di Pietro Nenni |
All’indomani della firma dell’Italia al Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 Febbraio 1947. Responsabilità storiche e politiche e del fascismo per le quali ancora oggi ne paghiamo un altissimo prezzo.
Il Paese nella massa profonda e compatta del suo popolo ha sentito ieri che la firma posta a Parigi sotto il trattato conchiudeva un periodo e ne apriva un altro. Esso è senza illusioni sui «distinguo» tra firma e ratifica.
Sapeva e sa che l’Italia è stata ridotta dal fascismo e dalla monarchia in condizioni di non poter resistere a nessuna richiesta anche se fosse stata per evenienza più dura ed implacabile di quelle ieri sottoscritte.
Esso sa però che l’avvenire non è compromesso e resta più che mai condizionato alla nostra capacità di sacrificio e di lavoro. I dieci minuti di silenzio disposti dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro non sono stati una sterile protesta, ma un impegno all’operosa ricostruzione del Paese.
Tale vogliamo augurarci che sia il significato della protesta degli ex combattenti del 1918, dei reduci della guerra fascista, degli studenti. Essi devono finalmente intendere che non si serve il Paese con le chiessate che ci hanno disonorato e ridicolizzato per venti anni e che ieri si è tentato di rinnovare.
C’è una sola classe che può salvare l’Italia, è la classe dei lavoratori. Non c’è una riga di giornale borghese che non trasudi falso e inganno. Cosa ha fatto la borghesia per salvare il Paese? Cos’è disposta a fare? Dove sono i suoi titoli a protestare? Che impegno è disposta ad assumre per domani?
Venticinque anni fa, quando essa ha sentito in pericolo suoi privilegi, ha venduto l’Italia al fascismo; nel 1944 l’ha venduta ai tedeschi. E’ bastato che il 10 luglio 1943 due divisioni britanniche ed americane sbarcassero in Sicilia perchè si mettesse a parlare inglese. Oggi parla l’americano di Wall Street. Italiano non sa parlare più.
Ora, perchè l’Italia ritrovi il suo posto nel mondo, noi dovremo parlare l’italiano e l’europeo; ed è un linguaggio questo che conoscono soltanto i nostri operai, I nostri contadini, i nostri impiegati, i nostri tecnici, i nostri intellettuali nella misura in cui si sono liberati dalla tutela e dalla corruzione borghese. Il resto è putredine e sulla putredine non si ricostruisce la Patria.
Mussolini parlando alla Camera aveva detto che il delitto doveva essere considerato opera del suo peggiore nemico. In suo soccorso era venuto subito Farinacci cercando di stabilire che Rossi aveva tradito Mussolini e che il delitto Matteotti faceva parte di un diabolico piano concertato con le opposizioni per rovesciare Mussolini e mettere Rossi al suo posto.
Addirittura sosteneva Farinacci (senza pertanto osare di insistere) che Rossi aveva avuto a Parigi contatti «obliqui» con Luigi Campolonghi ed Alceste De Ambris. Sono pressapoco le cose che Mussolini ha raccontato a Silvestri e delle quali, l’ex redattore del «Corriere della Sera» si è fatto l’incauto mallevatore; con questa differenza che (nella versione mussoliniana) il traditore non sarebbe stato.Rossi, ma Mairnelli ed i mandanti non sarebbero stati gli ppositori, ma gli agrari toscani, timorosi di una collaborazione dei socialisti con Mussolini.
Chi crederà che Mussolini, ove lo avesse potuto, non si sarebbe liberato a tempo dell’accusa, che fu la sua croce, di essere, perlomeno moralmente, responsabile del delitto del 10 giugno?
E invece egli tenne al suo flano. Marinelli nelle più alte funzioni di partito e di Stato e protesse i sicari ai quali era stato ordinato nel giugno 1924 di colpire Matteotti. Proprio ieri occupando l’ozio domenicale a sfogliare delle vecchie carte, mi è venuta sotto agli occhi una notizia del Corriere della Sera dell’8 agosto 1939. Si riferisce ai funerali di Albino Volpi il quale molto probabilmente fu l’esecutore materiale dell’assassinio. E vi si legge che sul feretro del sicario una grande corona di fiori rossi, legata con nastro rosso, recava le parole: «il duce».
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.