PARTIGIANI: 650 MILA RESISTENTI INTERNATI NEI CAMPI NAZISTI

Nell’immagine di copertina Partigiani della Brigata Matteotti |


di Mauro Scarpellini – Resp- Amm.vo Socialismo XXI |

La tragica vicenda degli Internati Militari Italiani (IMI) nei territori controllati dai nazisti ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate.

I Militari italiani, catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia,  Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa – perché Lo Stato Maggiore italiano e il Re Vittorio Emanuele III non diramarono ordini l’8 settembre 1943 su come comportarsi – appena fu comunicato l’armistizio firmato dall’Italia con gli angloamericani, caricati su carri bestiame, sono avviati a una destinazione che non conoscono: i lager del Terzo Reich, che erano sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia.

Dopo un viaggio in condizioni disumane che dura anche diversi giorni, appena arrivato nel lager, il prigioniero viene immatricolato con un numero di identificazione che sostituirà il nome e che sarà inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo al quale è destinato. Tra le formalità d’ingresso ci sono anche la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali su appositi documenti di riconoscimento e la perquisizione personale e del bagaglio se ce l’ha.

Sin dal primo momento, ai prigionieri, circa 650mila, viene chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò.  La maggior parte di loro si rifiuterà di collaborare e per la prima volta, con una scelta volontaria di coscienza, dice NO a qualsiasi forma di collaborazione, affrontando sofferenze e privazioni.

In un primo tempo prigionieri di guerra, i militari italiani catturati, deportati e internati nei lager nazisti, il 20 settembre 1943 vengono definiti IMI – Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler che li sottrae alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro per l’economia bellica del Terzo Reich. Sempre per ordine del Führer, d’accordo con Mussolini,  gli IMI il 12 agosto 1944 cambiano nuovamente di status e vengono  trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi.

Decine di migliaia di IMI perdono la vita nel corso della prigionia per malattie, fame, stenti, uccisioni. Coloro che riescono a sopravvivere sono segnati per sempre.

A  partire da febbraio del 1945, le avvisaglie del crollo ormai imminente della Germania sono preludio alla liberazione che avviene in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945, man mano che le truppe inglesi, statunitensi, sovietiche avanzano e trovano campi pieni di prigionieri.

Il rimpatrio, tuttavia, non è immediato e si svolge soprattutto nell’estate e nell’autunno 1945, da Germania, Francia, Balcani e Russia.

Varcato il confine, gli IMI provenienti dalle regioni del Reich vengono solitamente dirottati verso Pescantina, nel veronese, dove è stato istituito un centro di smistamento e accoglienza e dove si organizzano i trasporti verso le destinazioni interne al paese, se possibile.

Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli IMI è presto dimenticata. L’oblio è durato a lungo. Gli storici hanno cominciato ad occuparsi degli IMI solo dalla metà degli anni Ottanta: tardi, ma forse ancora in tempo per far conoscere questa pagina di storia e rendere il giusto omaggio ai «650 mila» che, con il loro sacrificio, contribuirono a portare la libertà e la democrazia nel nostro paese. Se costoro non avessero resistito alle pressioni per arruolarsi con i fascisti repubblichini di Salò, alleati e servi dei nazisti, sopportando sacrifici immensi, e avessero ceduto, arruolandosi, con la speranza di rientrare in Italia, come sarebbe andata la carneficina tra loro e i partigiani armati che agivano in Italia ? Quali ulteriori ferite tra italiani avremmo avuto ? Quanto altri morti ? Grazie eroi. Grazie a voi che opponeste un nobile e importantissimo rifiuto e grazie ai partigiani che agirono con le armi.  

Foto del campo Stalag III D a Berlino

PARTIGIANI IN PATRIA

La Fondazione CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA’ riferisce che sono state 703.716 le domande presentate alle preposte Commissioni statali e regionali per il riconoscimento della qualifica di PARTIGIANO durante la seconda guerra mondiale.

Ci furono donne e uomini che agirono con le armi, poi soprattutto donne che agirono come staffette portaordini anche nelle città, poi civili insospettabili dal regime fascista che in vari modi – e a rischio della loro vita – passavano informazioni, prevenivano rastrellamenti, aiutavano e curavano i feriti, rifornivano di viveri, rubavano armi e munizioni per portarle ai partigiani, stampavano documenti falsi, nascondevano ebrei e antifascisti ricercati.  

In diversi ruoli e gradi di impegno e di rischio molti italiani vollero riscattare l’infame avventura bellica nella quale il fascismo aveva portato l’Italia.

Volevano riconquistare la libertà.

W il giorno della Liberazione, 25 aprile 1945.

Volontari del Battaglione Matteotti