COMBATTERE L’INFLAZIONE


di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Da anni l’inflazione è una parola desueta, non era più quella situazione di sconvolgimento dei prezzi sempre in aumento con gli stipendi o le pensioni che perdevano sempre più potere d’acquisto creando insicurezza e crollo della domanda con conseguente crisi della produzione e nei conti pubblici.

Ora invece i prezzi sono saliti alle stelle e fare la spesa è divenuto un incubo, e nonostante la nostra premier continui ad insistere che l’economia va bene, anche se la produzione industriale è crollata del 7%, temiamo che le conseguenze di questa inflazione ci perseguiteranno per parecchio tempo.

Ho iniziato a leggere il libro di Ignazio Visco INFLAZIONE E POLITICA MONETARIA dove viene fatto un interessante confronto tra la crisi inflazionistica degli anni ’70 e quella attuale.

Le due crisi hanno la stessa natura infatti l’inflazione può avere due cause:

a) un eccesso di moneta in circolazione, un eccesso di domanda un surriscaldamento quindi della situazione economica;

b) una causa esogena, generata cioè da fatti esterni alla nostra economia quali ad esempio la crisi del petrolio negli anni ’70 e quella del gas ai giorni nostri.

Le due crisi in esame sono quindi generate da cause esogene anche se negli anni ’70 l’istituto della contingenza adeguava automaticamente salari e pensioni all’incremento dei prezzi, generando una spinta inflazionistica da domanda. Nella situazione attuale non esiste assolutamente alcuna pressione dovuta alla rincorsa prezzi/salari come invece si registrò nella crisi precedente.

Le due crisi hanno un elemento in comune: il problema energetico; allora fu la crisi del petrolio oggi quella del gas. Ma mentre a quel tempo si ricercò una soluzione alla causa originante la crisi programmando ben 80 centrali nucleari, soluzione vanificata dal referendum post Chernobyl, oggi non stiamo affrontando con ugual determinazione il problema perché ci siamo rivolti ad altri fornitori di gas (dopo aver improvvidamente cancellato la Russia dai fornitori) e poco stiamo facendo con le rinnovabili.

Ma veniamo al libro di Visco, elenca dapprima le differenze che c’erano negli anni ’70: prima di tutto c’era ancora la lira e quindi la politica monetaria oltre alla stabilità dei prezzi doveva affrontare anche la politica dei cambi in un particolarissimo momento, dopo che nell’agosto del 1971 il presidente Nixon dichiarava sepolto il sistema di Bretton Woods annullando la convertibilità del dollaro in oro, determinando la fine dei cambi fissi e quindi una loro variabilità da governare. Ma la cosa che più ha inciso, secondo il governatore Visco, è stato il sistema della contingenza che è alla base della inarrestabile rincorsa prezzi/salari.

Leggiamo infatti a pagina 18 :” ma la tassa dello sceicco (il prezzo del petrolio) sarebbe stata assorbita senza effetti cumulativi, anche se con costi elevati per la perdita di ragioni di scambio, se non si fosse innescata, su un’inflazione già in espansione una debolezza della lira mai più annullata dopo la fine del sistema di Bretton Woods e soprattutto l’indicizzazione pressoché  immediata delle retribuzioni ai prezzi al consumo. La riforma della scala mobile l’aveva infatti portata, alla metà degli anni ’70, su valori non distanti dal 100 per cento; ne derivava una vana quanto dannosa rincorsa trimestrale tra prezzi e salari, accentuata dai tentativi di riaprire il ventaglio salariale, continuamente compresso dall’operare del punto unico di contingenza che comportava scatti uguali per tutti i livelli retributivi.”  

Dopo gli anni settanta sono intervenuti moltissimi accadimenti che hanno mutato la situazione economica del nostro paese: è stata svalutata la lira, siamo entrati nello SME e ne siamo usciti; il meccanismo della scala mobile è stato profondamente mutato; il protocollo Ciampi lega i soli minimi contrattuali all’aumento del costo della vita, depurato però dalla componente energetica; siamo entrati nell’euro (senza tener conto degli avvertimenti di Baffi sulle conseguenze implicite in questa scelta); nel 2007/2008 il disastro dei subprimes ha causato conseguenze pesantissime sull’economia travolgendo poi i bilanci degli stati sovrani e si è infine scaricata su venti milioni di lavoratori disoccupati; la BCE attua il quantitative easing e la BCE acquista i nostri titoli di stato; il superbonus 110% crea PIL con il debito ma i prezzi delle materie prime aumentano ed innescano inflazione; il prezzo del gas, basato sul mercato inficiato dai futures del TTF non tiene conto del prezzo veramente pagato, sale ai massimi e di conseguenza aumentano tutti i prezzi; poi il costo del gas diminuisce sostanzialmente ma i prezzi non diminuiscono gonfiando l’inflazione; i prezzi dei generi alimentari che non sono legati ai costi dell’energia aumentano comunque.

Ma tutti questi elementi, pur elencati dal governatore, non lo preoccupano, essendo la sua relazione concentrata sul pericolo che si riproduca la vana e dannosa rincorsa prezzi/salari anche se ai nostri giorni il pericolo “scala mobile” è decisamente inattuale. Quello che il governatore teme è che i rinnovi contrattuali scaduti nella fase di rinnovo siano orientati a recuperare gli effetti inflattivi occorsi.

Ragionando in termini di classi, possiamo sintetizzare la situazione come segue: non possiamo agire sulla causa esterna principalmente l’energia; è giusto che le imprese energivore o meno rivedano i loro prezzi in funzione dell’aumento del costo dell’energia; tali aumenti si riverseranno sui consumatori finali cui dobbiamo impedire il recupero della perdita di potere d’acquisto e occorre allora evitare che si metta in moto una spirale vana e dannosa di rincorsa prezzi/salari. E’ chiara in proposito la lettera che Guido Carli scriveva a Ugo La Malfa nel dicembre 1973, essa recitava:

A seguito della crisi energetica “la capacità produttiva disponibile subirà una menomazione e la politica di regolazione della domanda globale non potrà non tenerne conto. L’espansione dei redditi monetari dei settori non collegati direttamente al processo produttivo creerà inflazione aggiuntiva, se, come sembra essere certo, l’offerta reale sarà depressa per mancanza di energia. L’aggiustamento si farà con maggior sofferenza dei ceti direttamente produttivi; pagheranno gli operai”.

Lasciare alla Banca d’Italia o alla BCE la gestione della lotta all’inflazione è, a mio avviso, un errore strategico stante la filosofia seguita da questi enti, filosofia che tra l’altro si dimostra con i continui innalzamenti del tasso di interesse fissato dalla BCE, innalzamento che al momento sembra essere più dannoso che proficuo (pensando forse ai movimenti di capitali attratti dai tassi della Fed più che alla competitività delle imprese europee e al costo della vita dei lavoratori).

Urge una politica economica programmatica sia nella scelta delle fonti di energia che nel colpire i profitti generati da un uso predatorio dell’aumento dei costi, nello sviluppo della produttività a livelli atti a compensare le diseconomie esterne. Una linea ben diversa da quella seguita dal governo attuale che non vuol disturbare chi fa (un diverso pensiero va però rivolto al piano Mattei, di cui conosceremo i dettagli a ottobre).