di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |
Penso di poter concordare con il papa nel ritenere che quella in atto sia la terza guerra mondiale che fortunatamente, al momento, si limita ad un ridotto (anche se sempre deprecabile) uso delle armi, ma che implica altri due fondamentali elementi quali l’energia e la moneta.
Ritengo cioè che il mondo stia ricercando, attraverso lo scontro confronto tra i suoi poli egemoni, un nuovo assetto mondiale regionalizzato in continentali aree di influenza.
I trenta gloriosi
Nello sviluppo dell’economia mondiale abbiamo assistito, subito dopo la Seconda guerra mondiale, alla fase di confronto tra capitalismo e comunismo reale, confronto vinto dal modello capitalista che nei “trenta gloriosi” ovvero grazie al “compromesso socialdemocratico” è riuscito a diffondere il benessere a strati sempre più vasti della popolazione godendo del privilegio di poter accedere alle risorse energetiche e alle materie prime a buon mercato in gran parte del mondo.
L’egemonia capitalista
Con il crollo del comunismo, scompare l’alternativa cui potevano guardare con interesse le classi operaie, scompare la possibilità di trovare un’alternativa alla logica del capitale, aprendo quindi al profitto, parametro valoriale residuo, l’affermazione di unico principio di governo della società e dei rapporti tra i paesi. La globalizzazione del mercato capitalistico mette in rete tutti i paesi offrendo un ruolo ai produttori di energia, ai produttori di materie prime, ai paesi con basso costo della mano d’opera; il tutto sotto la direzione egemonica del capitale quale unico regista globale. E’ pur vero che è condivisibile l’affermazione per cui “dove circolano le merci non circolano i soldati”, ma è altrettanto vero che quell’equilibrio economico è una dominazione del paese egemone, ovvero gli USA, ed era subito dai paesi subalterni alcuni dei quali, la Cina in particolare, è riuscita ad estrarre da una posizione subordinata la ricerca di una crescita propria con spettacolari risultati quali i tassi di incremento del PIL a due cifre, che in pochi decenni, e con una indubitabile capacità di programmare e pensare a lungo termine dei suoi governanti, è riuscita a disporre delle più avanzate tecnologie e a investire nella ricerca più avanzata delle innovazioni: dalla robotica alla fusione nucleare, dalla I.A. ai computer quantistici.
Il dispiegarsi della crisi di questa fase storica conosce date precise: agosto 1971 viene cancellata la convertibilità in oro del dollaro; primi anni ’80 scoppio della bolla Internet; ingresso della Cina nel WTO; 2008 scoppio della crisi sub-prime. Un momento topico dello sviluppo del modello risiede, all’inizio degli anni 80, nell’innalzamento del tasso reale di interesse USA, che attrae capitali dal resto del mondo, nella delocalizzazione all’estero delle produzioni a basso valore aggiunto e, con la presidenza Reagan, ad una profonda riconversione produttiva ad alto contenuto tecnologico trainata dalla spesa militare.
Si avvia una spirale che si autoalimenta tra USA e Cina; gli USA importano sempre più beni dalla Cina pagandoli in dollari che la Cina utilizza anche per sottoscrivere il debito USA. Una spirale di cui è difficile individuare una conclusione senza danni sia per l’una che per l’altra parte.
La polarizzazione
Si assiste così ad una polarizzazione dai confini ancora indefiniti in corso di delinearsi nello scorrere del tempo. Il primo polo è quello statunitense che riunisce il Nord America, l’Europa, il Giappone, la Corea del sud e l’Australia; il secondo polo fa capo alla Cina estendibile in prima approssimazione ai BRICS.
All’interno di questa grossolana aggregazione esistono grandi problematiche, come ad esempio, l’India che costituisce una situazione a sé, ma più rilevante mi pare la situazione dell’Europa e della Russia.
E l’Europa?
Se si volesse pensare all’Europa come ad un polo a livello continentale che possa agire a pari livello degli altri due poli, non si può prescindere dal rilevare la grande capacità produttiva dell’Europa occidentale, il cui punto debole è quello energetico, e la potenza energetica (petrolio e gas) della Russia (da considerare anche come il paese che per 70 anni è stato il paese dei lavoratori, viva oggi soprattutto di risorse naturali). La sinergia tra le due capacità produttive ed estrattive è di tutta evidenza, e la concretizzazione di questa situazione risiede nel Nord Stream 1 e Nord Stream 2, progetti realizzati da Germania e Russia e assolutamente indigesti per gli USA. In particolare, per il Nord stream 2, ne hanno sempre contestato la realizzazione, approvandolo di malavoglia a condizione che non fosse utilizzato in caso di invasione dell’Ucraina da parte della Russia. L’avversione a questa opera, che avrebbe dato una rilevanza economica enorme ai due paesi, è talmente malcelata che pare ormai plausibile l’accusa fatta da parte della stampa statunitense che vede negli USA gli autori del boicottaggio fatto ai due canali nelle acque svedesi (anche se, a ben pensarci, il paese più danneggiato sarebbe stato l’Ucraina che avrebbe perso molti diritti di utilizzo dei suoi gasdotti). Evidentemente la Ostpolitik non è ben digerita dagli USA cui, tra l’altro, preme esportare il suo gas liquefatto a tutti i paesi europei che escono dalla dipendenza energetica dalla Russia.
Esiste quindi un duplice nodo che, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina, i vari paesi dell’Europa occidentale devono, se solo volessero uscire da una subordinazione acritica nei confronti degli USA, cercare di sciogliere.
Il primo nodo è l’atteggiamento verso la Russia, il secondo quello verso la Germania.
Il primo nodo
Anche la Russia ha un problema speculare a quello europeo: essere parte integrante dell’Europa essendone quindi anche soggetto trainante o asservirsi militarmente ed economicamente alla Cina?
E’ lo stesso nodo che ha l’Europa: divenire con la Russia un terzo polo tra USA e Cina, capace di autonoma gestione internazionale costituendo non solo economicamente ma anche militarmente e quindi monetariamente un possibile preventore dello scontro USA-Cina o rimanere obbediente appendice dell’egemonia USA tramite la NATO?
E’ una scelta che al momento non si pone, che nessun politico si pone ma che gli USA, nelle analisi del pentagono, hanno sicuramente ben presente. La diffidenza degli USA verso la Germania si legge nella elaborazione del modello strategico GeRussia che nasce dall’esame dell’intrinseco legame politico, economico e persino militare che nel corso della storia ha tenuto insieme Germania e Russia ed ha sempre costituito un interrogativo nello studio degli equilibri geopolitici del vecchio continente.
Ma anche l’Italia ha una grande tradizione di rapporti bilaterali con la Russia, basti ricordare Togliattigrad, e quello straordinario accordo NATO-Russia di Pratica di Mare, personale trionfo sulla scena internazionale di Silvio Berlusconi. A proposito di Berlusconi e della sua recente uscita sul mancato rispetto degli accordi di Minsk voglio ricordare che quando Berlusconi parla delle repubbliche autonome di Donetsk e Luhansk non fa altro che riferirsi alle due repubbliche separatiste presenti e sottoscrittrici degli accordi di Minsk; accordi che prevedono che l’Ucraina si obblighi a una riforma costituzionale sul decentramento territoriale.
Il secondo nodo
Dalla sua nascita, l’euro mostra una contraddizione: è sottovalutato rispetto all’area ex-marco supportando la vocazione mercantilista della Germania, mentre è sopravvalutato rispetto all’area francese ed italiana. Inoltre, l’essere sistematicamente a credito per un paese mercantilista presuppone che dall’altra parte, anche all’interno della comunità, ci siano paesi sistematicamente a debito. Ne deriva che prima o poi i paesi in debito vadano in default causando problemi anche al paese creditore: il succo del MES è tutto qui; in quella deprecabile evenienza il fondo, finanziato da tutti i paesi della comunità, va alla fine a evitare la perdita di credito da parte del paese esportatore.
L’Europa dall’atlantico agli Urali
L’ipotesi di una Europa dall’atlantico agli Urali (e anche oltre) è decisamente naufragata per la politica USA, a mezzo NATO, di scongiurare questa ipotesi e per l’imbecillità del comportamento di Putin. Dal crollo dell’Unione Sovietica, nonostante la formale promessa che la NATO non avrebbe superato la linea dell’Elba, l’accerchiamento nei confronti della Russia è stato una costante. E’ certamente vero che i paesi ex-sovietici hanno guardato ad ovest per un ragionevole timore delle politiche della Russia, ma è altrettanto vero che la NATO avrebbe dovuto pensare ad aumentare la sicurezza piuttosto che privilegiare il dominio (si pensi alle esercitazioni NATO all’interno della Ucraina dopo il 2014, e all’inserimento in costituzione ucraina dell’obiettivo di divenire paese NATO). Lo statuto NATO prevede che sono i paesi NATO all’unanimità “ad invitare” altri paesi ad entrare nella NATO e ciò al principale fine di rafforzare la sicurezza. Gestire questi “inviti” in modo di, come si diceva, “finlandizzare” una fascia di smilitarizzazione ai confini con la Russia sarebbe, forse, stato più lungimirante. D’altra parte, la reazione di Putin è stata catastrofica: l’invasione dell’Ucraina, infrangendo il diritto internazionale, ha messo in evidenza la debolezza anche militare del paese ed è sfociata nel fallimento diplomatico aggiungendo altri 1.300 km di confine con la NATO essendo la Finlandia candidata ad esservi ammessa.
Energia e moneta
Questi due elementi sono “le armi” non convenzionali che hanno maggior rilevanza in questo contesto bellico. Si pensi, come abbiamo già accennato, alla sostituzione del gas russo con gas USA, si pensi alle conseguenze economiche del mondo produttivo europeo che deve ora confrontarsi con i produttori USA con un costo energetico cinque volte più costoso di quello statunitense, si pensi infine alla Russia che rivolge le sue esportazioni verso Cina ed India, operazione corrispondente al mutamento del fronte bellico.
Ma non basta; recentemente Biden, con la scusa della transizione climatica, ha introdotto l’IRA, l’ Inflation Reduction Act, con cui solleva uno sbarramento daziale contro i prodotti europei; Tesla ha deciso di non costruire più il nuovo stabilimento in Europa ma di costruirlo negli States, Volswagen sta pensando pure di aprire uno stabilimento negli USA al fine di non perdere più le esportazioni delle sue auto in quel paese. Questa mossa rientra nella strategia statunitense dove non è estraneo un ammonimento alla Germania ma che penalizza l’Europa intera.
Come la Russia ha invaso l’Ucraina le sanzioni europee hanno isolato monetariamente quel paese bloccando i sistemi swift che permettono l’internazionalizzazione delle transazioni commerciali. Ecco che la guerra si dota di un nuovo strumento; quello monetario. La Russia ha reagito infrangendo i contratti sottoscritti pretendendo i pagamenti in rubli anziché nei concordati dollari o euro. Questa mossa prelude ad una grossa operazione di DE-DOLLARIZZAZIONE delle transazioni monetarie.
Avere, come gli USA hanno, una moneta usata internazionalmente per le transazioni universali e che viene utilizzata come moneta di riserva da tutti i paesi del mondo, rappresenta quell’”esorbitante privilegio” ricordato da Giscard d’Estaing. La regionalizzazione del mondo comporta, tramite la de-dollarizzazione, la nascita di nuove aree monetarie e la perdita da parte degli USA di un vantaggio di cui gode da quando il dollaro ha sostituito la sterlina come valuta universale.
Pagare in euro o in renminbi le importazioni dai Golfo Persico corrisponde ad una strepitosa battaglia sul campo; usare come riserva il renminbi anziché il dollaro corrisponde ad una avanzata sul terreno bellico.
Ma una moneta universale impiega molti anni a conquistare una posizione dominante anche se limitata a zone regionalizzate; occorre fiducia nell’emittente, confidenza nella sua responsabilità gestionale e, purtroppo è vero, serve anche che alle spalle di una moneta universale ci sia un forte assetto militare. Cosa che l’euro non ha, ma che il renminbi potrebbe avere, anche se la Cina nell’attuale momento di tensione tende a porsi come pacificatore senza schierarsi apertamente (all’ONU si è astenuta nel voto sull’invasione dell’Ucraina) essendo la sua maggior forza (bellica) la capacità di essere l’officina produttiva del mondo e fondando il suo sviluppo sulle esportazioni anche se recentemente ha impostato una politica di incremento dei consumi all’interno.
La scelta europea di perseguire l’etica dei principi anziché quella della responsabilità rischia in questa fase della terza guerra mondiale di far salire ogni giorno di più l’asticella del confronto, cosa che continua a verificarsi a partire dal 24 febbraio 2022. Solo la Cina, ed anche Erdogan, si pongono lo scopo di raggiungere almeno un cessate il fuoco prelusivo di un negoziato. Nessun paese europeo, e tanto meno l’Italia, ha mai imboccato questa strada, percorrendo soltanto quella dell’invio delle armi. Ma veramente il solo modo di porre fine a questa situazione è la vittoria (?) sul campo, dove le guerre energetica e monetaria non sono contemplate.
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