Alle origini delle nostre comuni Radici Socialiste!
La foto qui riportata è relativa all’osteria E Parlamintè di Imola, frequentata a quei tempi da Andrea Costa e altri compagni imolesi Socialisti che, da lì a qualche anno fonderanno, nel 1892, il Partito dei Lavoratori italiani, diventato PSI nel 1894.
Nella stessa osteria ci trovavamo noi, allora giovani compagni delle FGCI negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso.
Daniele Scarpetti – Socialismo XXI Emilia Romagna
Bologna, novembre 1871. Sono trascorsi pochi mesi dalla fine della Comune di Parigi, incredibile esperienza rivoluzionaria il cui eco risuona in tutta Europa. In una sala della trattoria-albergo Tre zucchette si riuniscono, nascosti da una coltre di fumo e dal chiacchiericcio degli avventori, un gruppo di sovversivi formato da ex garibaldini di ritorno dalla campagna di Francia e da giovani delusi dal Risorgimento in cerca di nuove idee rivoluzionarie.
L’AUTORITÀ PUBBLICA sosterrà che il gruppo clandestino è composto da «un esercito di cosmopoliti, reclutato nei bassifondi dell’ignoranza» che «combatte con le armi dello sciopero e della violenza e non vedendo che oppressi e oppressori, vuole l’abolizione della ricchezza e della povertà». Si discute sulla necessità di costruire un’organizzazione che si faccia portatrice degli interessi delle classi subalterne e porti a una forma di autogoverno socialista e proletario, come la Comune parigina. Le prime organizzazioni operaie non dispongono di sedi proprie. Utilizzano le osterie per discutere di politica e organizzare riunioni più o meno carbonare.
ALCUNI DEI PARTECIPANTI all’incontro clandestino hanno combattuto in prima persona nella difesa della Francia dall’aggressione prussiana. C’è anche chi ha vissuto l’incredibile esperienza comunarda. Guida il gruppo Erminio Pescatori – capocomico parmense, repubblicano, reduce garibaldino – che ha partecipato alla battaglia di Mentana nel 1867 (il garibaldinismo è elemento fondamentale delle origini del socialismo). Il militante mantiene stretti rapporti con un uomo ricercato dalle polizie di mezzo mondo che da qualche anno si aggira per le campagne italiane predicando rivoluzione e anarchia: l’agitatore russo Michail Bakunin. Al tavolo della trattoria si prende una decisione che si rivelerà molto importante per la storia del proletariato italiano: la fondazione de «Il fascio operaio», una società di lavoratori finalizzata all’organizzazione e all’emancipazione della classe operaia che persegue «l’unione e la solidarietà fra tutti i lavoratori d’Italia e di altre nazioni». Il fascio operaio di Bologna, a cui aderirà lo stesso Giuseppe Garibaldi un mese dopo la fondazione, diventa così la prima sezione emiliana dell’Associazione internazionale dei lavoratori, l’organizzazione degli operai fondata a Londra nel 1864 e passata alla storia come Prima internazionale. In pochi mesi i soci emiliani saranno più di 500.
LE TRATTORIE DI BOLOGNA sono il luogo prediletto della cospirazione politica e le Tre zucchette è una delle preferite dagli internazionalisti. Durante il Primo congresso regionale internazionalista, fissato a Bologna dal 17 al 19 marzo 1872 per ricordare l’epopea comunarda, vi si ritrovano per un pranzo. A tavola si discute dello scontro tra Marx e Bakunin mangiando un bel piatto di pasta all’uovo e bevendo un sincero vino rosso. I commensali, naturalmente, difendono le posizioni dell’anarchico russo arrivato in Italia negli anni ‘60 nel tentativo di organizzare e sobillare i contadini del sud. Senza troppo successo. Il rivoluzionario russo è un omone con la barba bianca e la fronte larga, gran bevitore di vino, birra e naturalmente vodka. Anche in fatto di cibo la sua radicalità non è da meno: ha un appetito formidabile che sbalordisce i commensali. Nelle campagne italiane proletari e intellettuali, un po’ poveri e un po’ pauperisti, guardano con diffidenza quest’uomo che mangia e beve con estrema foga e ingordigia.
SEMPRE ALLE Tre zucchette nel 1874 gli internazionalisti si riuniscono per organizzare un tentativo insurrezionale, una sommossa che deve scoppiare a Bologna per estendersi in tutta l’Italia centrale. Nei ricordi tramandati da vecchi anarchici si racconta che in questa occasione i sovversivi mangiano tagliatelle con ragù e piselli e coniglio arrosto con patate. Un menù tipicamente romagnolo che potrebbe essere il segno del peso politico della componente imolese. L’insurrezione del 7 e 8 agosto è un fallimento e porta all’arresto di 79 militanti che sconteranno 22 mesi di carcere. Alla fine saranno assolti. Tra i fermati figura Andrea Costa, ancora poco più che ventenne. Per la giovane età non ha potuto vivere le epiche battaglie risorgimentali al fianco dell’Eroe dei due Mondi, nonostante nel ‘66 ancora imberbe abbia tentato in tutti i modi di arruolarsi con Garibaldi. L’imolese Costa viene arrestato due giorni prima del tentativo di rivolta mentre Bakunin, giunto a Bologna per guidare l’insurrezione, riesce a scappare in Svizzera travestito da prete.
ALTRO PERSONAGGIO di spicco che finisce in arresto è Teobaldo Buggini, detto Gigione, considerato dal prefetto di Bologna «uno dei più esaltati e pericolosi» e tra i principali istigatori dei moti. Anche Buggini è un garibaldino, ha partecipato alla terza guerra d’indipendenza ma soprattutto è andato volontario in Francia nell’armata dei Vosgi ritrovandosi sulle barricate di Parigi a difendere la Comune. Presente alla fondazione del Fascio operaio Gigione fa il cameriere nella trattoria del Foro boario, fuori porta Mazzini. Un posto frequentato da studenti e artisti, dove si può incontrare anche il professor Giosuè Carducci. La trattoria è soprattutto il luogo di ritrovo dei sovversivi che, sfruttando la confusione del mercato e l’arrivo dei contadini dalle campagne, si scambiano materiale utile alla propaganda. Proprio per questo Buggini è controllato con particolare attenzione dalla questura, la quale sospetta che il suo lavoro da cameriere sia solo una copertura per l’attività politica. Naturalmente anche gli internazionalisti frequentano la trattoria del Foro boario. Ai tavolini del locale avviene l’incontro tra Costa e un altro grande protagonista della vita politica della Bologna di fine secolo: Giovanni Pascoli.
IL PASCOLI È STUDENTE a Bologna, segue le lezioni del Carducci, ama la buona cucina e i manicaretti preparati dalla sorella Mariù come il risotto alla romagnola, quello con funghi e fegatini che declamerà in una poesia: «Che buon odor veniva dal camino! / Io già sentiva un poco di ristoro, / dopo il mio greco, dopo il mio latino!». Il poeta è anche un giovane appassionato di politica che «con la sua cravatta rossa fiammante ed il cappello storto» gira tra osterie e caffè per partecipare a riunioni, scrivere manifesti sovversivi e poesie rivoluzionarie. Si definisce «socialista, rivoluzionario petroliero». Dal ‘75 interrompe gli studi per cinque anni per dedicarsi alla causa socialista, aderisce all’Internazionale e ricopre ruoli importanti: diventa segretario della sezione bolognese e per la corrispondenza estera, collabora ai giornali La plebe e Il martello.
PER TUTTE QUESTE ATTIVITÀ finisce sotto sorveglianza. È considerato uno dei capi dell’organizzazione. In una nota del 30 gennaio 1879 il prefetto chiede di rappresentare al sindaco «la sconvenienza di mantenere al posto di insegnante in un istituto comunale, un individuo di principi contrari non solo alle istituzioni dello stato, ma ben anche ad ogni ordine sociale». Pascoli e i suoi compagni frequentano la trattoria dove lavora Buggini ma a volte, nel tentativo di sfuggire al controllo di agenti e infiltrati, si danno appuntamento altrove. Spesso all’Osteria del sole, una delle più antiche di Bologna, fondata nel 1465 e ancora oggi aperta. Discutono di come far ripartire il movimento, rispondere alla repressione e aiutare i compagni finiti in carcere.
NEL 1879 SI APRE il processo contro 18 internazionalisti imolesi arrestati l’anno precedente per aver manifestato a favore di Giovanni Passannante, giovane cuoco meridionale condannato all’ergastolo per aver attentato alla vita di re Umberto I a Napoli. Dopo l’arresto Passannante viene sepolto vivo in completo isolamento nella torre di Portoferraio, in una cella di due metri per uno, alta un metro e mezzo e situata sotto il livello dell’acqua. È tenuto perennemente al buio con le catene ai piedi. Morirà nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Il Pascoli scrive un’ode in onore del cuoco anarchico che si conclude così: «Colla berretta di un cuoco / faremo una bandiera».
Segue con grande apprensione il processo contro i compagni imolesi che sono infine condannati dal tribunale di Bologna come «associazione di malfattori». Alla notizia della condanna il giovane Pascoli e altri militanti bolognesi si radunano davanti alle carceri di San Giovanni in Monte e cominciano a urlare in solidarietà degli arrestati. Il giovane poeta urla: «Viva la Comune, viva l’Internazionale, viva i malfattori! Avanti vigliacchi sgherri!». La protesta costerà cara al Pascoli che viene arrestato con l’accusa di grida sediziose e oltraggio ai reali carabinieri. Rimarrà in carcere per tre mesi per essere definitivamente assolto il 22 dicembre 1879 dal tribunale correzionale.
Fonte: Il Manifesto
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