UN RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA E LA POLITICA CULTURALE DEL PCI

di Franco Astengo |

E’ uscito recentemente (agosto 2022) un testo di Claudio e Giandomenico Crapis su “Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra”.

Un testo riferito agli anni ’60 e – in particolare – a due saggi scritti su invito di Mario Spinella da Umberto Eco “sui problemi della cultura di opposizione” e pubblicati da “Rinascita” nell’ottobre del 1963 .

Rinascita in quel momento era ancora diretta da Palmiro Togliatti che sarebbe scomparso nell’agosto del 1964.

Su quei testi di Eco si aprì un dibattito, in parte riportato nel volume e ,ripubblicando alcuni interventi, gli autori rilevano come risultasse insufficiente la risposta fornita da Rossana Rossanda in quel momento responsabile della commissione culturale del Comitato Centrale: un giudizio di insufficienza rispetto alla capacità di comprensione della modernità che stava incalzando in una fase di dibattito particolarmente “aperto” all’interno del partito e nell’intera sinistra (non si erano ancora spenti i fuochi della dispora verificatasi attorno ad Ungheria ’56, si stava formando il primo governo organico di centro – sinistra e, di conseguenza, si stava per consumare la scissione del PSI che avrebbe originato lo PSIUP).

Nel testo di Claudio e Giandomenico Crapis si fa anche cenno al convegno del “Gramsci” del 1962 sulle “Tendenze del capitalismo italiano” nel corso del quale si originò un confronto serrato tra le tesi sostenute da Amendola sul capitalismo italiano “straccione” e una visione contraria di analisi delle innovazioni in corso sostenuta da Trentin, Magri e Foa (naturalmente semplifico per ragioni di economia del discorso).

Non intendevo però soffermarmi sul dibattito sorto intorno ai saggi di Umberto Eco ma riferire, invece, di un passaggio evidenziato nel testo di introduzione del volume cui si sta accennando.

Con una premessa: Togliatti aveva affidato a Rossanda la direzione della politica culturale del partito a seguito di un netto ripensamento della linea tenuta per tutti gli anni’50 e improntata – anche in questo punto seguo la massima semplificazione – al “realismo socialista” (verrebbe da dire : alla “dottrina Zdanov”) : esempio classico la stroncatura da parte dello stesso segretario generale della mostra tenuta a Bologna nel 1948 da pittori astrattisti(tra i quali Turcato, Vedova, Guttuso) e giudicata “semplici scarabocchi”, oppure la polemica sorta con Massimo Mila e il giudizio togliattiano della musica di Sostakovic come “presa in giro”.

Il dibattito seguito all’indimenticabile ’56 (copyright Pietro Ingrao), all’VIII congresso del PCI (codificata la “via italiana al socialismo” nel quadro di una visione multipolare, in risposta all’esito del XX congresso del PCUS) e l’intervista rilasciata – sullo stesso argomento – da Togliatti a “Nuovi Argomenti” aveva portato a una profonda correzione di linea.
Dunque in questo quadro si collocava un intervento di Rossanda (1963) all’indomani di una celebre intemerata di Krusciov rivolta verso artisti e scrittori che si orientavano verso estetiche diverse dal realismo socialista (nel novembre del 1957 si era anche verificato il “caso” della pubblicazione in Italia, presso Feltrinelli, del “Dottor Zivago”).

L’intervento di Krusciov risultò molto duro (e in apparente controtendenza con aperture procedenti sostenute dallo stesso segretario del PCUS) e Rossanda rispose in questi termini:

“Il discorso ci trova molto critici e suscita in noi profonda preoccupazione perché l’unico principio fondamentale che si può rintracciare nell’elaborazione del pensiero socialista da Marx a Lenin a Gramsci, è la reintegrazione dell’uomo come padrone di sé stesso.

Aggiungeva Rossanda “La morale marxista non è una morale, ma la fondazione di una possibilità di una morale, di una libertà contro la soggezione dell’uomo.

Ancora “Il compito del Partito rivoluzionario non è quello di commisurare la legittimità di questa o quella produzione artistica alla propria elaborazione ma di garantire la fondazione di una cultura e d’una morale come cultura e morale di libertà rinunciando ad ogni concezione subalterna”.

Il PCI si trovava all’interno di un travaglio molto complesso e l’improvvisa scomparsa di Togliatti, pochi mesi dopo, avrebbe poi portato a un “assestamento” del gruppo dirigente (nel quale era successivamente scomparso anche Alicata difensore della tesi dell’ortodossia del “realismo”) e a vicende successive che si sarebbe concluse con la radiazione del gruppo del Manifesto di cui Rossanda e Magri rappresentavano i principali esponenti perlomeno sul piano della ricerca teorica e più direttamente politica.

Valeva la pena riportare questo passaggio della risposta di Rossanda a Krusciov proprio per cercare di stabilire come, a cavallo degli anni’60 mentre si avviavano a conclusione i “trenta gloriosi”, nella sinistra fosse aperta una discussione di fondo sui termini concreti di ciò che stava mutando nella formazione dell’egemonia e nelle stesse forme di pedagogia politica rispetto alla prima fase della costruzione del partito di massa dalla svolta di Salerno in avanti e ancora successivamente dentro la logica dei blocchi.

In conclusione si può forse affermare che nell’immediato prosieguo, tra i primi anni’70 e il successivo periodo caratterizzato dalla presenza della proposta di “compromesso storico” il dibattito interno al PCI e quello rivolto verso gli intellettuali posti alle prese con il tumultuoso modificarsi della società dei consumi e con l’individualismo rampante subì una sorta di torsione “politicista”, del diluirsi di una ricerca rivolta alla “tensione teorica”, quasi di “adeguamento” alla modernità (modernità inclusiva dell’effimero) e di rifugio nell’autonomia del politico e di una sorta di separatezza dalla complessità della ricerca culturale. Forse però questo è un giudizio superficiale ed è il caso, per valutare al meglio, di affidarsi a un eventuale dibattito che risulterebbe non soltanto di retrospettiva.