TUTTO SI PAGA NIENTE SI DIMENTICA

di Pietro Nenni | All’indomani della firma dell’Italia al Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 Febbraio 1947. Responsabilità storiche e politiche e del fascismo per le quali ancora oggi ne paghiamo un altissimo prezzo. Il Paese nella massa profonda e compatta del suo popolo ha sentito ieri che la firma posta a Parigi sotto il trattato conchiudeva un periodo e ne apriva un altro. Esso è senza illusioni sui «distinguo» tra firma e ratifica. Sapeva e sa che l’Italia è stata ridotta dal fascismo e dalla monarchia in condizioni di non poter resistere a nessuna richiesta anche se fosse stata per evenienza più dura ed implacabile di quelle ieri sottoscritte. Esso sa però che l’avvenire non è compromesso e resta più che mai condizionato alla nostra capacità di sacrificio e di lavoro. I dieci minuti di silenzio disposti dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro non sono stati una sterile protesta, ma un impegno all’operosa ricostruzione del Paese. Tale vogliamo augurarci che sia il significato della protesta degli ex combattenti del 1918, dei reduci della guerra fascista, degli studenti. Essi devono finalmente intendere che non si serve il Paese con le chiessate che ci hanno disonorato e ridicolizzato per venti anni e che ieri si è tentato di rinnovare. C’è una sola classe che può salvare l’Italia, è la classe dei lavoratori. Non c’è una riga di giornale borghese che non trasudi falso e inganno. Cosa ha fatto la borghesia per salvare il Paese? Cos’è disposta a fare? Dove sono i suoi titoli a protestare? Che impegno è disposta ad assumre per domani? Venticinque anni fa, quando essa ha sentito in pericolo suoi privilegi, ha venduto l’Italia al fascismo; nel 1944 l’ha venduta ai tedeschi. E’ bastato che il 10 luglio 1943 due divisioni britanniche ed americane sbarcassero in Sicilia perchè si mettesse a parlare inglese. Oggi parla l’americano di Wall Street. Italiano non sa parlare più. Ora, perchè l’Italia ritrovi il suo posto nel mondo, noi dovremo parlare l’italiano e l’europeo; ed è un linguaggio questo che conoscono soltanto i nostri operai, I nostri contadini, i nostri impiegati, i nostri tecnici, i nostri intellettuali nella misura in cui si sono liberati dalla tutela e dalla corruzione borghese. Il resto è putredine e sulla putredine non si ricostruisce la Patria. Mussolini parlando alla Camera aveva detto che il delitto doveva essere considerato opera del suo peggiore nemico. In suo soccorso era venuto subito Farinacci cercando di stabilire che Rossi aveva tradito Mussolini e che il delitto Matteotti faceva parte di un diabolico piano concertato con le opposizioni per rovesciare Mussolini e mettere Rossi al suo posto. Addirittura sosteneva Farinacci (senza pertanto osare di insistere) che Rossi aveva avuto a Parigi contatti «obliqui» con Luigi Campolonghi ed Alceste De Ambris. Sono pressapoco le cose che Mussolini ha raccontato a Silvestri e delle quali, l’ex redattore del «Corriere della Sera» si è fatto l’incauto mallevatore; con questa differenza che (nella versione mussoliniana) il traditore non sarebbe stato.Rossi, ma Mairnelli ed i mandanti non sarebbero stati gli ppositori, ma gli agrari toscani, timorosi di una collaborazione dei socialisti con Mussolini. Chi crederà che Mussolini, ove lo avesse potuto, non si sarebbe liberato a tempo dell’accusa, che fu la sua croce, di essere, perlomeno moralmente, responsabile del delitto del 10 giugno? E invece egli tenne al suo flano. Marinelli nelle più alte funzioni di partito e di Stato e protesse i sicari ai quali era stato ordinato nel giugno 1924 di colpire Matteotti. Proprio ieri occupando l’ozio domenicale a sfogliare delle vecchie carte, mi è venuta sotto agli occhi una notizia del Corriere della Sera dell’8 agosto 1939. Si riferisce ai funerali di Albino Volpi il quale molto probabilmente fu l’esecutore materiale dell’assassinio. E vi si legge che sul feretro del sicario una grande corona di fiori rossi, legata con nastro rosso, recava le parole: «il duce». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PRIMO DEI DODICI PUNTI

Visto che il dictat statunitense di non parlare dei 12 punti del piano di pace cinese continua a rendere muti politici, giornalisti e anche i compagni che mi leggono, comincerò ad esaminare il primo punto: 1 – Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Le leggi internazionali riconosciute, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dovrebbero essere rigorosamente osservate e la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi dovrebbero essere effettivamente garantite. Tutti i paesi sono uguali indipendentemente dalle loro dimensioni, forza o ricchezza. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e salvaguardare l’equità e la giustizia internazionali. Il diritto internazionale dovrebbe essere applicato in modo equo e uniforme e non dovrebbero essere adottati doppi standard. In positivo vi leggo un ritorno al primato dell’ONU ed ai suoi scopi e principi; ne deriva una sottintesa critica agli USA poliziotto del mondo nel momento in cui si considera il soggetto chiamato a garantire il diritto internazionale; nel concreto vi leggo una critica all’invasione russa in Ucraina così come alle violazioni della sovranità di altri paesi susseguitesi negli anni del dopoguerra. Evidentemente c’è anche un monito rivolto al futuro nello specifico alla situazione di Taiwan, il punto più critico che vedrà opporsi USA e Cina nel prossimo futuro. Ma il punto più interessante mi pare quello che auspica che il diritto internazionale non dovrebbe essere applicato adottando doppi standard; oltre a riferirsi all’opportunismo dei paesi di usare uno standard per le proprie posizioni ed un altro standard per le posizioni dei paesi terzi, vi leggo, forse con una forzatura, una critica al doppio standard nell’applicazione del diritto internazionale tra i paesi vincitori dell’ultimo conflitto e quindi con diritto di veto e gli altri paesi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON C’E’ PIU’ TEMPO DA PERDERE

di Tibet | La vittoria nelle Primarie aperte a tutti (un’originalità curiosa, a dire il vero per una associazione come un partito), di Elly Schlein alla Segreteria del PD ha colto molti addetti ai lavori di sorpresa. Gli iscritti avevano fatto, in maggioranza, una scelta differente. Il più moderato Stefano Bonaccini è senz’altro riconducibile alla tipologia tradizionale di Segretario del PD, proveniente dalle due anime che hanno costituito il partito nel 2007, la post comunista e la cattolico democratica. Elly Schlein è una “liberal”, nel vero senso del termine. Ed ora la scommessa sarà comprendere come i suoi propositi, che, ancora espressi in modo generico, in linea di principio in termini di giustizia sociale, lotta alla crisi climatica e alle diseguaglianze e a tutela del lavoro, non possono che essere condivisi dai Socialisti, senza casa o sparsi nelle micro formazioni collocate a sinistra del PD. Art. 1, la sua componente ampiamente maggioritaria, ha scelto di partecipare al processo costituente per dare vita ad un partito del Lavoro, di contenuti eco socialisti. Insomma, cosa ben diversa dal PD, che, nel corso degli anni, si è trovato molto più sinergico a scelte neo liberiste piuttosto che socialiste, sempre più distante dagli elettori. Mi permetto di nutrire seri dubbi sulla riuscita di una mutazione genetica del PD in senso socialista. Tant’è che alla fine ci si “accontenta” di Elly Schlein, che è uscita dal Pd, proveniente da Possibile ed ora rientrata dentro il partito per guidarlo. Già.  Fino a novembre Elly Schlein si pronunciava in maniera determinata sulla necessità di costituire un soggetto autenticamente eco socialista in questo paese. Ma, come entrata in campagna per le Primarie, la parola “socialista”, condannata alla damnazio memoriae in primo luogo dai calcinacci del muro di Berlino (ma noi non c’entravamo nulla con l’Orso sovietico, almeno dal 1956), poi dalla crisi giustizialista della Prima Repubblica che, nel cancellare tutti i partiti protagonisti dal dopo guerra, offrì la stura per la liquidazione dei principali  asset pubblici a partire dal 1992, cessa di essere presente nel vocabolario di Elly. Perché rischierebbe di divenire urticante con la parte centrista del Partito, che ha ben liquidato il Socialismo come se fosse un vecchio arnese della storia al pari del giacobinismo. (Principio paradossalmente condiviso dalle intenzioni del Terzo Polo che vorrebbe far confluire la tradizione del Socialismo liberale in quella liberal democratica o cattolico liberale. Insomma, facendola definitivamente affogare nei fatti concreti dove Churchill e i fratelli Rosselli si danno la mano…) Quel corpaccione che ha condizionato la politica del partito senza mezzi termini, autocelebrandosi e raccogliendo alla fine la fuga inesorabile di oltre 5 milioni di elettori, venderà cara la pelle, statene certi. Dunque, il nuovo PD sarà presumibilmente liberal, ma di certo non socialista. Fatta l’analisi, occorre valutarne le conseguenze nel medio periodo. E, di certo, la capacità attrattiva di Elly, che sposta il partito verso un movimentismo che Pietro Nenni presumibilmente avrebbe trovato molto somigliante al ribellismo massimalista dei primi decenni del secolo ventesimo, con le dovute proporzioni s’intende, funge da sirena soprattutto nel mondo dell’astensionismo di sinistra, nei 5 Stelle e nelle micro formazioni che si trovano nell’intercapedine e fra 5 Stelle e PD. Insomma, un’area che rischia di essere erosa proprio dalla Schlein, proprio perché divisa. Magari fra un anno o due Elly avrà riportato il partito al 25 per cento, ma avrà il deserto alla sua sinistra. Condannata come miglior fiore di una opposizione permanente, sì, ma ad esserlo a vita. Socialismo XXI, in questi cinque anni di attività ha posto le premesse, attraverso il Tavolo di Concertazione, mutuato dal metodo dell’Epinay francese, per la costituzione in Italia di un autentico partito eco socialista. Il 25 marzo, torneremo ad incontrarci proprio con tutti quei soggetti che pensano che questa necessità sia ineludibile, in primo luogo per il nostro paese. Il tempo stringe. I dubbiosi riflettano. Potranno certo salire sul carro del Perdente (vincitore a sinistra, ma non nel paese, s’intende) oppure rischiare un lento inesorabile prosciugamento fino a divenire frazioni elettorali sempre più vicine allo zero. Dall’opposizione è facile non sbagliare e le divisioni gioveranno alle capacità attrattive della Schlein. Non c’è più tempo da perdere! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FINALMENTE QUALCUNO PARLA DI PACE

I 12 PUNTI DELLA CINA | Sul piano di pace cinese gli USA hanno ordinato un silenzio totale; i nostri giornalisti non ne parlano, i nostri politici pensano solo a inviare armi, la gente comune, come pecore ubbidienti, si disinteressano e ignorano il piano lasciandosi trascinare dalla disinformazione totale. Non dico che il piano sia perfetto ma esiste, è qualcosa di cui si può parlare, su cui si può aprire una discussione e magari farne un’arma per lanciare la pace. Gli USA non vogliono? Diamo prova di maturità e indipendenza e parliamone noi; diffondiamo questo testo e facciamone lo strumento per dare al desiderio di pace una concretezza pregnante. 1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Le leggi internazionali riconosciute, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dovrebbero essere rigorosamente osservate e la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi dovrebbero essere effettivamente garantite. Tutti i paesi sono uguali indipendentemente dalle loro dimensioni, forza o ricchezza. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e salvaguardare l’equità e la giustizia internazionali. Il diritto internazionale dovrebbe essere applicato in modo equo e uniforme e non dovrebbero essere adottati doppi standard. 2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non può andare a scapito della sicurezza di altri paesi e la sicurezza regionale non può essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e le preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi dovrebbero essere presi sul serio e adeguatamente affrontati. Problemi complessi non hanno soluzioni semplici. Dovremmo aderire a un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile, concentrarci sulla stabilità a lungo termine del mondo, promuovere la costruzione di un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile e opporci all’instaurazione della sicurezza nazionale su la base dell’insicurezza di altri paesi e prevenire la formazione di scontri di campo. Salvaguardare congiuntamente la pace e la stabilità del continente eurasiatico. 3. Cessare il fuoco e smettere di combattere. Non ci sono vincitori nelle guerre di conflitto. Tutte le parti dovrebbero mantenere razionalità e moderazione, non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo, sostenere Russia e Ucraina affinchè si incontrino, riprendere il dialogo diretto non appena possibile, promuovere gradualmente l’allentamento e il rilassamento della situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale. 4. Avviare colloqui di pace. Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere la crisi ucraina. Tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti. La comunità internazionale dovrebbe attenersi alla giusta direzione per persuadere la pace e promuovere i colloqui, aiutare tutte le parti in conflitto ad aprire la porta a una soluzione politica della crisi il prima possibile, e creare le condizioni e fornire una piattaforma per la ripresa dei negoziati. La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso. 5. Risolvere la crisi umanitaria. Tutte le misure che contribuiscono ad alleviare le crisi umanitarie dovrebbero essere incoraggiate e sostenute. Le azioni umanitarie devono rispettare i principi di neutralità e imparzialità e impedire la politicizzazione delle questioni umanitarie. Proteggere efficacemente la sicurezza dei civili e stabilire corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili dalle zone di guerra. Aumentare l’assistenza umanitaria nelle aree interessate, migliorare le condizioni umanitarie, fornire un accesso umanitario rapido, sicuro e senza barriere e prevenire crisi umanitarie su vasta scala. Sostenere il ruolo di coordinamento delle Nazioni Unite nell’assistenza umanitaria alle aree di conflitto. 6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra. Le parti in conflitto dovrebbero rispettare rigorosamente il diritto umanitario internazionale, astenersi dall’attaccare civili e strutture civili, proteggere le donne, i bambini e le altre vittime del conflitto e rispettare i diritti fondamentali dei prigionieri di guerra. La Cina sostiene lo scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina e tutte le parti dovrebbero creare condizioni piu’ favorevoli per questo. 7. Mantenere la sicurezza delle centrali nucleari. Opporsi agli attacchi armati contro impianti nucleari pacifici come le centrali nucleari. Chiediamo a tutte le parti di rispettare le convenzioni sulla sicurezza nucleare e altre leggi internazionali e di evitare risolutamente incidenti nucleari provocati dall’uomo. Sostenere il ruolo costruttivo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica nella promozione della sicurezza e della protezione degli impianti nucleari pacifici.  8. Ridurre i rischi strategici. Le armi nucleari non possono essere usate e la guerra nucleare non può essere combattuta. L’uso o la minaccia di uso di armi nucleari dovrebbe essere contrastato. Prevenire la proliferazione nucleare ed evitare una crisi nucleare. Ci opponiamo allo sviluppo e all’uso di armi biologiche e chimiche da parte di qualsiasi paese e in qualsiasi circostanza. 9. Garantire l’esportazione di grano. Tutte le parti dovrebbero attuare l’accordo sul trasporto di cereali nel Mar Nero firmato da Russia, Turchia, Ucraina e Nazioni Unite in modo equilibrato, completo ed efficace e sostenere le Nazioni Unite affinchè svolgano un ruolo importante in tal senso. L’iniziativa di cooperazione internazionale per la sicurezza alimentare proposta dalla Cina fornisce una soluzione fattibile alla crisi alimentare globale. 10. Stop alle sanzioni unilaterali. Le sanzioni unilaterali e le pressioni estreme non solo non risolveranno i problemi, ma ne creeranno di nuovi. Opporsi a qualsiasi sanzione unilaterale non autorizzata dal Consiglio di Sicurezza. I paesi interessati dovrebbero smettere di abusare delle sanzioni unilaterali e della “giurisdizione a braccio lungo” contro altri paesi, svolgere un ruolo nel raffreddare la crisi in Ucraina e creare le condizioni affinchè i paesi in via di sviluppo sviluppino le loro economie e migliorino i mezzi di sussistenza delle persone. 11. Garantire la stabilità delle filiere industriali e di approvvigionamento. Tutte le parti dovrebbero seriamente salvaguardare l’attuale sistema economico mondiale e opporsi alla politicizzazione, alla strumentalizzazione e all’uso di armi dell’economia mondiale. Mitigare congiuntamente gli effetti di ricaduta della crisi e impedire che l’energia, la finanza, il commercio di cereali, i trasporti e altre cooperazioni internazionali vengano interrotte e danneggino la …

UN CAMMINO VERSO LE VERITA’

Un possibile piano B, un Solco per il XXI Secolo | Smontare la Sardegna, indebolirla per renderla sempre più colonia, portando attacchi ai patrimoni naturalistici e ambientali per utilizzarli a fini puramente speculativi tramite false società e multinazionali nei settori produttivi, industriali, ed energetici, che creano soluzioni non occupativi e de culturali, è l’obiettivo. Creato da una regia sottile che proviene da lontano e che si fa forte della non reazione dei cittadini che si affidano a un’inefficace azione di una classe politica che dimostrata sempre più la sua debolezza e il suo fallimento. Il partito sardo si è venduto a una destra estranea, la sinistra è spezzettata e inconsistente, gli idealismi non esistono più come la politica sarda. Rimangono le resistenze dei sindaci e dei lavoratori direttamente coinvolti in termini di prospettiva di lavoro, tutto il resto è bla, bla, bla. Nessuno immagina un piano B, nessuno sembra in grado di sognare un futuro possibile per la Sardegna, ci si attorciglia ancor più su un passato d’ideologie che non esistono più se si guarda solo a un passato che non tornerà più, fatto d’ideali superati e di nostalgie autoreferenziali.  Il metodo di governo regionale totalmente superato non è previsto nei disegni presenti e futuri di chi governa veramente il mondo di oggi e soprattutto del domani, compresi le regioni e le risorse da sfruttare. Tutto ciò che ieri sembrava possibile oggi ha un valore diverso. Non saranno le tinteggiature di facciata politica a ridare valore a quegli ideali che i padri delle democrazie avevano tentato di proiettare nel futuro. La vera democrazia è agonizzante ed è sostituita dalla legge del più forte in termini patrimoniali e finanziari cancellando i vecchi colori della politica democratica. E’ il vero senso di umanità che è stato soffocato. Cosa siamo diventati nelle nostre regioni e nel nostro mondo? Le premesse per una nuova classe dirigente non ci sono perché neanche nelle università la formazione politica non è più insegnata ed i giovani ed i loro sperati figli non sono in grado di sognare un futuro nel quale agire da protagonisti. Eppure sono loro che subiranno le conseguenze di questo disastro basato sulle menzogne e sulla disonestà diffusa  e ne pagheranno i costi. Eppure i giovani sono la nostra speranza. Come immaginare, progettare e dar gambe a un possibile piano b, capace di rivitalizzare il nostro patrimonio del  geo parco sardo ed evitare la gabbia e le servitù delle multinazionali energetiche senza una capacità politica in grado di evitare questo avviato scempio? La scommessa nuorese e di tutta la Sardegna sull’Einstein Telescope, fondamentale evoluzione dell’ex geo parco di Sos Enattos e di Cuzurra, nonostante il totale sostegno politico e scientifico per la sua fattibilità nel sito sardo, si scontra con gli interessi regionali al confine tra l’Olanda, il Belgio e la Germania e il sistema multinazionale dei quali fanno parte per motivi strategici e fiscali, società energetiche che in parte ancora sono di proprietà dello stato italiano, come può essere vinta? La guerra energetica alle pale eoliche off-shore e terrestri che non risparmiano neanche i tratti di mare di fronte alla Costa Smeralda e la sacralità storica di Su Nuraxi sulle colline della Marmilla, e con queste il geo parco del Sulcis, e con distese di pannelli solari sul mare davanti alla diga foranea industriale di Portotorres davanti alla preziosa isola dell’Asinara, come può essere vinta? Il valore umano dei sardi e del loro patrimonio è stravolto con il vecchio e nuovo stratagemma delle false verità e del ricatto occupazionale che sta favorendo l’ennesima emigrazione di massa e lo spopolamento dei territori per facilitare l’ennesima violenza umana e ambientale, che comprende anche il cagliaritano nonostante le statistiche di sviluppo lo pongano al trentesimo posto in Italia mentre le altre province sono collocate agli ultimi posti? Il patrimonio della Sardegna siamo noi con le nostre diversità complementari e storiche, e l’ambiente è il nostro equilibrio perché ancora risorsa non valorizzata e la nostra cultura ne è il motore, se fossimo capaci di renderlo tale. Ogni angolo della nostra isola è da valorizzare e ogni attività economica nei diversi settori, basti che si rispetti quell’equilibrio. Anche la politica governativa sarda ha detto si alla autonomia differenziata nella conferenza delle regioni e fa parte delle 16 che la hanno approvata. La coerenza e tenacia del ministro Calderoli che da anno perseguiva questo obiettivo, spacciandolo per una scelta federalista, lo hanno premiato ma la Sardegna ci ha perso due volte nella frantumazione di una unità che mai è stata unita sui veri diritti dei cittadini e sulla riconferma di un’isola colonia, preferita dagli interessi famelici mondiali per la facilità speculativa e l’accondiscendenza tacita della sua popolazione. A nulla a questo punto serviranno le opposizioni di una regione tardiva alle autorizzazioni che gli ultimi governi hanno approvato ed il governo attuale sta rendendo esecutive. Pochi oppositori a queste strategie non riusciranno mai a frenare questo veloce percorso distruttivo se non con un ultimo e vitale tentativo, superando gli individualismi e i particolarismi finalizzati al nulla. Bisogna incontrarci in tutti i territori per ragionare su un possibile piano b di un futuro umano e patrimoniale della Sardegna. Ci vuole un importante atto di coraggio e di umiltà politica che solo i giovani possono avere e una lungimiranza illuminata che solo le donne sarde hanno per programmare un nuovo progetto possibile per la Sardegna. Persone oneste e fedeli al principio di una diversità nell’unità di una terra paradiso promotrice di un modello che la trasformi in un’isola della pace, quella vera. Manca un anno alle prossime elezioni regionali è c’è ancora il tempo per avviare l’ultima stagione di un risveglio dei sardi e non diventare il popolo perduto di una terra non più paradiso. Non dobbiamo far erodere la nostra libertà e dissolvere il nostro futuro come i 160 kilometri di coste occidentali erose in quest’ultimo anno dal mare, facendo finta di niente. Possiamo avviarci su un cammino verso la verità e un futuro diverso tracciando un solco nuovo sulla …

DONNE E SOCIALISMO: NINA BANG

di Ferdinando Leonzio | La socialdemocrazia danese ha radici antiche, che risalgono all´autunno 1871, quando i tre fondatori, l´insegnante Louis Pio (1841-94), giá direttore del settimanale Socialisten, suo cugino l´editore Harald Brix (1841-81) e l´insegnante Paul Geleff (1842-1928) fondarono il partito socialdemocratico, col nome di “Associazione internazionale dei lavoratori per la Danimarca”, di cui essi costituirono la prima direzione. Lo scopo del nuovo partito era quello di organizzare la sorgente classe operaia sulla base di principi socialisti. Dopo pochi mesi il partito contava 9000 aderenti. Nel 1872 gli attacchi contro le autoritá e l´alta borghesia danese si intensificarono, tanto che venne convocata un´assemblea pubblica di lavoratori, nonostante il divieto delle autoritá. Il 5 maggio 1872 si ebbero percio´ violenti scontri[1] tra polizia e lavoratori. I tre dirigenti furono arrestati e condannati a varie pene e la giovane socialdemocrazia subí uno sbandamento; ma, dopo qualche anno, si riorganizzó e assunse la denominazione “Socialdemocratici” (SD). Nel 1884 entrerá in Parlamento. Nel 2021, ormai alla guida del Governo, i Socialdemocratici danesi hanno festeggiato i 150 anni dalla fondazione del loro partito, buona occasione per fare un bilancio delle loro lunga battaglia e per guardare ai futuri traguardi, come si puó leggere nel loro sito: Molte battaglie sono state combattute e molte vittorie ottenute. Tuttavia, la lotta per ogni essere umano nel mondo per avere la libertà di realizzare i propri sogni è lungi dall’essere vinta. Ecco perché continuiamo a lavorare e combattere le battaglie politiche a livello locale, nazionale e globale. Dunque Il nostro obiettivo è ancora la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà – per tutti. Queste le finalitá cui guarda la socialdemocrazia danese: I progressi raggiunti dalla Danimarca in ogni campo negli ultimi 150 anni sono largamente ascrivibili alla socialdemocrazia danese, che ha trovato la sua strada verso il socialismo. Questo cammino non è stato affatto facile, ma è stato reso possibile grazie al lavoro, all´impegno e alla fede di tanti dirigenti e militanti socialisti. Una delle donne piú influenti ed attive, fra quelle salite ai vertici del socialismo danese e, nello stesso tempo, una delle pioniere nella lotta di emancipazione delle donne è stata certamente Nina Bang. Nina Erlingher, figlia degli immigrati tedeschi Heinrich Ellinger (1826-1914), suonatore di corno nell´esercito e di Charlotte Preuss (1834-83), nacque a Copenaghen il 6 ottobre 1866. Quando il padre fu nominato direttore di un´orchestra militare (1868), la sua famiglia (ben otto figli, di cui lei era la sesta) si trasferí a Elsinore, sulla riva del Sound, stretto che separa la Danimarca dalla Svezia. Lí studio´ con insegnanti privati, per poi accedere, nel 1889, all´universitá di Copenaghen e iscriversi al corso di Storia. Durante il periodo universitario, studiando Marx, divenne una fervente seguace del filosofo di Treviri. Conseguí la laurea nel 1894, con specializzazione nel commercio del XVI secolo, divenendo una delle poche donne laureate della Danimarca. Fu proprio nel periodo in cui studiava che conobbe Gustav Bang, di cinque anni piú giovane[2], storico[3] anche lui. Bang lavorava anche per il quotidiano del partito Social Democrat[4]e scriveva per riviste socialiste europee. Fu anche deputato socialdemocratico al Parlamento (1910-1915) e membro della direzione del partito. Il 23 marzo 1895 i due si sposarono, ebbero una figlia, Merete[5], e costituirono sempre una coppia affiatata e unita anche nel lavoro[6] fino alla morte di Gustav, nel 1915 quando Nina perse, nello stesso tempo, l´amato marito e il compagno di lavoro e di lotta[7]. Nel 1897 i due aderirono al partito socialdemocratico, che, conoscendone il valore, cercó di valorizzarli al meglio. Dal 1898 Nina cominció a lavorare per i Socialdemocratici, scrivendo articoli, pubblicando saggi[8], tenendo discorsi; nel 1903 fu inserita nel Comitato Direttivo del partito; dal 1913 al 1917 fece parte del consiglio comunale[9] di Copenaghen, dove si batté contro l´evasione fiscale dei ricchi e per alleviare la carenza di alloggi per la classe operaia. Nel 1918[10] fu eletta al Landsting[11], dove fece parte della Commissione Finanze. Spesso veniva utilizzata come oratrice nelle assemblee operaie, in cui si predicava l´adesione al socialismo e si indicavano gli obiettivi di lotta dei lavoratori. Nei primi tempi la tematica piú frequente nei suoi discorsi era costituita dalla questione femminile: Vorrei che tutte le donne fossero unite attorno alla domanda di 8 ore di lavoro: tutte, la moglie e la serva, l’operaia, la sarta, la bottegaia, tutte! […]  Molto si alzerà contro le richieste della donna in una normale giornata lavorativa […]; sta poi a lei tenere ben presente l’obiettivo; poi, forte dell’aiuto di tutto il proletariato, porterà avanti la sua lotta: 8 ore di lavoro, 8 ore di riposo, 8 ore di sonno! Fra le 100 donne presenti nella Seconda conferenza internazionale delle donne socialiste riunitesi il 26 e 27 agosto 1910 nella Folkets Hus[12]di Copenaghen, che deliberarono di istituire la “Giornata internazionale della donna”, c´era Nina Bang, che ne era stata la principale organizzatrice, in rappresentanza delle donne socialiste danesi[13]. Tuttavia non si puo´ dire che la Bang sia stata una femminista in senso stretto, anche se combatté molto per i diritti delle donne. Essa credeva, come del resto le altre socialiste dei vari Paesi, che in una società socialista i problemi delle donne sarebbero stati risolti con il nuovo assetto sociale. Un punto di incontro con il femminismo borghese fu comunque la comune lotta per il suffragio femminile. Su questo punto Nina Bang si batté strenuamente in centinaia di occasioni. Quando finalmente fu ottenuto, nel 1915, la sua predicazione si indirízzó alle donne lavoratrici perché rafforzassero i Socialdemocratici, per contribuire alla costruzione di una societá migliore. Lei riteneva che le donne lavoratrici, sia come mogli, sia come madri, dovessero partecipare alla costruzione della nuova societá, anzitutto organizzandosi nei sindacati e lottando per i loro diritti. Riteneva altresí opportuno che le donne, per realizzare una felice convivenza familiare, avessero una professione, onde diventare finanziariamente indipendenti. La questione femminile, insomma, sarebbe stata risolta attraverso la lotta politica e sindacale, per cui erano superflue e fuorvianti le organizzazioni specifiche per le donne. La Bang partecipó a vari congressi della Seconda Internazionale e durante la prima …

LA TERZA GUERRA MONDIALE

Penso di poter concordare con il papa nel ritenere che quella in atto sia la terza guerra mondiale che fortunatamente, al momento, si limita ad un ridotto (anche se sempre deprecabile) uso delle armi, ma che implica altri due fondamentali elementi quali l’energia e la moneta. Ritengo cioè che il mondo stia ricercando, attraverso lo scontro confronto tra i suoi poli egemoni, un nuovo assetto mondiale regionalizzato in continentali aree di influenza. I trenta gloriosi Nello sviluppo dell’economia mondiale abbiamo assistito, subito dopo la Seconda guerra mondiale, alla fase di confronto tra capitalismo e comunismo reale, confronto vinto dal modello capitalista che nei “trenta gloriosi” ovvero grazie al “compromesso socialdemocratico” è riuscito a diffondere il benessere a strati sempre più vasti della popolazione godendo del privilegio di poter accedere alle risorse energetiche e alle materie prime a buon mercato in gran parte del mondo. L’egemonia capitalista Con il crollo del comunismo, scompare l’alternativa cui potevano guardare con interesse le classi operaie, scompare la possibilità di trovare un’alternativa alla logica del capitale, aprendo quindi al profitto, parametro valoriale residuo, l’affermazione di unico principio di governo della società e dei rapporti tra i paesi. La globalizzazione del mercato capitalistico mette in rete tutti i paesi offrendo un ruolo ai produttori di energia, ai produttori di materie prime, ai paesi con basso costo della mano d’opera; il tutto sotto la direzione egemonica del capitale quale unico regista globale. E’ pur vero che è condivisibile l’affermazione per cui “dove circolano le merci non circolano i soldati”, ma è altrettanto vero che quell’equilibrio economico è una dominazione del paese egemone, ovvero gli USA, ed era subito dai paesi subalterni alcuni dei quali, la Cina in particolare, è riuscita ad estrarre da una posizione subordinata la ricerca di una crescita propria con spettacolari risultati quali i tassi di incremento del PIL a due cifre, che in pochi decenni, e con una indubitabile capacità di programmare e pensare a lungo termine dei suoi governanti, è riuscita a disporre delle più avanzate tecnologie e a investire nella ricerca più avanzata delle innovazioni: dalla robotica alla fusione nucleare, dalla I.A. ai computer quantistici. Il dispiegarsi della crisi di questa fase storica conosce date precise: agosto 1971 viene cancellata la convertibilità in oro del dollaro; primi anni ’80 scoppio della bolla Internet; ingresso della Cina nel WTO; 2008 scoppio della crisi sub-prime. Un momento topico dello sviluppo del modello risiede, all’inizio degli anni 80, nell’innalzamento del tasso reale di interesse USA, che attrae capitali dal resto del mondo, nella delocalizzazione all’estero delle produzioni a basso valore aggiunto e, con la presidenza Reagan, ad una profonda riconversione produttiva ad alto contenuto tecnologico trainata dalla spesa militare.  Si avvia una spirale che si autoalimenta tra USA e Cina; gli USA importano sempre più beni dalla Cina pagandoli in dollari che la Cina utilizza anche per sottoscrivere il debito USA. Una spirale di cui è difficile individuare una conclusione senza danni sia per l’una che per l’altra parte. La polarizzazione Si assiste così ad una polarizzazione dai confini ancora indefiniti in corso di delinearsi nello scorrere del tempo. Il primo polo è quello statunitense che riunisce il Nord America, l’Europa, il Giappone, la Corea del sud e l’Australia; il secondo polo fa capo alla Cina estendibile in prima approssimazione ai BRICS. All’interno di questa grossolana aggregazione esistono grandi problematiche, come ad esempio, l’India che costituisce una situazione a sé, ma più rilevante mi pare la situazione dell’Europa e della Russia. E l’Europa? Se si volesse pensare all’Europa come ad un polo a livello continentale che possa agire a pari livello degli altri due poli, non si può prescindere dal rilevare la grande capacità produttiva dell’Europa occidentale, il cui punto debole è quello energetico, e la potenza energetica (petrolio e gas) della Russia (da considerare anche come il paese che per 70 anni è stato il paese dei lavoratori, viva oggi soprattutto di risorse naturali). La sinergia tra le due capacità produttive ed estrattive è di tutta evidenza, e la concretizzazione di questa situazione risiede nel Nord Stream 1 e Nord Stream 2, progetti realizzati da Germania e Russia e assolutamente indigesti per gli USA. In particolare, per il Nord stream 2, ne hanno sempre contestato la realizzazione, approvandolo di malavoglia a condizione che non fosse utilizzato in caso di invasione dell’Ucraina da parte della Russia. L’avversione a questa opera, che avrebbe dato una rilevanza economica enorme ai due paesi, è talmente malcelata che pare ormai plausibile l’accusa fatta da parte della stampa statunitense che vede negli USA gli autori del boicottaggio fatto ai due canali nelle acque svedesi (anche se, a ben pensarci, il paese più danneggiato sarebbe stato l’Ucraina che avrebbe perso molti diritti di utilizzo dei suoi gasdotti). Evidentemente la Ostpolitik non è ben digerita dagli USA cui, tra l’altro, preme esportare il suo gas liquefatto a tutti i paesi europei che escono dalla dipendenza energetica dalla Russia. Esiste quindi un duplice nodo che, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina, i vari paesi dell’Europa occidentale devono, se solo volessero uscire da una subordinazione acritica nei confronti degli USA, cercare di sciogliere. Il primo nodo è l’atteggiamento verso la Russia, il secondo quello verso la Germania. Il primo nodo Anche la Russia ha un problema speculare a quello europeo: essere parte integrante dell’Europa essendone quindi anche soggetto trainante o asservirsi militarmente ed economicamente alla Cina? E’ lo stesso nodo che ha l’Europa: divenire con la Russia un terzo polo tra USA e Cina, capace di autonoma gestione internazionale costituendo non solo economicamente ma anche militarmente e quindi monetariamente un possibile preventore dello scontro USA-Cina o rimanere obbediente appendice dell’egemonia USA tramite la NATO? E’ una scelta che al momento non si pone, che nessun politico si pone ma che gli USA, nelle analisi del pentagono, hanno sicuramente ben presente. La diffidenza degli USA verso la Germania si legge nella elaborazione del modello strategico GeRussia che nasce dall’esame dell’intrinseco legame politico, economico e persino militare che nel corso della storia ha tenuto insieme Germania …

GLI SCIOPERI DEL 1 MARZO 1944: UNA LOTTA OPERAIA CHE HA SEGNATO LA STORIA D’ITALIA

di Franco Astengo | Come sempre ricordiamo gli scioperi operai del 1 marzo 1944. Scioperi rivolti contro l’invasore nazifascista. Scioperi che segnarono un punto di svolta nella Resistenza dimostrandone il radicamento nei settori decisivi della classe operaia delle grandi fabbriche. Da ricordare ancora, in questo giorno così importante per la nostra memoria storica, l’efferatezza che reca sempre con sé la guerra. Gli scioperi del 1 marzo 1944 furono prima di tutto un atto di “fierezza operaia” anche se furono soprattutto il frutto di una meticolosa organizzazione politica. Quella giornata va tenuta ancora come esempio di sacrificio e di dedizione alla causa comune della pace e della dignità umana ricordando il sacrificio dei martiri che in quei giorni subirono la deportazione nei campi di sterminio. Entrarono in sciopero, nelle diverse fasi della lotta, circa mezzo milione di operai nelle grandi fabbriche del Nord. Tra marzo e giugno, furono deportati a Mauthausen circa 3.000 lavoratori scelti tra gli organizzatori degli scioperi e tra i più attivi quadri politici presenti nelle fabbriche. L’Unità del 15 Marzo 1944, sotto l’occhiello : “La classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava :” Lo sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia vinta contro gli oppressori della Patria”. Era quello, in estrema sintesi, il giudizio che l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano forniva allo sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1 Marzo di quell’anno: un vero e proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord, e che è necessario ricordare non soltanto per dovere di cronaca o per ricordare quanti, in quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di sterminio, Mauthausen in particolare. L’intervento della Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si manifestò, infatti, con l’intensificata guerra partigiana sulle montagne e nelle città. L’importanza e l’efficacia di quel contributo deve essere collegato, quando si sviluppa un tentativo di analisi storico – politica, alla vasta azione di massa condotta dalle classi lavoratrici. Solo in quel modo, nella saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi fabbriche, il movimento di Resistenza avrebbe assunto un ruolo decisivo in quella fase cruciale della guerra, alla vigilia dello sbarco in Normandia e mentre sul fronte est le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate verso Occidente. Considerata l’impossibilità di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi sarebbero rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1 Marzo, per mancanza di energia elettrica. L’espediente, subito denunciato da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro. Sin dal primo giorno lo scioperò si rivelò imponente e vide complessivamente la partecipazione di circa mezzo milione di lavoratori. A Milano scioperarono anche le maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo della grande borghesia lombarda non poté uscire. La repressione tedesca fu dovunque feroce. L’ambasciatore Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per cento degli scioperanti. E anche se il mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) si calcola che circa 1.200 operai furono subito deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di Mauthausen. I fascisti s’assunsero il ruolo servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro. A Genova, il capo della provincia Basile lanciò un “ultimo avviso”, minacciando – appunto – la deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria”). Basile era lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito che avrebbe dovuto svolgersi proprio a Genova. Congresso le mobilitazioni di piazza impedirono  si svolgesse aprendo la strada anche alla caduta del governo  monocolore che gli stessi missini stavano sostenendo. La sera stessa del 1 Marzo , a Savona, 150 operai dell’Ilva e della Scarpa e Magnano furono arrestati per essere poi avviati alla deportazione (un carico di savonesi arrivò a Mauthausen il 26 Marzo dopo essere passato per la Casa dello Studente e San Vittore): altri luoghi d’origine della deportazione furono Varese (50 deportati), Prato (dove lo sciopero fu totale e generale), Bologna. Da Torino furono deportati 400 lavoratori (178 appartenenti alla FIAT), da Milano 500, in particolare dall’area di Sesto San Giovanni (Breda, Falck, Marelli, Ansaldo). Il successivo 16 giugno 1944 in adesione all’ordine di Hitler 1.488 operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso del turno di lavoro nelle fabbriche all’Ansaldo, all’Ilva, alla SIAC. Dati sicuramente incompleti. In realtà lo sciopero fu una dimostrazione imponente di forza e di volontà combattiva, fu un movimento di massa che non trova riscontro nella storia della resistenza europea. Ai fini bellici la sua importanza non fu minore, se si pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente paralizzata in tutta l’Italia invasa. Il che equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di battaglia. Complessivamente è possibile riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 Marzo) rileggendo quanto scritto all’epoca, dalla “Nostra Lotta”: “ Lo sciopero generale politico rivendicativo dell’1-8 Marzo assume un’importanza e un significato nazionale e internazionale di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva; indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto …