È CHIUSA LA PARTITA DI UNA STRATEGIA COMUNE DELLA SINISTRA?

di Riccardo Lombardi |

Il compagno Giorgio Napolitano sul!’ «Unità» del 17 scorso invita, nei modi civili che gli sono consueti, ad un confronto del quale importa, credo, cercare di capire finalità e limiti. Ma anch’io, come egli fa, vorrei «innanzitutto sbarazzare il terreno, se possibile, da inesattezze ed equivoci». Inesattezza ed equivoco sarebbe per Napolitano l’attribuzione da me fatta al PCI di un interesse a che il PSI si dichiari disponibile «per l’appoggio a un centro-sinistra pallido o sanguigno che sia».

Io ho tratto (e continuo a trarre) tale giudizio da una considerazione assai semplice che riassumo come segue: primo punto: il PCI a conclusione o quasi delle trattative per il nuovo governo DC -PSDI-PRI ha deciso e preannunciato, come è suo diritto, l’opposizione. Secondo punto: al tempo stesso il PCI dichiara di ritenere inutile e dannoso lo scioglimento anticipato del Parlamento e preannuncia, per facilitarne la continuità, una opposizione «costruttiva e responsabile» al governo che si formasse. Terzo punto: il solo modo politicamente praticabile perché quel nuovo governo si formi evitando le elezioni anticipate è il sostegno diretto o indiretto, col voto o almeno con l’astensione, del Partito Socialista; su di ciò non esistono dubbi, dato che il PSI si è unanimemente dichiarato disponibile a sostenere solo un governo detto di unità nazionale.

Conclusione: passare all’opposizione (vale a dire rendere impossibile un governo o una maggioranza di unità nazionale) e nello stesso tempo deprecare lo scioglimento delle Camere sono per il PCI due obiettivi contradittori che possono essere resi conciliabili esclusivamente dalla decisione socialista di sostenere, in uno dei modi indicati, il futuro governo. Mi dica il compagno Napolitano se l’attribuire, come io ho fatto, al PCI interesse a sospingere il PSI verso il sostegno di un centro-sinistra pallido o sanguigno, sia una interpretazione arbitraria e non invece una traduzione fedele, ma provvista di una conclusione sottaciuta, della posizione ufficialmente da esso espressa!

Quella or ora esaminata è tuttavia questione minore: ne esistono altre nel discorso di Napolitano che non possono essere catalogate come inesattezze ed equivoci da cui sbarazzare il terreno perché coinvolgono la natura e i rapporti reciproci fra i due partiti storici della sinistra: rapporti che è essenziale collocare nella giusta ottica se si vuole preservare, come io fermamente credo, il massimo di collaborazione operativa di una sinistra aspirante ad essere sinistra di governo.

Napolitano si duole che io attribuisca al suo partito aspirazioni egemoniche sull’area di sinistra e ritorce l’accusa al PSI di farsi guidare da un spinta concorrenziale con l’obiettivo di modificare i rapporti di forza nel campo di sinistra. Ma vivaddio l’una cosa e 1′ altra, spinta egemonica del PCI e spinta concorrenziale del PSI per accrescere la sua forza, sono entrambe pienamente legittime e necessarie considerare, come ho fatto, il comportamento comunista come dettato anche da intenzioni egemoniche non è affatto fargliene addebito o colpa! E’ quel che il PCI ha sempre fatto e, aggiungo, che non può non fare un partito che tende a legare prioritariamente se non ad identificare la sua forza e la sua crescita con quelle del movimento operaio; come altrettanto legittima (anche se non consustanziale con la sua teoria del partito) è da parte socialista lo sforzo ad aumentare forza e rappresentanza nella sinistra che esso a torto o a ragione ritiene oggi ingiustamente sproporzionate (anche per sua colpa) non tanto ai suoi interessi di parte quanto all’interesse globale di una sinistra di governo.

Pretenderebbe forse qualcuno che al PSI sia interdetta la ricerca di nuovi consensi e di nuovi elettori anche nel campo della sinistra, un campo lasciato con troppa noncuranza esposto a chi non si peritava di autorevolmente esortare «a raccogliere nell’ orto del vicino»? La vera questione non è dunque quella della «concorrenza» ma delle regole che devono presiedervi in modo che essa non sia distruttiva ma comporti una crescita ideale e politica di tutta la sinistra, della quale importa l’unità non la confusione. Importante a tal fine sembra essere non l’attutimento di ciò che fa diversi i due partiti, ma la sua ricognizione e attualizzazione (rispetto a motivi oggi sorpassati e ad altri oggi sopravvenuti). Da tale punto di vista la disponibilità al dibattito e al confronto (che non è mai mancato per la verità ma che Napolitano ripropone con maggiore impegno unitario) va, a mio giudizio, attentamente considerato: sotto due aspetti diversi.

Il primo riguarda quello che è stato chiamato dibattito ideologico. A parte gli eccessi polemici, le forzature e le ingenuità inevitabili del resto in un dibattito disperso, a più voci (e non solo a due) e — fortunamente — sprovvisto di regia, quel che preme stabilire è che non sono ammissibili interdizioni e tabù. Se, come sembra, quel che fra socialisti e comunisti viene oggi posto in discussione non è più solo la differenza nei metodi pur nella identità del fine, ma anche tale identità (la «società socialista» certo, ma quale?) non giova ad alcuno rimuovere l’argomento neanche per la preoccupazione (infondata a mio giudizio) che esso sia incompatibile con una politica di sinistra per il cui successo è ne-cessaria la cooperazione ma non l’identificazione delle forze concorrenti.

A tal fine non necessitano (e neanche sono utili) nuove sedi interpartitiche di dibattito, giacché le sedi naturali esistono (e funzionano) e sono i libri, le riviste, i convegni (sedi non sospette a vincoli «rispettosi») e gli stessi dibattiti interni che sottendono nei diversi partiti l’elaborazione delle loro politiche. Mentre per ciò che riguarda le tattiche, quotidiane o no, le intese, le consultazioni e il tentativo di concordare posizioni comuni è fra i nostri partiti una consuetudine che è divenuta via via funzionale alla operatività da entrambi e che certo va rafforzata e possibilmente «istituzionalizzata», ma non inventata. Il piano invece al quale mi sono riferito è quello della elaborazione e messa a punto di un programma comune delle sinistre, fra i partiti «storici» ma anche fra quelle fra le nuove sinistre che intendono operare nell’ambito della Costituzione repubblicana.

Un programma comune, ben inteso, che pur partendo da concezioni dello Stato, della società, dello sviluppo anche diverse sia finalizzato al superamento da sinistra della crisi, alla ricognizione dei canali istituzionali da utiliz-zare e innovare e pertanto alla formazione di una maggioranza e di un governo di sinistra che acceleri il processo di fuoruscita graduale del sistema capitalistico e non più, come sembra essere il corso (cosciente o no) attuale, a un ripristino della sua razionalità manomessa dal sistema di potere democristiano; e che in campo europeo concorra a modificare e rovesciare la tendenza alla fatale rincorsa del modello di sviluppo americano di produzione, di consumo e di produttività oramai bienni -patibile con la disponibilità delle risorse e con la creazione dí un ordine mondiale diverso da quello attuale generatore di conflitti alla lunga non dominabili né circoscrivibili.

Tutto si può dire di una tale prospettiva, tranne che ad essa possa concorrere una democrazia cristiana della quale è lecito supporre mutamenti profondi ma non certamente tali da sopprimerne la ragione d’essere che non è certo una trasformazione socialista del sistema. La risposta di Napolitano su tale essenziale questione leale ma negativa: egli invoca sì una «maggiore unità a sinistra» ma «per rilanciare su basi più solide ed avanzate una politica di unità nazionale e di collaborazione con la DC». Ancora una volta la strategia del compromesso storico, pur ridimensionata formalmente come il PCI è stato infine indotto a fare al livello di un rapporto costituzionale corretto che pur mantenendo validità al sostantivo «compromesso» metteva nell’ombra l’aggettivo «storico», riappare come scelta permanente da valere per l’oggi e per il domani.

Nella sostanza, ma aggiungo anche nella forma, c’è un rifiuto del programma comune, motivato anche se non esplicitamente, con lo stesso argomento che in questi ultimi tre anni mi è stato sempre opposto, cioè che addivenire a un programma comune significherebbe per il PCI optare per l’alternativa e abbandonare il compromesso storico. Significa tutto ciò che la partita è chiusa? E che la prospettiva di una strategia comune della sinistra è definitivamente (per quel poco che di definitivo esiste nella storia e anche nella cronaca ) naufragata? Io non ne sono certo. Ed è la ragione per cui guardo all’mmminente congresso del PCI, non rinunciando all’eventualità che la revisione in corso nel PCI nel senso sia di dare maggiore persuasività all’ eurocomunismo in maniera da fondare la sua integrale legittimazione democratica in se stesso e non nella garanzia altrui, sia di portare a fine la rettifica cautamente iniziata del compromesso storico, possano risultare tali da costituire un passo avanti nella direzione scelta, pur tra tentativi ed errori, dai socialisti che è la creazione di una sinistra di governo. Penso che anche per i comunisti sia questo ultimo un obiettivo prioritario. O no?

Pubblicato sull’Avanti! del 21 Marzo 1979