale e la modificabilità solo di comune accordo tra Governo nazionale e singola Regione. Per quanto attiene alle risorse stabiliscono che esse andranno determinate da un’apposita Commissione paritetica Stato-Regione, sulla base “di fabbisogni standard, che dovranno essere determinati entro un anno dall’approvazione dell’Intesa e che progressivamente, entro cinque anni, dovranno diventare, in un’ottica di superamento della spesa storica, il termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturato nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi”. Stabiliscono anche, senza meglio specificare, che “Stato e Regione, al fine di consentire una programmazione certa dello sviluppo degli investimenti, potranno determinare congiuntamente modalità per assegnare, anche mediante forme di crediti d’imposta, risorse da attingersi da fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese”.

Su questi fondi assegnabili fate attenzione al verbo assegnare. La Costituzione della nostra Repubblica, in vigore dall’1.1.1948, all’art. 119 stabiliva: <<Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali>>. Questa norma fu abolita nel 2001 quando furono introdotti il federalismo e l’autonomia differenziata per le Regioni. Il Mezzogiorno non c’è più nella Costituzione e c’è la nuova possibilità di assegnare fondi attinti da quelli nazionali ma alle Regioni firmatarie dell’autonomia differenziata e non più al Mezzogiorno. Il verbo assegnare è rimasto; sono cambiati i beneficiari perché nel 2001 si abbandonò l’impostazione dell’aiuto alla crescita alle aree sottosviluppate per potenziare le aree già più sviluppate secondo la nuova visione di separazione che ho già riferito.

E’ chiaro chi ci guadagna e chi ci perde ?

Alla fine del 2018 – durante il primo governo Conte – il processo di richiesta di ulteriori competenze ha visto un attivismo emulatorio dei Presidenti delle Regioni e il Presidente della Conferenza Stato-Regioni, il Presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini, non ha tentato alcuna iniziativa di ripensamento ma ha sposato pienamente l’impostazione che sto criticando.

Nell’accordo preliminare da lui firmato quale Presidente della Regione Emilia Romagna il 28 febbraio 2018 col Governo Gentiloni è scritto, tra l’altro, all’art. 4, che le modalità di attribuzione di risorse finanziarie alla Regione Emilia Romagna saranno determinate “in termini : a) di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale … … “ e per la sanità ha concordato : “Art. 3. … … 2. La Regione assicura che il sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione si applichi solo agli assistiti residenti nella Regione.”

Se un umbro avesse bisogno di una prestazione sanitaria improvvisa o non improvvisa in Emilia Romagna quale tariffa gli vedrebbe applicata non essendo residente ? Come ha interpretato nel 2018 i livelli essenziali di prestazioni il Presidente Bonaccini ? Mi pare con lettura regionale. E’ scritto.

Richieste e proposte sono state presentate nel tempo oltre che da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna anche da Piemonte, Liguria, Toscana, Marche e Umbria; mozioni e ordini del giorno sono stati assunti dai Presidenti di Lazio, Campania, Basilicata e Puglia.

Nella legislatura 2018-2022, la delega governativa su questa materia del Presidente Consiglio Giuseppe Conte fu attribuita alla Ministra Erika Stefani (vicentina, della Lega Nord). Nell’attuale Governo è attribuita a Roberto Calderoli, senatore bergamasco della Lega Nord, estensore della legge elettorale che lui definì “porcellum”, bocciata poi dalla Corte Costituzionale. La Ministra Stefani preparò le bozze. Il Consiglio dei Ministri del 21.12.2018 – bicolore Movimento 5 stelle e Lega Nord – presieduto dall’Avvocato Giuseppe Conte, annunciò la firma delle Intese da sottoporre successivamente al voto parlamentare. L’iter non si concluse e poi intervenne la crisi di Governo in agosto.

Nel Governo del 2001 oltre il Presidente Giuliano Amato erano Sergio Mattarella, Enrico Letta e Dario Franceschini per la Margherita, Piero Fassino, Pier Luigi Bersani, Domenico Minniti e Franco Bassanini per i DS, Ottaviano Del Turco e Gianfranco Schietroma per lo SDI, Alfonso Pecoraro Scanio e Carla Rocchi per i Verdi.  Tutti allineati. Possiamo restare abbastanza preoccupati.

Al tempo del Governo Gentiloni, firmatario degli accordi con tre Regioni, il Coordinatore del 5 stelle era Di Maio, Grillo era l’eccelso e Segretario del PD era Matteo Renzi.

Ho esaminato i programmi elettorali presentati per le elezioni politiche di settembre scorso dai partiti dell’attuale opposizione e su questo punto si nota la non consapevolezza delle conseguenze possibili. Ripetono tutti la stessa frase presa da una legge del 2017, senza riflessioni conseguenti né analisi critiche, cioè che è necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni.

Riferendosi alla modifica costituzionale del 2001 Giuliano Amato si giustificò puerilmente così nel 2014 : «Quando questo accadde, il centrosinistra si era dotato di un leader, candidandolo come candidato alle successive elezioni, e questo leader non era il presidente del Consiglio in carica». Non era lui, Amato, ma era Francesco Rutelli il leader designato. Aggiungo : Rutelli, colui che in precedenti elezioni comunali di Roma aveva promosso una lista che la stampa romana definì lista “beatiful”.

Ancora Amato :«il nuovo leader della coalizione ritenne che per galvanizzare la maggioranza in vista delle elezioni fosse necessario portarla ad un successo parlamentare contro l’opposizione, e così spinse perché il titolo V venisse approvato, e venisse approvato dalla maggioranza contro l’opposizione. La nostra opinione di governo non era favorevole a questo». La maggioranza modificò la Costituzione con due voti di scarto al Senato; ricordo bene quella fase politica e non ci fu alcuna galvanizzazione popolare; Rutelli non vinse le elezioni; non è una giustificazione accettabile quella che la tattica politica di un candidato surroghi le responsabilità istituzionali e politiche del Governo in carica e il Governo non faccia il Governo.  

Approfondiamo un punto veramente critico. Cosa vuol dire che per il “superamento della spesa storica” i termini di riferimento sono la “popolazione residente e il gettito dei tributi maturato nel territorio regionale” ? Vuol dire che il Veneto, per fare un solo esempio, come da sua delibera preparatoria del novembre 2017, si terrebbe il 90 % delle risorse fiscali riscosse. Ciò ridurrebbe inevitabilmente, matematicamente, le risorse gestite dallo Stato e dalle altre Regioni e chiedetevi lo Stato nazionale chi lo regge, perché si riduce il contributo fiscale dei contribuenti delle Regioni più autonome al bilancio dello Stato. Lo Stato ridurrà tutte le spese comprimibili e cioè la spesa sanitaria, la spesa per l’istruzione, la spesa per i trasporti pubblici, la spesa per l’assistenza e via di seguito attingendo dalle entrate centrali ridotte di molto.

Che fine fa il principio costituzionale di eguaglianza fra tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla loro residenza ?

Con le iniziative sull’autonomia differenziata si concretizza la “secessione dei ricchi”, come è stata puntualmente definita.

Le risorse finanziarie nazionali da trasferire per le nuove competenze saranno parametrate, dopo un primo anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale regionale, come prima detto. E’ scritto nelle Pre-intese che il livello dei servizi può solo migliorare per quelle Regioni.

Il gettito fiscale non è stato mai alla base dei calcoli dei fabbisogni standard perché il collegamento dev’essere con la demografia del territorio e con le caratteristiche del territorio stesso. Il collegamento col gettito fiscale prestabilisce che i servizi per la salute e per l’istruzione in Umbria, ma non solo qui, saranno più bassi che in Veneto, per esempio, perché più basso è il reddito medio pro-capite dei residenti umbri e più basso il gettito fiscale.

Salta il principio di uguaglianza dei cittadini, contrariamente alla Costituzione.

I costi standard vanno definiti in altro modo, peraltro non facile, e devono derivare da scelte politiche conosciute dai cittadini. Invece cosa dicono le Pre-intese firmate dal Presidente Gentiloni ?

Dicono che i criteri saranno stabiliti da una commissione paritetica tecnica fra Stato e ogni Regione. Ogni Regione porterà i propri dati, da essa stessa elaborati, e si avranno criteri difformi da Regione a Regione cui seguirà l’alterazione dell’ uguaglianza dei cittadini.

Un altro punto. La Costituzione prevede all’articolo 117.II.m che lo Stato abbia l’onere della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, i cosiddetti LEP, e che sia mantenuta “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Ciò è per garantire a tutti gli italiani il godimento degli stessi diritti di cittadinanza.

I livelli essenziali delle prestazioni sono riportati nella legge 42/2009 attuativa del federalismo fiscale. La loro determinazione non è però mai stata fatta, dal 2001 ad oggi. Nessun partito e movimento politico si è preoccupato di spiegare l’importanza e la portata di questa omissione, né di proporre iniziative per la loro determinazione. La quantificazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali, tutti da identificare, deve essere preliminare a quella dei fabbisogni standard per i servizi pubblici, altrimenti non ci sarebbe la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti. I diritti civili definiti essenziali mi lasciano sorpreso; cosa vuol dire essenziali ? Non possono esserci differenza tra cittadini sul godimento di diritti costituzionali quindi l’individuarli non può essere relazionato ad una differenziazione.

Invece è necessario garantire livelli uniformi di prestazione, non solo con una elencazione, ma con la sostanza, il contenuto, perché se il diritto non è fruibile per mancanza delle risorse necessarie il diritto non c’é.

Il Movimento 5 Stelle, che ha presieduto due governi nazionali, non ha preso alcuna iniziativa su questo punto. Nel programma elettorale di settembre scorso ha scritto, a pag. 202, la frase che hanno scritto tutti e prosegue: “ Dovrà comunque essere il Parlamento a definire le regole d’ingaggio con una legge quadro che tenga in massima considerazione le varie commissioni parlamentari coinvolte.” Tenere in massima considerazione le varie commissioni non si capisce cosa voglia dire. L’argomento è apparso troppo complicato per essere sviscerato compiutamente da quel Movimento nel proprio programma elettorale.

I livelli essenziali delle prestazioni – e non livelli di prestazioni uniformi – non è detto che sarebbero garantiti ai cittadini delle Regioni meno autonome. La ragione è che le coperture in bilancio non sono garantite, perché l’articolo 81 della Costituzione obbliga il pareggio del bilancio e, quindi, la riduzione di stanziamenti a servizi pubblici sarebbe possibile mentre, contemporaneamente, per le Regioni differenziate sono “fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi”, come è già scritto nelle Pre-intese. Qui si capisce bene la differenza tra fare un elenco di prestazioni e garantire la sostanza delle prestazioni in modo uniforme.

Ancora, non so immaginare lo scenario davanti alla Corte Costituzionale che, chiamata a decidere su diritti, su situazioni di conflitto tra istituzioni, sullo stesso oggetto darebbe ragione allo Stato se il conflitto fosse con la Regione Umbria o Marche o Lazio o Calabria; darebbe ragione – invece – alla Regione se il conflitto fosse con la Regione che ha l’autonomia più ampia come Lombardia, Emilia – Romagna, Veneto o altra ancora. O Viceversa. Un disordine parafederale ? Non so come definirlo.

Le Pre-intese del Governo Gentiloni prevedono altre garanzie alle Regioni differenziate. Esse stabiliscono che per dieci anni non sarà possibile far modifiche. Non sarà possibile il referendum abrogativo. Ci torno dopo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 69/2016, ha affermato che “il parametro del residuo fiscale non può essere considerato un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’articolo 119 della Costituzione”. Dice la Corte che il residuo fiscale è una stima, non un dato oggettivo.

Però il Governo va avanti. Le richieste di autonomia differenziata di Lombardia e Veneto riguardano tutte le 23 materie previste dall’art. 116.III: è una sostanziale riscrittura dell’articolo 117 della Costituzione.

Vi riferisco due pareri in materia di sanità. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici ritiene che queste richieste “non faranno che aumentare le disuguaglianze nella qualità delle prestazioni e negli accessi alle cure”.

La Fondazione Gimbe ritiene che “le ulteriori autonomie concesse dal regionalismo differenziato da un lato indeboliranno le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, dall’altro accentueranno iniquità e diseguaglianze disgregando definitivamente l’universalismo del SSN”. Tuttavia i recenti governi a guida PD e 5 stelle sono stati inattivi e non vado oltre.

Riferisco il giudizio dello studio della autorevole SVIMEZ, firmato dal suo Presidente, il Prof. Adriano Giannola e dal professor Gaetano Stornaiuolo della Federico II di Napoli, pubblicato nel 2018. Nell’analisi compiuta si manifestano “molte perplessità sulle modalità di finanziamento dell’autonomia differenziata: la pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori è infondata, inconsistente e pericolosa.”Secondo lo studio SVIMEZ l’autonomia differenziata è “da promuovere se è adeguatamente motivata e se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza compromettere il requisito di solidarietà nazionale”.

Le richieste di autonomia avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, cui faranno seguito a ruota altre regioni del Nord, “in assenza di riforme costituzionali”, potrebbero innescare un percorso verso un sistema confederale, nel quale alcune Regioni si fanno Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza diversi in aree del Paese differenti” mettendo così a rischio l’unità nazionale. Così scrive lo SVIMEZ.

Il Presidente di Confindustria Bonomi riconosce esplicitamente che quando Confindustria ragionò sull’autonomia regionale differenziata 22 anni fa, c’era un mondo diverso e che oggi non si deve dividere l’Italia, che abbiamo bisogno di una dimensione europea e che la soluzione non è un sistema regionale, basti pensare alle infrastrutture e alle opere pubbliche.

Sull’istruzione. Quale situazione si configurerà per i concorsi di personale docente e non docente ? Quali saranno i programmi d’insegnamento ? Quanto sono stati tenuti in considerazione gli avvertimenti dati dai sindacati dei docenti due anni/tre anni fa al governo PD-5Stelle e al governo Draghi ?

I cinque sindacati del settore dell’istruzione hanno diffuso questa valutazione : “Tale progetto, invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, rafforzando la capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita l’estrema necessità durante la recente pandemia, ripropone un’ulteriore frammentazione degli interventi indebolendo l’unità del Paese, col rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali”.

Il PD cerca di mettere una piccola pezza nel programma elettorale del settembre scorso. Vi scrive “Sono comunque esclusi dalla differenziazione delle competenze regionali i grandi pilastri della cittadinanza, a partire dall’istruzione … “ eccetera. Il Presidente Bonaccini ora è più attento con le parole – ma lo scritto rimane – e il Sindaco della sua città Merola è invece su posizioni del tutto responsabili.

Intanto 18 deputati leghisti hanno già presentato in ottobre scorso una proposta di legge per l’insegnamento della lingua veneta nelle scuole, a partire dall’età dell’infanzia, e il suo uso in radio e televisione. Il Ministro dell’istruzione Valditara ha fatto da sponda facendo sperare agli insegnanti delle grandi città che con la differenziazione potrebbero guadagnare di più. E’ l’azione di sgretolamento dell’unità nazionale, dell’attacco ai contratti nazionali collettivi di lavoro.

Insomma l’intera operazione dell’autonomia differenziata determina diversi diritti di cittadinanza in base alla residenza. Rompe la parità fra i cittadini. Rompe i servizi essenziali nazionali. Rompe l’unità nazionale.  

Riassumo e concludo su alcuni punti di massima gravità coi seguenti sette.

Primo punto. Grave è la modalità di finanziamento delle materie trasferite alle Regioni. Lombardia, Veneto, Emilia Romagna sono le prime tre nella graduatoria del reddito medio pro-capite. Quindi si ridurrà quasi del tutto il loro apporto al finanziamento del bilancio nazionale. Per mantenere i livelli delle attività statali dovranno contribuire le altre Regioni, riducendo le loro prestazioni ai cittadini e/o si ridurranno direttamente le prestazioni attinte dal bilancio statale impoverito. E’ la concretizzazione della “secessione dei ricchi”. Il collegamento col gettito fiscale deforma l’impianto costituzionale e lo modifica introducendo discriminazioni a favore e contro. Il Consiglio dei Ministri il 2 febbraio ha approvato il disegno di legge. Introduce all’articolo 1 “la distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà e differenziazione” . Quindi la differenziazione ha dei principi e questo illumina su come questa maggioranza politica legge i livelli essenziali delle prestazioni, cioè un elenco uguale per tutti ma non uniformità. di godimento delle prestazioni, dall’elettrocardiogramma al pronto soccorso, dall’asilo nido ai tipi di scuole e così di seguito.

I livelli essenziali delle prestazioni saranno decisi con decreto del Presidente del Consiglio, dice l’articolo 3.

Poi c’è l’articolo 9 che con linguaggio farisaico descrive il percorso che lo Stato deve fare per garantire i livelli essenziali delle prestazioni alle Regioni che non hanno ampie autonomie – come l’Umbria, sicuramente – “previa ricognizione delle risorse allo scopo destinabili” che lo Stato vedrà ridotte  di 80/90 miliardi di euro e potrà coprire le prestazioni con una coperta intuitivamente cortissima., più corta di molto di quella odierna.   

Anziché il gettito fiscale sarebbe indispensabile la diretta connessione con una specificità territoriale, considerata requisito necessario per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia. Per esempio, poiché l’Italia ha il proprio territorio per il 53% montano, questa specificità è fonte di problematiche – peraltro conosciute anche nel 2001 – sui servizi di trasporto, sulla viabilità, sulle manutenzioni stradali ed altro, la cui risoluzione è d’interesse nazionale non regionale e a prescindere dal gettito fiscale regionale. 

Secondo punto di gravità. E’ proprio l’elenco delle 23 materie della legislazione concorrente. C’è di tutto. Invece, in alternativa, sarebbe necessario e sufficiente rivedere la legge Bassanini sulle autonomie e far realizzare molti miglioramenti funzionali con legge ordinaria e con un’ intelligente strutturazione diversa di procedure e assetti burocratici, senza rompere l’unità del Paese. Non è più possibile, quale unica soluzione; quindi le materie delegate devono avere il significato del miglioramento gestionale non una sorta di federalismo pasticciato e mascherato.

Il terzo punto di gravità riguarda la prevista competenza di commissioni tecniche bilaterali che si sostituiscono alla determinazione politica e parlamentare.

Il quarto punto grave è che le Pre-intese riducono la funzione del Parlamento ad una mera presa d’atto dell’accordo tra il Governo ed una Regione. Ciò esautora il Parlamento e conferisce alla Regione un potere straordinario; essa avvia la richiesta di autonomia, indica le materie, porta nella commissione tecnica paritetica i dati che vuole perché li elabora e li controlla, firma un’intesa non modificabile senza il proprio consenso. La sua firma dell’accordo rende non sindacabile l’accordo stesso da parte del Parlamento.

Il quinto punto di gravità è lo sgretolamento della sanità nazionale e dell’istruzione quali servizi nazionali; così si consegue un’analogia con molti sistemi liberisti nei quali è tutto o quasi tutto privato e solo chi può ne usufruisce a pagamento.

Il sesto punto di gravità è l’assenza di forme di controllo degli effetti delle spese che le Regioni realizzeranno per le materie delegate. Ciò è nella logica della totale non considerazione di programmazioni, di crescite equilibrate, di spinte allo sviluppo generale. Mancano solo le zone franche fiscali per completare un’arlecchinata anche se parlamentari leghisti le hanno già chieste negli anni passati, coerentemente con il loro disegno dissolutorio. (Ho ascoltato l’ex ministro leghista Centinaio, che sosteneva a suo tempo la secessione del nord dall’Italia, dire pochi giorni fa che la differenziazione rafforza l’unità nazionale. Non ho parole adatte per commentare queste bugie).

Il settimo punto di gravità è rappresentato dalla esclusione del referendum abrogativo perché la costruzione fino ad ora fatta prevede una legge cosiddetta rinforzata che lo esclude. Non va bene.

Non è difficile pensare che ci saranno ricadute negative sull’operatività delle Province e dei Comuni in molti servizi alla persona di loro competenza ma anche per altre materie nei Comuni al confine della Regione e non solo a quelli.

Siamo favorevoli alle proposte dell’ Associazione denominata “Coordinamento Democrazia Costituzionale” per un disegno di legge popolare che intervenga sulle parti peggiori della modifica del Titolo V della Costituzione e invito a firmarla. Cerca di porre alcuni rimedi su alcune materie che debbono essere sottoposte solo a leggi nazionali e occorre anche e comunque una clausola di supremazia della legge nazionale su leggi regionali perché l’Italia non dev’essere trasformata in una imitazione abborracciata degli Stati Uniti d’America o della Repubblica Federale tedesca. 

Questa è la sintesi. Non ho toccato tutti gli aspetti costituzionali, né ho parlato della legge elettorale, né del presidenzialismo connesso a questo disegno e per il quale a breve verrà presentata dalla destra la proposta di legge. Questa sintesi già basta per essere preoccupati ed indignati.

Grazie per la vostra attenzione.

Relazione a cura di Mauro Scarpellini – Responsabile Amministrativo di Socialismo XXI