di Antonio Giolitti |
Uno scritto del compianto compagno Antonio Giolitti, in memoria di Riccardo Lombardi a pochi giorni dalla sua scomparsa |
UBIQUITA’ e isolamento sembrano due caratteristiche coesistenti, e apparentemente contraddittorie, nella personalità politica di Riccardo Lombardi.
La sua presenza di militante, di leader, di interlocutore, è stata attiva e costante su tutto l’arco della sinistra, come dirigente del Partito d’Azione e poi del Psi, come ascoltatore attento, osservatore penetrante e critico acuto del Pci e di gruppi e individui fuori dei partiti. Instancabile e spesso implacabile.
E tuttavia isolato, nonostante le amicizie profonde e durature che aveva saputo suscitare e coltivare (tra le quali credo di poter annoverare, con commozione, anche la mia).
Isolato perchè eretico e indocile riguardo alle liturgie e alle servitù imposte dai riti partitici (sempre insofferente, ricordo, di quelle che egli chiamava le “litanie” sciorinate dai microfoni); ma soprattutto, direi, perchè refrattario a quella sorta di sciovinismo di partito che è andato imperversando da quando – come ha osservato recentemente Asor Rosa su queste colonne – ogni partito pensa anzitutto ai fatti propri, “ognuno per sè, e tutti contro tutti… neanche l’ombra di un cosiddetto interesse generale”: neppure – aggiungo io – quella di un interesse generale della sinistra, che era invece la motivazione permanente e profonda dell’ impegno politico di Riccardo Lombardi.
Era quello per lui il pensiero dominante e il criterio guida, in funzione dell’alternativa e perciò della capacità di governo della sinistra. Una endiade, questa, inscindibile: vana l’idea dell’alternativa se non associata a capacità di governo; vana questa se non al servizio dell’alternativa di sinistra come componente essenziale dell’ingranaggio democratico.
Dunque, capacità di governo da valere e da verificarsi in rapporto agli obiettivi di riforma; perciò ci volevano – come egli amava dire – Nsocialisti ministri e non Nministri socialisti. Tre momenti della sua lunga e tormentata vicenda politica mi sembrano significativi rispetto a quanto ho appena annotato.
ALL’ INIZIO degli anni 60 Lombardi intraprese insieme con un piccolo gruppo, del quale io mi trovai a far parte, un lavoro estremamente intenso, direi quasi accanito, di preparazione alla partecipazione di “socialisti ministri” al governo di centro-sinistra: analisi di problemi, elaborazione programmatica di obiettivi, priorità, linee di azione. Era un primo tentativo di riformismo operante e non vociferante. Il centro-sinistra doveva esser messo alla prova oltre che come formula politica (secondo la massima della “politique d’ abord” cara a Pietro Nenni) anche come terreno di sperimentazione della capacità di governo di un partito socialista che tale prova intendeva affrontare non solo per se stesso ma per tutta la sinistra (di proposito evito di scrivere “in rappresentanza” di tutta la sinistra, perchè posta in questi termini la pretesa sarebbe stata eccessiva).
Per questo insistemmo tanto nel rifiuto della cosiddetta “delimitazione della maggioranza”, e cioè della formula morotea che significava rigetto pregiudiziale dei voti comunisti anche se aggiuntivi a quelli di una maggioranza autosufficiente. Per questo non approvammo, nella famigerata “notte di San Gregorio”, un programma di governo che ci sembrava fragile e sdrucciolevole per le sue reticenze e ambiguità. Grazie a questa gravidanza difficile il primo centro-sinistra nacque come esperimento che poteva e doveva essere interessante per tutta la sinistra: ma il Pci non volle e non seppe comprendere il significato e le possibilità di quella audacia lombardiana.
Da allora Riccardo Lombardi assunse la leadership di un gruppo che andò via via prendendo distanze sempre maggiori dalla coalizione di governo e quindi dalla maggioranza del partito. La differenziazione si accentuò, fino a diventare opposizione, di fronte alla progettata unificazione tra Psi e Psdi. Opponevamo a quella operazione tre obiezioni fondamentali. Si presentava come un accordo tra i vertici, arrogante nei confronti della manifesta indifferenza e diffidenza della base, da realizzarsi in termini di “fifty-fifty”, con la conseguenza, chiaramente prevaricante, di spostare sensibilmente verso il centro la collocazione del partito socialista.
Altra conseguenza, e seconda obiezione, era l’irresistibile scivolamento del partito socialista sul versante della coalizione di governo con la Dc in posizione subalterna e irreversibile, che significava rinuncia a esercitare un ruolo nella sinistra per l’alternativa.
La terza e non minore obiezione risaliva alla differenza, ormai incolmabile, nella concezione stessa del socialismo, nel modo d’ intendere e di mettere in pratica la ragion d’ essere di un partito socialista. Negli ultimi anni l’ubiquità di Lombardi nel dialogo con tutte le componenti della sinistra è stata particolarmente feconda, ma al tempo stesso si è accentuato, all’ interno del Psi, il suo isolamento, in seguito al dissolvimento della cosiddetta corrente di sinistra nella unanimità intorno al nuovo leader.
Volatilizzato ogni dissenso e spento ogni dibattito, era rimasta, isolata ma non smorzata, la voce stimolatrice, critica e se necessaria fustigatrice di Riccardo Lombardi.
Certo, la scelta più chiaramente e nettamente autonomista che dalla fine del 1976 ha caratterizzato la linea politica del Psi era condivisa da Lombardi.
Ribadiva la scelta occidentale e riformista. Offriva una prospettiva di rinnovamento e di rilancio per tutta la sinistra. Potevano derivarne, nelle condizioni concrete della politica italiana, due linee di azione per il Psi: si poteva spendere l’autonomia per acquistare maggior peso in un rapporto di alleanza con la Dc, da equilibrare mediante un rapporto più stretto con i partiti “laici”, e dare così al paese una garanzia di stabilità democratica, di moderato riformismo, di una capacità di governo coerente con obiettivi di lungo periodo; oppure si poteva esplicitamente e lealmente, facendo prendere atto dei vincoli imposti dal ruolo storico del partito socialista e dalla peculiarità della situazione politica italiana (bipolarismo incombente), perseguire una “doppia linea”, cioè una strategia di lungo periodo mirante all’ alternativa democratica di sinistra e di medio periodo derivante dalla responsabilità di assicurare al paese un governo democratico hic et nunc.
E’ questa, per così dire, l’ambiguità oggettiva imposta al partito socialista dall’ ambiguità storica di un partito comunista permanentemente alla ricerca di una terza via tra una esecrata socialdemocrazia e un inaccettabile socialismo reale: la necessità, cioè, e quindi l’ambiguità, di assumersi la propria parte di responsabilità di fronte al problema della “governabilità” del paese e al tempo stesso di perseguire e promuovere la maturazione e la legittimazione dell’ intera sinistra come alternativa di governo pienamente credibile e praticabile.
Si trattava di fare di necessità virtù, rifiutandosi di accettare come dilemma cornuto o un regime di “compromesso storico” o un regime “pentapartitico”.
Mi sembra che il massimo di virtù, per il partito socialista, debba consistere in una politica tendente a rendere il paese governabile e ben governato oggi, senza compromettere l’alternativa e cioè la governabilità domani in condizioni non più di emergenza ma di normalità democratica.
Di fatto il Psi ha imboccato un’altra strada, che ha perlomeno il vantaggio di essere più corta, dato che va da piazza Augusto Imperatore a Palazzo Chigi. L’alternanza sostituisce l’alternativa. Grazie all’assonanza, la variante è quasi impercettibile: appena due sillabe. Si tratta, invece, di un capovolgimento di strategia.
Riccardo l’aveva ben visto.
Tutto l’impegno è portato sulla capacità di governo, hic et nunc. L’alternanza è una scommessa sulla capacità del Psi di fornire una guida efficiente al governo del paese, in coalizione con una Dc la quale in rapporti di forza sta al Psi pressappoco come 3 sta a 1. Non si tratta, evidentemente, di alternare al governo un indirizzo democristiano e un indirizzo socialista: al contrario, perchè l’alternanza sia accettata occorre che sia predeterminato un indirizzo univoco e invariabile, per esempio con un “patto di legislatura”.
Di qui è facile e quasi ineluttabile scivolare in una situazione in cui l’alternanza diventa la premessa o il coronamento di un assetto spartitorio a tutti i livelli, di una sistematica e consensuale prevaricazione dei partiti sulle istituzioni, con tutte le occasioni di corruzione e concussione che ne derivano. Condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per evitare tale degradazione, è un preciso e concreto programma di azione governativa, con le sue priorità, i suoi obiettivi e i suoi strumenti. Nell’ambito di tale programma il Psi, come membro di una coalizione, dovrebbe stabilire in quali settori (e perciò in quali ministeri) intende concentrare il proprio impegno, anche al fine di qualificare in modo visibile la propria partecipazione al governo.
In funzione di tale impegno dovrebbe essere selezionato e preparato il personale di governo, cioè, in concreto, una squadra di ministri e sottosegretari sui quali il partito fa affidamento; e, per sostenerli, bisogna creare o potenziare gli strumenti di elaborazione politica nell’ambito del partito e gli strumenti d’ informazione o di partecipazione reciproca tra partito e opinione pubblica.
O ci si attende tutto da un potere carismatico emanante da Palazzo Chigi? La domanda non è temeraria. La troviamo esplicitamente formulata anche nella rivista mensile del Psi.
Nell’ editoriale del numero 6/7 di Mondoperaio Federico Coen scrive che “era prevedibile che la presidenza socialista abbinata con la segreteria del partito avrebbe portato all’ azzeramento di quest’ultimo, come puntualmente è accaduto…
E poichè un partito azzerato nei suoi organi direttivi non è riformabile… la parola d’ordine dell’autoriforma si è ridotta a un puro slogan…
La Dc non può pretendere che i socialisti si rinchiudano nel pentapartito come in una gabbia. La ricerca di un orizzonte strategico di più ampio respiro in cui collocare la prospettiva riformista non è un delitto di lesa coalizione, è un dovere elementare per un partito socialista che si rispetti”.
Nel suo ultimo discorso pronunciato il 29 giugno Riccardo Lombardi lanciava lo stesso segnale d’allarme: “Il Psi rischia di diventare un partito che non ha più ragione di vita”. Meglio che con i necrologi, la sua memoria va onorata raccogliendo quel suo avvertimento.
La Repubblica – 27/09/1984
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