LOMBARDIA E LAZIO 2023: VOLATILITA’ E ASTENSIONISMO

di Franco Astengo |

I media mainstream stanno davvero rendendo un cattivo servizio all’informazione presentando l’esito delle elezioni regionali di Lombardia e Lazio (febbraio 2023) in termini di vittoria e sconfitta sulla base di percentuali di voto: sicuramente ci sono degli eletti che disporanno di quote di potere ma l’esito di questa tornata elettorale ha messo in mostra un ulteriore elemento caratterizzante le difficoltà del sistema politico italiano.ù

Elemento di difficoltà che deve essere analizzato con grande attenzione.

Certamente una molteplicità di fattori influiscono sul dato generale: le elezioni Regionali assieme alle Europee sono quelle che meno attraggono l’elettorato; le liste degli aventi diritto al voto (diversamente da quanto avviene per le elezioni politiche) comprendono le elettrici e gli elettori residenti all’estero che non possono così votare e altri elementi di tipo tecnico). Il ruolo delle Regioni sfugge sempre di più al comune cittadino che osserva e – nonostante il peso che un tema delicato come quello della sanità, di cui la gran parte della titolarità spetta alla Regione, ricopra nella vita quotidiana – l’Ente Regione è visto semplicemente come Ente di spesa e di nomina.

Tutte motivazioni sacrosante, ma il punto sta da un’altra parte.

La novità che presenta l’esito elettorale delle elezioni regionali 2023 di Lazio e Lombardia è quello di un evidente incanalarsi della volatilità elettorale verso l’astensionismo in dimensioni di massa.

Fin qui c’era stata una ricerca del “nuovo” passando in rassegna tra il 2014 e il 2018 ogni possibile nuova soluzione avanzata di volta in volta sull’onda di un crescente populismo: Renzi 2014, Cinque stelle 2013, 2018, Lega 2019.

Già il successo di Fratelli d’Italia alle elezioni politiche 2022 aveva registrato un forte arretramento di consenso per il partito capace di assumere pro-tempore la maggioranza relativa: erano stati 11 milioni i voti per il PD (R) alle europee 2014, scesi a 10 milioni per la vittoria a 5 stelle nel 2018, poi 9 milioni per l’exploit della Lega dei “pieni poteri” (Europee 19) mentre Fdi si è limitato (2022) alla maggioranza relativa con soli 7 milioni di voti mentre il partito di maggioranza uscente ne perdeva 6 milioni e l’astensione saliva di 4 milioni di unità.

Adesso tra Lazio e Lombardia è successo questo: tra il 2022 (settembre) e il 2023 (febbraio), Celso Ghini mi perdonerà l’obbrobrio comparativo, il partito di maggioranza relativa scende, in Lombardia da 1.396.089 voti (18,60% sul totale degli iscritti nelle liste) a 725.402 ( 9,05 % sul totale degli iscritti nelle liste, quindi un dimezzamento reale di rappresentatività). Nel Lazio succede questo: a settembre FdI ottiene 851.348 voti (19,56% sul totale degli iscritti nelle liste) a febbraio 2023 il partito di maggioranza relativa si ferma a 519.633 voti (10,84% sul totale degli iscritti).

Il totale dei voti validi (esclusa astensione, schede bianche e nulle) assomma in Lombardia a 3.245.754 voti per i candidati presidenti e 2.881.164 per le liste circoscrizionali (rispettivamente 40,51% e 35,96%); alle elezioni politiche 2022 i voti validi furono 5.058.848 (60,7%); nel Lazio 1.734.472 voti per i candidati presidenti (36,38%) e 1.545.785 vioti per le liste circoscrizionali (32, 26%); alle politiche 2.707.954 voti validi (62,23%).

Non sono proponibili comparazioni per i presidenti eletti essendo passata una vera era geologica tra il 2018 e il 2023, però può essere interessante far notare come Fontana sia stato rieletto in Lombardia con 1.774.477 voti rispetto ai 2.793.369 voti nell’elezione precedente (1 milione di voti in meno); nel Lazio Rocca ha avuto 934.614 voti contro il milione diciottomila settecento trenta sei di Zingaretti nel 2018: quindi con una quota che può essere considerata di “tenuta” anche se in leggero calo rispetto ai voti ottenuti da Parisi nel 2018 (il candidato sconfitto del centro – destra ottenne 964.757 voti).

Rispetto al risultato delle regionali lombarde del 2018 da notare che Gori fu sconfitto con 1.643.614 voti (20,84% sull’intero corpo elettorale) ridotti nel 2023 a 1.101.417 per Majorino (13,74% dell’intero corpo elettorale).

A questo punto non si intende ovviamente porre in discussione la legittimità degli eletti a ricoprire il loro ruolo: ma il fatto che il presidente eletto nella Regione della Capitale rappresenti il 19,50% dell’intero elettorato dovrebbe porre qualche problema a una classe politica che parla di conferme e rafforzamenti.

Il calo della partecipazione al voto è costante, nella storia del sistema politico italiano, a partire dal 1979 e il fenomeno ha anche travolto nel suo inter un istituto come quello del referendum abrogativo: inizialmente acuti analisti giudicarono il fenomeno come segnale della “maturità” della nostra democrazia, finalmente uscita dalla fanciullezza delle “conventio ad excludendum” e pronta per bipolarismo e alternanza (correva a quell’epoca il racconto del presidente degli Stati Uniti che alla fine veniva eletto dal 25% della popolazione). Adesso ci troviamo ben al di sotto della soglia di guardia con la novità di un fenomeno come quello della volatilità elettorale, sviluppatosi in Italia in tempi recenti, che pare proprio volgersi nella crescita esponenziale dell’astensione indebolendo ulteriormente un sistema politico già reso fragile dall’inconsistenza dei soggetti politici rappresentativi rispetto al loro radicamento territoriale e alla loro capacità di svolgere una funzione (che rimane indispensabile di pedagogia politica).

Sempre svolgendo comparazioni un tempo giudicate improprie è il caso di far notare che, tra le politiche 2022 e le regionali 2023 le “alleanze variabili” non hanno funzionato per i contraenti: il Terzo Polo in Lombardia aveva ottenuto alle politiche 513.620 voti, ridotti a 122.356 in occasione della presentazione autonoma alle regionali (la coalizione con Letizia Moratti ha avuto 275.008 voti per le liste e 320.346 suffragi alla candidata); nel Lazio, presentazione differenziata rispetto alla Lombardia in alleanza con il PD, da 231.295 voti a 75.272 (nel 2021 la candidatura Calenda al Comune di Roma ebbe 219.878 voti, con 193.477 alla lista).

Eguale sorte per il Movimento 5 stelle: Lombardia alleanza con il PD alle regionali (113.229 voti, alle politiche 2022 370.336); nel Lazio presentazione autonoma con candidatura Bianchi per 132.041 voti alla lista (politiche 400.825). Con il M5S nel Lazio presente anche una costola del movimento rosso verde con 18.727 voti.

Infine il PD che perde 350.000 voti circa in Lombardia (Settembre ’22 971.846; Febbraio ’23 628.774; percentuali sul totale del corpo elettorale da 12.94% a 7,84%) e circa 170.000 voti nel Lazio (da 11,40% su tutto il corpo elettorale a 6,53%).

Sarebbe il caso di ricordare quanto valessero nel radicamento elettorale i grandi partiti di massa del ‘900, ma possiamo cavarcela scrivendo che i tempi sono radicalmente cambiati.