FASCISMI

di Franco Astengo | Per fortuna le reazioni non stanno mancando: ma l’idea del sottosegretario Fazzolari circa l’avvio al tiro a segno degli studenti la dice davvero lunga sulla matrice ideologica di molti dei componenti del governo e degli esponenti del partito di maggioranza relativa, cui il corpo elettorale ormai alla ricerca del nuovo ad ogni costo ha affidato una maggioranza sorta esclusivamente (è bene ricordarlo) dall’applicazione di una sciagurata formula elettorale escogitata da un’idea malata sorta dall’interno del PD nell’insufficienza di analisi circa la relazione tra governabilità e rappresentanza che dovrebbe intercorrere in un sistema democratico (un tema che sfugge, tra l’altro, nel dibattito congressuale di quel partito). Si discetta su “conservatorismo”, “sovranismo”, “populismo”: in realtà gli “ismi” si sprecano per non citare quello che più semplicemente racchiude tutto il resto: “fascismo”. L’allarme è già stato lanciato da tempo (anche chiamando in causa le capacità intuitive che valsero il martirio a Matteotti e a Gramsci) ma fin qui raccolto in poche sedi: auguriamoci che questi segnali rendano più evidente la gravità della situazione e che l’opposizione, in Parlamento e nel Paese, risulti capace di agire politicamente in conseguenza.  dal (Dialogo “Gramsci/Matteotti”). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’IRA DEGLI USA

L’Inflation Reduction Act (Ira) è la legge adottata dal Congresso USA a metà agosto del 2022, che prevede forti agevolazioni in favore del Made in USA, agevolazioni preoccupanti perché spingono a spostare gli investimenti negli USA infrangendo le leggi internazionali sul libero commercio. Gli incentivi saranno riservati a chi compra prodotti realizzati negli Stati Uniti, si stanno già verificando, infatti, delocalizzazioni di aziende europee o americane che hanno investito in Europa e che ora preferiscono produrre sul suolo americano per beneficiare di questi incentivi. Significativo è il caso INTEL che aveva in programma investimenti in Germania ed in Italia ma che sta riconsiderando tali progetti proprio per godere dei benefici promessi dal suo stato di origine. Quasi 370 miliardi di dollari sono stati stanziati per finanziare in dieci anni misure volte a costruire un nuovo ecosistema industriale in settori strategici dell’energia pulita, per consentire agli Stati Uniti di raggiungere il loro obiettivo di ridurre del 50% le proprie emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto al 2005. Grazie a questo piano, le famiglie americane possono beneficiare di un credito d’imposta di 7.500 dollari per l’acquisto di nuovi veicoli elettrici americani (4.000 dollari per quelli usati). Sono previsti anche aiuti per l’installazione di pannelli solari, nonché un incentivo alla ristrutturazione delle abitazioni in chiave di efficienza energetica. Dal lato delle imprese, il piano prevede crediti d’imposta per investimenti nel settore dei veicoli elettrici, dell’energia eolica e solare, dell’idrogeno verde, dei biocarburanti, delle batterie e di altre tecnologie pulite. L’Europa rischia così un esodo verso gli Stati Uniti degli investimenti che oggi sono impegnati nello sviluppo di tecnologie pulite in Europa. “L’Inflation Reduction Act non corrisponde alle regole fissate dall’Organizzazione mondiale del commercio”, ha attaccato il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, dopo un incontro con l’omologo francese Bruno Le Maire. La legge autorizza “incentivi molto forti con clausole di preferenza nazionale”, in chiara violazione delle regole internazionali sul libero commercio. Ora gli europei vogliono adottare una normativa analoga per rimanere nella competizione globale, una sorta di ‘Buy European Act’ su cui sta spingendo da mesi soprattutto il presidente francese Emmanuel Macron. Parigi e Berlino hanno comunque già concordato di spingere l’acceleratore su diverse tecnologie pulite per migliorarne la competitività contro gli Stati Uniti, ma anche contro la Cina. Questi progetti europei stanno, dopo l’esperienza del PNRR, modificando a fondo il modo di far economia in Europa, con indebitamento comune dell’istituto europeo e finanziamento ai vari progetti europei che progettano investimenti nei settori individuati dai piani europei. E’ ovvio, e lo riscontriamo nell’attività che stanno dimostrando Francia e Germania, che questi programmi sono destinati a favorire le iniziative dei due paesi, mettendo in difficoltà le imprese italiane malate di un insanabile nanismo e che comunque da trent’anni non sono capaci, nonostante i soldi regalati dai bonus Calenda, di aumentare il tasso di produttività e di conseguenza di alzare i salari. Viene richiamato l’effetto della “frusta salariale” ovvero di un aumento dei salari che costringano le imprese ad aumentare gli investimenti in innovazione e tecnologia alfine di contrastare l’aumento di costi determinato dalla frusta.  Il modello contrattuale protegge le imprese a da qualunque aumento dei salari reali che non sia coperto da aumenti di produttività, ma non da un progressivo esaurimento della domanda interna di beni di consumo. In altre parole, non c’è alcuno spazio per effetti di domanda aggregata o per la “frusta salariale” (che teorizzava Paolo Sylos Labini e ben prima i coniugi Webb): né come aumento autonomo derivante da un’offensiva sindacale, né come “effetto Ricardo”, ossia un aumento del costo del lavoro rispetto a quello del capitale sostitutivo del lavoro (o un deprezzamento di quest’ultimo), né come effetto CLUP reale, cioè un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto rispetto al prezzo del prodotto stesso. La conseguenza di quanto precede è che la probabilità che il salario reale crescesse nella stessa misura della produttività, in accordo con la cosiddetta “regola d’oro” della politica salariale (si vedano, ad esempio, i lavori di Nicholas Kaldor e Paolo Leon) si è dimostrata del tutto improbabile (anche se teoricamente possibile).(da Leonello Tronti) La situazione richiede una campagna di programmazione nazionale, richiede, a livello politico, un ritorno a un clima di razionalità socialista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AL TEMPO DELLA SPERANZA: LA CONFERENZA DI BANDUNG

di Franco Astengo | Qualche sera fa Il canale “Rai Storia” un ricordo della conferenza di Bandung (1955) dalla quale (riferisco con un poco di semplificazione) nacque il movimento dei “non allineati”: questo piccolo episodio della rievocazione televisiva si è verificato in un momento particolarmente buio nella storia del mondo, dove la vicenda della pace e della guerra sta tenendo in sospeso la vita stessa degli abitanti del pianeta appesi al filo di una possibile catastrofe nucleare e legati ansiosamente all’esito di guerre che stanno avvolgendo tutti i continenti in una spirale che sembra ricostituire l’antica e mai superata strategia del terrore. Ricordare la Conferenza di Bandung significa allora rievocare un tempo di apertura di speranza che possa servire come un monito valido per il presente. In quel tempo, alla metà del XX secolo (il secolo delle grandi tragedie mondiali) in un mondo dominato ormai dalla logica dei due blocchi contrapposti: quello occidentale raccolto attorno agli USA, e quello orientale egemonizzato dall’URSS si svilupparono, nel decennio intercorso tra il 1950 (anno di inizio della guerra di Corea) e il 1960 (con il completamento, salvo alcune sanguinose eccezioni come l’Algeria, del processo di decolonizzazione in Africa) alcuni eventi assolutamente fondamentali per il prosieguo del processo storico a livello planetario. Assieme alla fine irreversibile del vecchio colonialismo si possono ricordare l’entrata in crisi della “guerra fredda”, la ricostituzione della potenza economica dell’Europa Occidentale e del Giappone, l’emergere della Cina comunista. La fine del colonialismo corrispose a una serie di imperativi storici: dopo la seconda guerra mondiale apparve chiaro che la nuova forma di dominio mondiale non passava più attraverso quelle sfere di dominio ormai arcaiche, bensì attraverso la costituzione di immense sfere di influenza che, includendo paesi sviluppati o meno, non avevano più nulla a che fare con le colonie. In questo senso agirono le due grandi potenze: USA e URSS. L’influenza statunitense nel mondo si esprimeva esportando capitali, tecnologia, fornendo aiuti di vario tipo e condizionando le linee politiche degli Stati subalterni, come in Europa Occidentale, oppure saccheggiando risorse e materie prime attraverso una combinazione di sfruttamento economico e di controllo politico sui governi. Il sistema neo – imperialista era molto articolato e andava da una complessa politica di alleanza e di condizionamento verso grandi paesi (come nel caso della costruzione dell’embrione dell’Unione Europea) fino alla politica brutale in paesi sotto governi- fantoccio in Asia e in America Latina (emblematico lo sbarco dei marines in Libano, l’occupazione di Grenada e – soprattutto – l’organizzazione del “golpe” cileno dell’11 settembre 1973). Alla sfera di influenza statunitense, basata sull’imperialismo di tipo nuovo, corrispondeva quella sovietica, nella quale l’URSS, pur nemica del vecchio colonialismo e dell’imperialismo di nuovo conio di marca statunitense, realizzava una sua forma di ferreo dominio sui paesi minori, che si manifestava nel controllo politico ed economico e nell’utilizzazione delle risorse dei piccoli e medi Stati dell’Est europeo (sottoposti anche diretta vigilanza e repressione militare come dimostrato dall’Ungheria ’56 e dalla Cecoslovacchia ’68),. Il primato sovietico nel campo socialista poggiava, analogamente a quello statunitense, sul monopolio delle superarmi e dei più avanzati settori tecnico – scientifici (com’era dimostrato, in quel momento, dalla lotta tra le due superpotenze per la supremazia nelle imprese spaziali). La decolonizzazione, con il sorgere conseguente di numerosi Stati nuovi, portò al delinearsi di un nuovo assetto planetario che fu battezzato con un’espressione poi corrente per un lungo periodo eppur vaga “Terzo Mondo”. Un “Terzo Mondo” variegato per storia, economia, struttura politica eppure accomunato da alcune grandi tendenze di fondo: la necessità di svilupparsi in tempi rapidi e la diffusa tendenza al “neutralismo”. In quest’ambito si svilupparono alcune iniziative clamorose che misero in luce proprio queste tendenze “neutraliste”. Dopo la conferenza di Colombo (Ceylon) del 1954, nel corso della quale India, Pakistan, Birmania, Ceylon e Indonesia presero posizione per la fine della corsa all’armamento nucleare, contro il colonialismo, a favore della pace e della distensione ebbe grandissima importanza la Conferenza di Bandung (Indonesia), la quale fra il 18 e il 24 aprile 1955 riunì 29 stati che per la maggior parte erano neutrali. La conferenza era il frutto delle discussioni sviluppatesi tra alcuni paesi asiatici durante la fase finale della crisi indocinese, e dopo la firma, nel settembre del 1954, del trattato istitutivo della SEATO (l’omologo sul fronte del Pacifico, della NATO). Originariamente la conferenza di Bandung non era ispirata da un comune progetto tra i paesi partecipanti di non allineamento rispetto agli schieramenti della guerra fredda, dato che fra i paesi invitati erano presenti tanto il Pakistan, ben legato all’Occidente dal trattato della SEATO e dalla sua politica generale, quanto la Cina, in quel momento schierata con l’URSS, o le Filippine e il Giappone, capisaldi degli USA nel Pacifico. Complessivamente a Bandung furono presenti 29 delegazioni, eterogenee quanto alla provenienza e anche rispetto alla loro linea di politica internazionale ma tutte sensibili al tema degli schieramenti in relazione allo scontro sovietico – americano e ai costi impropri che la logica dello scontro proiettava su tutto il globo. In realtà il proposito iniziale fu modificato durante i lavori dal ruolo dominante assunto da alcuni dei partecipanti, come Nehru, Sukarno, Nasser, U Nu e Chou En Lai, che riuscirono a sovrapporre alle tematiche di schieramento nelle quali i 29 partecipanti erano impegnati l’analisi di alcuni principi generali che avrebbero dovuto costituire come una sorta di guida del “non allineamento”. Il diritto di autodeterminazione nazionale e la condanna del colonialismo ebbero un posto importante nel dibattito: un altro punto importante fu rappresentato dall’impegno, sancito in linea di principio, di “astenersi dal partecipare ad accordi di difesa collettiva volti a servire gli interessi particolari delle grandi potenze”. Era questa la formula del “non allineamento”, la cui formula consentì però una vasta gamma di interpretazioni. In generale la conferenza ebbe un forte valore simbolico, offrendo anche forti spunti di dibattito e intervento ai movimenti della sinistra critica in Occidente, in quanto vi furono affermati principi del futuro ordinamento internazionale come il forte impegno a favore dell’indipendenza dei popoli coloniali, che avrebbe …

DONNE E SOCIALISMO, MARIA GOIA

di Ferdinando Leonzio |       O compagne, per il presente e per l’avvenire gridate, coi socialisti, la vostra      esecrazione alla guerra! (Maria Goia) La Romagna di fine ´800, in cui visse e si formò Maria Goia, era una delle zone piú politicizzate d’Italia: in essa fermentavano le prime formazioni politiche organizzate, sia socialiste che repubblicane, unite nella vivace contestazione al regime monarchico-conservatore prevalso alla fine del processo risorgimentale, ma ben presto rivaleggianti fra loro. Maria Goia nacque il 28 novembre 1878 a Cervia, nel Ravennate, dov´era presente un numeroso bracciantato, in una famiglia di umili condizioni[1]. Lí trascorse l´infanzia e l´adolescenza, a stretto contatto coi problemi che affliggevano la cittadina: povertá, disoccupazione, sfruttamento del lavoro. Il padre Raimondo era un salinaro, simpatizzante per il nascente socialismo, e la madre Edvige Marzelli faceva la lavandaia; ma essi non mancarono di notare la vivace intelligenza della figlia e la sua propensione per la cultura e per la politica, per cui decisero di farla studiare. Perció, terminata brillantemente la scuola di base, la iscrissero alla Regia Scuola Normale femminile di Ravenna. Ma nel 1898 Maria fu costretta a interrompere gli studi, non potendo piú usufruire dei sussidi del Comune di Cervia, benché brillante studentessa[2]; di conseguenza non poté conseguire il diploma magistrale cui aspirava. Negli anni che seguirono maturó la sua scelta politica e nel 1901, a ventitré anni, si iscrisse al PSI. Il suo esordio pubblico nella scena politica ebbe luogo nello stesso anno 1901, quando fu inaugurata la prima sede socialista in Romagna, alla presenza di Andrea Costa, leader riconosciuto del socialismo romagnolo e primo deputato socialista. Maria in quella occasione prese la parola per spronare le donne a una presa di coscienza politica e all´adesione al socialismo: le donne socialiste, diceva, rialzavano la testa e si battevano per emanciparsi dalla doppia servitú, economica e domestica, per la paritá di salario a paritá di lavoro, per il diritto di voto. Rivelatasi ben presto oratrice brillante e conferenziera efficace, capace di commuovere e di coinvolgere, fece presto ad attirare l’arcigna sorveglianza poliziesca, mentre la sua fama andava crescendo sempre piú, tanto da farle guadagnare la stima dei piú famosi socialisti romagnoli, come Andrea Costa e Argentina Altobelli, e da essere inserita in un canto popolare dell´epoca: Evviva la Maria Goia/ col suo bel parlar, /se l´Italia la si riunisce/ la faremo ben tremar. Negli anni successivi si dedicó, con particolare fervore, all’attivitá di propagandista, prestando particolare attenzione alle tematiche femminili, sulle quali tenne conferenze anche in Umbria, nelle Marche e in Friuli. Nel 1906, grazie all´iniziativa di Linda Malnati e di Angelica Balabanoff, si svolse, parallelamente al congresso socialista di Roma (7-10/10/1906), un convegno femminile socialista, da cui, fra l´altro, scaturí un Comitato Femminile Nazionale, di cui Maria Goia fu chiamata a far parte. Nello stesso 1906 Maria conobbe e sposó il farmacista socialista Luigi Riccardi (1863-1907) e si trasferí con lui a Suzzara, in provincia di Mantova[3]. Purtroppo il matrimonio duró appena otto mesi, poiché Riccardi morí il 18 marzo 1907. Rimasta vedova, Maria si dedicó completamente all´attivitá politica, svolta prevalentemente nell’area padana. Nel luglio 1907 accettó la segreteria della Camera del Lavoro di Suzzara[4]. Fu allora che si rese conto, in una col noto socialista Achille Luppi Menotti[5], della necessitá di dare impulso al movimento cooperativistico, quale valido supporto contro lo sfruttamento del lavoro e tappa importante della marcia verso il socialismo. Un primo importante passo in questa direzione fu la costituzione di una Cooperativa di produzione metallurgica, per l´impiego di operai disoccupati. La Goia, aliena da ogni forma di violenza, fu sempre decisamente schierata per quello che oggi chiamiamo un “socialismo dal volto umano”, gradualistico, in Italia allora guidato da Filippo Turati, Claudio Treves, Emanuele Modigliani. Il consolidamento del movimento cooperativistico fu appunto uno degli strumenti piú validi cui fece ricorso il riformismo socialista per la costruzione di una societá senza sfruttati e senza sfruttatori. In questa costante e tenace lotta per conquistare sempre nuovi diritti e nuovi traguardi si inserisce, a pieno titolo, anche la sua battaglia femminista per il diritto di voto, che Maria Goia andava propagandando in giro per l’Italia e dalle colonne de La Provincia di Mantova, su cui scriverá dal 1908 al 1911. Il 7 gennaio 1912, in ottemperanza ai deliberati del PSI (congresso di Modena, 15-18/10/1911) apparve un nuovo periodico, organo delle donne socialiste: La Difesa delle Lavoratrici, diretto da Anna Kuliscioff, della cui redazione la Goia fu chiamata a far parte e su cui apparirá piú volte la sua firma, accanto a quelle delle piú famose socialiste dell´epoca. Nel luglio 1912 divenne anche componente dell´Unione Nazionale delle Donne Socialiste, sorta allo scopo di far penetrare le idee socialiste nel mondo femminile. L’anno successivo (1913), dopo l´uscita dal PSI dei socialriformisti bissolatiani, la Goia diventerà segretaria della federazione socialista di Mantova e riprenderá la pubblicazione del suo settimanale La Nuova Terra. Da sempre pacifista convinta[6], antimilitarista intransigente e tenace, fu attiva propagandista contro l’ingresso nella “Grande Guerra” dell´Italia e nel 1915 scrisse, sull’organo della federazione socialista di Ravenna, La Romagna socialista, un appassionato appello alle donne italiane contro la barbarie della guerra a cui contrappose il valore della vita, che cosí concludeva: Un´anima nuova entri nella vita pubblica; un’anima che, non recando il sentimento di antiche convinzioni, di antichi odi, la nostalgia delle violenze vittoriose e rapaci, è più viva, più fresca tutta dell’oggi e protesa tutta verso l’avvenire. Siete voi l’anima nuova, o compagne, o sorelle. Voi date energie alla civiltà presente, è giusto che vogliate salvarla. E quelli che la guerra dovrebbe travolgere, massacrare o macchiare del delitto di avere ucciso, sono vostri figli, vostri fratelli, uomini cari al vostro cuore; quelli che dovrebbero soffrire l’eredità di questa tragica ora, saranno uomini del vostro sangue ancora. O compagne, per il presente e per l’avvenire gridate, coi socialisti, la vostra esecrazione alla guerra! A nulla valsero le lotte dei gruppi neutralisti, con in testa il Partito Socialista Italiano. Il 24 maggio 1915 (tre mesi dopo il drammatico appello della Goia!) …

MUDU E MANDIGA, DURCHES E PAGHE

Mangia e stai zitto, Dolci e pace.| I ministri della difesa e delle riforme istituzionali negli ultimi giorni si sono scomodati per tranquillizzare i sardi sull’importanza delle basi militari in Sardegna l’uno, e sull’ampliamento dei diritti costituzionali dello statuto sardo, l’altro. L’esigenza strategica delle basi e della fabbrica di armi è una importante opportunità di lavoro per i giovani e non, il rafforzamento delle competenze di uno statuto speciale nel rapporto tra stato e regione che dovrebbero tranquillizzare le istituzioni e i cittadini dicono loro, di una delle terra più colonizzata del mondo. Una terra che ormai non fa più parte dell’Italia, originariamente composta di 20 regioni ma ora di una regione in meno. Si chiami come si vuole o si consideri come un fatto democratico, ma la realtà obiettiva e quella di una Sardegna colonia dell’Europa e della Nato. Per la maggior parte dei sardi questa situazione sembra normale ma per chi analizza l’operato delle istituzioni e di norme democratiche, per chi nota la differenza tra la libertà e la schiavitù, così normale non è. Caro sardo, mandiga e mudu e accontentati del pane amaro che ti diamo. In un interessante libro di recente pubblicazione distribuito anche nelle edicole, si propone ai lettori un viaggio nella storia dei dolci sardi, dall’antichità ai giorni nostri. Si potrebbe dire, ma cosa centrano i dolci sardi? Diventando nella storia della nostra terra sin dall’antichità una forma di scambio di segni di pace tra le famiglie ed i conoscenti, strumento di buona accoglienza per gli ospiti e gli amici, i nostri dolci hanno caratterizzato un’arte specifica per le feste locali e confermato sempre la storica ospitalità del popolo sardo verso i forestieri. Mani preziose di nonne, madri con a fianco le bambine e le giovani figlie, hanno trasmesso forme, ingredienti e sapori ancor oggi apprezzati e divenuti vere opere d’arte che fanno dispiacere nell’essere mangiate, Ma la tradizione passa con il trasferimento dei saperi e dei sapori da una generazione all’atra, da sempre. Poiché le tecnologie militari, industriali e di comunicazione sono diventate altamente sofisticate ed al popolo sardo non è permessa nessuna arma di difesa, è rimasta solo l’accoglienza e lo scambio di dolci per confermare la profonda caratteristica di pace delle genti di Sardegna. E allora genti di questa terra paradiso che non è più, bussiamo ai cancelli delle decine di basi militari disseminate in ogni angolo evidente e nascosto di questa terra e con la più pacifica intenzione, offriamo i nostri dolci ai militari, ai loro comandanti, a chi li comanda dalle alte sfere e a chi ne guida le strategie di morte per chiede la pace, ma non solo per questa terra martoriata ma in ogni realtà del mondo in cui la pace non è più un diritto. La Sardegna ha bisogno che quei centri di morte siano trasformati in centri di ricerca per la vita e sulle malattie rare ed ogni altra malattia che affligge il mondo. Nelle zone industriali diventate cattedrali nel deserto e fonti fossili di produzione energetica ma purtroppo anche di conseguenti morti da inquinamento bussiamo ai cancelli degli stabilimenti rimasti e  offriamo dolci per ringraziare della benevolenza dataci in termini occupativi e di salute. A coloro che offrono la tanto sbandierata evoluzione tecnologica come nuova forma di crescita individuale e collettiva e non di una forma di controllo totale delle nostre vite, offriamo dolci, quei dolci che sono la nostra unica arma di pace possibile in un mondo di guerre e di morte. A chi vuole realizzare nel mediterraneo e soprattutto in Sardegna i sardi propongano uno schieramento sui crinali dei monti minacciati dalle pale eoliche ed eccessivi pannelli solari, file di pescherecci sui confini tra il mare e il cielo e cittadini schierati lungo le coste, i promontori sul mare e sulle spiagge, nelle zone non industriali, vicine ai patrimoni archeologici di pregio e di interesse naturalistico, sit-in silenziosi e festanti con dolci sardi. Per il fabbisogno energetico i sardi potrebbero realizzare comunità energetiche pubbliche e private autosufficienti per il consumo energetico regionale se fossero state previste e coperte dai fondi del PNRR destinati invece a reti e servitù per il gas, inutili pale off shore con energie non accumulabili che diventeranno semplice spreco di denaro pubblico appannaggio di piratesche imprese e multinazionali speculative. Non, Mandiga e mudu populu sardu ma dona durches pro sa paghe. Non mangia e zitto popolo sardo ma dona dolci sardi per la pace. E se in ucraina le bambine, le madri e le nonne, all’invasione russa di carrarmati avessero opposto un gesto di offerta di dolci tipici di quel religioso popolo che oggi vive anche tra noi in terra di Sardegna, avessero opposto cesti di dolci tipici, la guerra ormai quasi nucleare sarebbe esplosa in modo così drammatico. I soldati russi avrebbero sparato contro quelle donne portatrici di pace? Poiché tutto era programmato da decenni per avviare il grande reset, non è passato a nessuno per la testa di evitare questa e tutte le altre guerre del mondo con i dolci. Ora se il popolo sardo fosse capace di prendere coscienza della sua realtà, e scoprisse il coraggio di un gesto globale di pace, potrebbe diventare messaggero di questo gesto per tutto il mondo. La non violenza predicata ed attuata da Gandhi ha permesso all’India di diventare indipendente dal dominio inglese, e la stessa non violenza può aiutare la Sardegna a diventare indipendente ed interdipendente come isola della pace per riconquistare gli spazi perduti del paradiso di un tempo. A nulla servono le manifestazioni di parte del cittadini sardi per dichiarare “a foras sas bases e cherimos indipendentzia” se non è l’intero popolo a chiederlo. A nulla servono gli sforzi degli ambientalisti se non si decide che l’incontro tra il nostro cielo e il nostro mare, i nostri monti ed i boschi, le pianure coltivabili ed i terreni incolti o bruciati, sono il nostro e di tutto il mondo patrimonio naturale che ci è stato affidato e che non dobbiamo concedere alla speculazione dei governi e …