86 ANNI FA L’ASSASSINIO DEI FRATELLI ROSSELLI

di Francesco Somaini – Presidente Circolo Carlo Rosselli Milano | CIRCOLO CARLO ROSSELLI MILANO 86 anni fa, il 9 giugno del 1937, i sicari del gruppo fascista francese della Cagoule, assoldati dal regime mussoliniano, assassinavano in una strada di campagna che conduceva al piccolo borgo normanno di Bagnoles-de-l’Orne i fratelli Carlo e Nello Rosselli. I due stavano rientrando in automobile da una gita nella vicina cittadina di Alençon. Una vettura, apparentemente  guasta, li attendeva in mezzo alla strada, in un tratto di bosco poco trafficato. I due fratelli si fermarono per capire di che si trattasse. Ma era un agguato. Un’altra auto sopraggiunse alle loro spalle. E i due Rosselli vennero trucidati.   Cresciuti in una famiglia dai radicati valori patriottici, civili e risorgimentali (Giuseppe Mazzini era morto in casa Rosselli nel 1872), Carlo e Nello, nati rispettivamente nel 1899 e nel 1900, si erano formati – grazie anche alla madre Amelia, figura di raffinata intellettuale, per certi versi anticipatrice delle tematiche femministe – con profonde convinzioni democratiche, supportate anche da una fortissimo senso etico. All’avvento del Fascismo, nel 1922, pur essendo in effetti ancora molto giovani, i due avevano da subito concepito una convinta e spontanea opposizione alla dittatura e alle sue violenze ed ai suoi soprusi squadristici: un sentimento che soprattutto dopo il delitto Matteotti, del 1924, si era poi tradotto in un assoluto e radicale imperativo di dissenso e di resistenza, e che con gli anni non si era certo placato. Dei due fratelli, Sabatino, detto Nello, era il minore.  Nel 1937, quando venne assassinato, era già diventato un brillante studioso. Le sue ferme convinzioni democratiche e antifasciste erano sempre ben vive, ma nel corso degli anni si erano concretizzate più che altro negli studi storici (cui egli era stato avviato dal suo maestro Gaetano Salvemini): in particolare sulle tradizioni politiche democratiche e libertarie (Mazzini e Bakunin) e sulle origini risorgimentali del Socialismo italiano (Pisacane). Egli fu ucciso nell’agguato di Bagnoles-de-l’Orne perché (con un permesso rilasciatogli con sospetta disinvoltura e celerità dalla questura di Firenze) si era recato in Francia a far visita al fratello Carlo, da tempo esule, in quel lontano villaggio termale in cui egli si trovava per delle cure. Carlo Rosselli, che a suo tempo era stato volontario nella Grande Guerra (al pari di un terzo fratello più grande, Aldo, morto in Carnia nel 1916) in quel 1937, era noto come l’infaticabile animatore, nonché come il riconosciuto punto di riferimento, del movimento antifascista di Giustizia e Libertà, da lui fondato a Parigi, assieme ad altri fuoriusciti, nell’agosto del 1929. In precedenza egli si era peraltro messo in luce come colui che nel 1926 aveva organizzato (assieme a Ferruccio Parri e a Sandro Pertini) l’avventurosa fuga dall’Italia dell’anziano leader socialista Filippo Turati, per la qual cosa era poi stato condannato al confino nell’isola di Lipari, da cui però fuggito nel luglio del 1929 con una rocambolesca fuga in motoscafo, che lo aveva portato per l’appunto in Francia. Al momento dell’agguato che gli tolse la vita, egli si trovava appunto a Bagnoles-de-l’Orne, dove era stato raggiunto anche dal fratello, perché aveva dovuto sottoporsi alle cure per una fastidiosa flebite: una trombosi alla gamba che gli impediva quasi di camminare e che lo aveva costretto a lasciare temporaneamente la Spagna, ove era accorso mesi prima alla testa di una colonna di volontari antifascisti italiani, da lui messi in piedi per portare soccorso e sostegno alla causa della Repubblica Spagnola, contro i militari golpisti che stavano tentando di rovesciarla. Prima di recarsi in Spagna, Carlo Rosselli, nella sua veste di capo di Giustizia e Libertà, si era in effetti già da tempo distinto come un indefesso organizzatore politico e come un irriducibile nemico del fascismo (memorabili, tra l’altro, erano state alcune delle imprese da lui promosse, come ad esempio, nel 1930, l’audace volantinaggio aereo su Milano compiuto con un volo partito dal Canton Ticino). Era anche ben noto come una penna dalla fresca e formidabile potenza espressiva. Sin dagli anni giovanili i suoi scritti su testate come la “Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti o come la rivista socialista “Critica Sociale” si erano contraddistinti come dei pezzi ad un tempo forti, lucidi e coraggiosi. E lo stesso poteva dirsi dei giornali da lui stesso co-fondati, come il fiorentino “Non Mollare!” (cui avevano collaborato anche Nello, Ernesto Rossi e lo stesso Salvemini) o come il milanese “Quarto Stato” (con-diretto con il socialista Pietro Nenni), poi entrambi chiusi dal regime mussoliniano rispettivamente nel 1925 e nel 1926. Una volta in Francia aveva poi assunto la direzione della rivista “Giustizia e Libertà”, organo dell’omonimo movimento da lui fondato, dalle cui colonne aveva cercava di dare slancio al fuoriuscitismo antifascista e di tenere in vita, seppure dall’esilio, una ferma voce di opposizione a quel regime che in Italia aveva brutalmente soppresso e soffocato libertà, diritti e democrazia. E non è tutto, perché prima di arrivare ai 30 anni Carlo Rosselli si era rivelato anche un intellettuale di grande e potente lucidità: al tempo del confino liparota (tra il 1927 ed il 1929) aveva scritto infatti il formidabile trattato “Socialismo Liberale” (poi pubblicato in Francia dopo l’evasione), in cui muovendo da una nitida riflessione sui limiti del movimento socialista (spesso prigioniero di un determinismo dogmatico, che lo costringeva ad un’attesa messianica, e non di rado passiva, dell’avvenire), aveva messo in evidenza, con grande capacità analitica come gli ideali di Giustizia e di Eguaglianza propri del Socialismo non potessero in realtà prescindere in alcun modo dalla piena assunzione del principio della Libertà. Le quale Libertà, a sua volta, per essere pienamente tale non poteva evidentemente essere declinata (come troppo spesso avveniva per i Liberali) come una sorta di privilegio riservato a pochi, ma doveva necessariamente estendersi a tutti quanti, per inverarsi quindi proprio nell’egualitarismo dei Socialismo. Il Socialismo Liberale di Rosselli non era quindi da intendersi – come talora lo si mistifica da parte di alcuni sciatti commentatori dei nostri giorni – come una versione blanda e annacquata del Socialismo stesso, ma come una concezione …

TAX EXPENDITURES

Forse per subalternità culturale usiamo questo anglicismo per identificare tutte quelle agevolazioni, sussidi, aiuti, stimoli previsti dalle nostre leggi che si traducono, in deroga al sistema tributario vigente in imposte non riscosse. Queste agevolazioni sono generalmente previste in funzione di un risultato auspicabile, ovvero se tu contribuente fai queste azioni io stato prevedo a tuo favore una riduzione delle imposte da pagare; molto meglio di una riduzione incondizionata ma la verifica se l’obiettivo auspicato è raggiunto è del tutto carente.  Ad esempio partendo dalla constatazione che la produttività del nostro sistema industriale cresce pochissimo se non per nulla, si è pensato che con i bonus per gli investimenti 4.0 che premiano l’acquisto di nuove tecnologie produttive materiali e non,  con l’obiettivo di aumentare la produttività del nostro sistema produttivo e quindi far scattare la golden rule di un aumento salariale pari all’incremento della produttività. Ebbene il controllo, se effettivamente l’acquisto di nuove tecnologie sia andato a beneficio della produttività e quindi dell’aumento dei salari, non viene per nulla effettuato, mentre l’agevolazione fiscale scatta in automatico al momento dell’acquisto della nuova tecnologia. Inoltre occorre approfondire i beneficiari finali delle agevolazioni fiscali, infatti mentre le agevolazioni tipo quelle 4.0 agevolano direttamente il capitale, altre agevolazioni tipo quella del 110% o quella per le auto elettriche, hanno diversi livelli di analisi: in primis hanno uno scopo ecologico ambientale di abbattimento dei gas serra, in secundis dirigono il beneficio verso il consumatore finale ma in conclusione ampliano un mercato (edilizio e delle auto) beneficiando ancora una volta il capitale. Ma attenzione, serve un ulteriore approfondimento: nel caso del 110% l’allargamento enorme del mercato fa ampliare la domanda di prodotti edili ma non ne modifica la produttività, anzi si è assistito alla creazione di migliaia di imprese inattendibili fatte da ex imprenditori  individuali senza professionalità che hanno assunto mano d’opera non qualificata a tempo determinato pronta ad essere dismessa alla fine della commessa. Nel caso dell’industria automobilistica invece si assiste alla necessità di una riqualificazione professionale, dal  motore a scoppio a quello elettrico, che incide sulla riqualificazione professionale anche del lavoro dipendente. Infine, da un punto di vista del bilancio dello stato, tutto ciò si sintetizza in uno sconto fiscale a favore delle imprese (rectius del capitale) a carico della fiscalità generale. E poiché la fiscalità generale basata su Irpef e Iva è quasi totalmente a carico del lavoro dipendente e dei pensionati, questi sconti fiscali diventano un regalo del mondo dei lavoratori in forza o in pensione al capitale. Poiché i benefici fiscali si traducono in maggiori utili distribuibili al capitale questi regali alle imprese si concretizzano infine in regalo al capitale. Se quegli aiuti, effettivamente benefici alle imprese, invece di essere erogati sotto forma di sconti fiscali fossero erogati come partecipazione societaria di un fondo centrale del mondo del lavoro, le imprese godrebbero del beneficio, tale beneficio non si tradurrebbe in maggiori dividendi per i capitalisti, il mondo del lavoro comincerebbe ad attuare, tramite la partecipazione, l’art. 46 della Costituzione. Cosa non indifferente se pensiamo ad un modo di produzione che va via via eliminando lavoro vivo e preordinando un sistema redistributivo in cui robotizzazione e I.A. sono della collettività o altrimenti si prospetta un neo-schiavismo. Tema affrontato dalla festa dell’economia di Trento. Da osservare infine che la modalità di erogazione dei bonus sta sempre più tendendo verso la creazione di “crediti d’imposta” automatici, immediati e monetizzabili immediatamente deducendoli dagli F24 dovuti per il pagamento di imposte e contributi (naturalmente questi crediti d’imposta sono utili aziendali non imponibili), evitando forme come i super o iper ammortamenti che spalmano nel tempo l’effetto benefico. Ma di che importi parliamo? Traggo dall’”Audizione sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti di imposta” edito dalla VI commissione Finanza e Tesoro del Senato della Repubblica, un interessante prospetto: Descrizione 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023           Numero agevolazioni statali 444 466 513 533 602 592 626   Minor gettito (mld) 47,8 54,6 61,7 62,4 68,1 83,2 82           Numero agevolazioni locali 166 170 197 180 184 129 114   Minor gettito (mld) 39,5 35,3 42,3 44,8 44,2 45,4 43,6           Totale numero agevolazioni 610 636 710 713 786 721 740 0 Total minor gettito (mld) 87,3 89,9 104 107,2 112,3 128,6 125,6           PIL tendenziale 1689 1737 1771 1794 1660 1782 1903 1990 % minor gettito su PIL   5,0% 5,1% 5,8% 6,5% 6,3% 6,8% 6,3% Dal quale si rileva che i provvedimenti fiscali agevolativi sono aumentati dal 2016 al 2022 da 610 a 740 e il mancato gettito è aumentato dagli 87,3 miliardi di € nel 2017 ai 125.6 miliardi di € nel 2023. Sono cifre notevoli, enormi, e di fronte al can-can sollevato per l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza, val la pena esaminare quei provvedimenti che valgono dieci volte tanto quel provvedimento quasi cancellato dal governo Meloni. Vediamo allora le 626 agevolazioni statali così come risultano dal RAPPORTO ANNUALE SULLE SPESE FISCALI 2022 (art. 21 c. 11-bis legge 31 dicembre 2009, n.196) Tra le misure elencate estraiamo quelle che, per l’anno 2022, generano un mancato gettito superiore ai 100 milioni di €, classificandoli per missione e specificando il beneficiario, di seguito una sintesi mentre all’allegato A viene esposto un maggior dettaglio: MISSIONE Numero Totale importi   agevolazioni > 100 mln 9: AGRICOLTURA POLITICHE AGROALIMENTARI E PESCA                                                               31 1.992 10: ENERGIA E DIVERSIFICAZIONE DELLE FONTI ENERGETICHE 36 572 11: COMPETITIVITA’ E SVILUPPO DELLE IMPRESE 112 14.405 13: DIRITTO ALLA MOBILITA’ E SVILUPPO DEI SISTEMI DI TRASPORTO 9 0 16: COMMERCIO INTERNAZIONALE  DEL SISTEMA PRODUTTIVO 0 0 17: RICERCA E INNOVAZIONE 6 2.150 18: SVILUPPO SOSTENIBILE E TUTELA DEL TERRITORIO E DELL’AMBIENTE 12 0 19: CASA E ASSETTO URBANISTICO 55 33.991 20: TUTELA DELLA SALUTE                                                                                                                   19 5.683 21: TUTELA  DEI BENI E ATTIVITA’ CULTURALI E PAESAGGISTICI                30 140 22 – 23: ISTRUZIONE SCOLASTICA, UNIVERSITARIA E POSTUNIVERSITARIA      17 971 24: DIRITTI SOCIALI, POLITICHE SOCIALI E FAMIGLIA                                                                    102 7.025 …

SENZA PIU’ IL PSI LA SINISTRA E’ POVERA

POTENZA: “HO DETTO ADDIO A UN PSI ORMAI IN DECLINO” Aldo Potenza non tornerà nelle istituzioni. Ex assessore regionale e lea-der del Garofano, quest’anno compie 80 anni e crede che i compiti da svolgere debbano essere finalizzati “a promuovere una nuova classe dirigente politicamente e tecnicamente adeguata ad affrontare le sfide di un mondo in grande cambiamento per certi versi non senza comprensibili preoccupazioni per il futuro delle nuove generazioni”. Il tempo libero che gli rimane lo dedica “allo studio e alla lettura non impegnativa”. Adesso sta finendo di leggere il terzo libro della Mazzoccato e “un bellissimo libro sul ruolo delle donne nella resistenza scritto con il contributo della … L’ex segretario del Garofano e assessore regionale al Turismo si racconta Aldo Potenza, punto di riferimento del socialismo umbro e non solo. Che fine hanno fatto i socialisti? In Umbria, stando alle ultime amministrative, siamo al minimo storico… O no? Dal 2015 ho rassegnato le dimissioni sia da segretario regionale umbro del Psi, sia dal partito nazionale. Profondi ormai erano i dissensi con le scelte compiute dal partito nazionale. Cito quella di sostenere al referendum confermativo la riforma costituzionale voluta da Renzi, la così detta buona scuola, il job act e altro ancora. Il Psi più che promuovere alleanze, da tempo aveva scelto la strada della piena sudditanza alle scelte politiche altrui nella speranza di salvarsi dal declino dimenticando che in politica o si conquista un proprio spazio attraverso la capacità di elaborare autonome proposte politiche e programmatiche capaci di rispondere alle attese degli elettori o ci si avvia inevitabilmente verso un inarrestabile declino ed è ciò che è avvenuto. In Umbria poi la divergenza si è manifestata anche sul terreno delle scelte elettorali rendendo ormai incompatibile la mia presenza. I risultati credo che parlino molto più di quanto possa scrivere io. È stato disperso in Italia un patrimonio politico e culturale per diverse ragioni e solo da qualche tempo si è cominciato a capire che le conseguenze non riguardano solo i socialisti, ma l’intera comunità politica nazionale. In Umbria si è indebolito oltre ogni negativa previsione un partito che è stato protagonista di grandi intuizioni. L’idea di regione aperta elaborata da Fabio Fiorelli che è simbolicamente presente nella stessa scelta dell’aula del Consiglio regionale. L’intuizione, negli anni ’80, della Regione innovatrice percorrendo le idee poi espresse dalla Mazzucato (ricordo il convegno “innovazione come politica economica dell’Umbria” che poneva la questione di una regione capace di guidare e sostenere lo sviluppo industriale per renderlo più competitivo). A quel tempo sostenemmo anche la scelta delle energie rinnovabili con un convegno dedicato alle risorse energetiche. Così sulle questioni ambientali venne promossa e approvata la legge sull’impatto ambientale delle scelte compiute nei vari campi di attività regionali. Insomma l’elenco sarebbe molto lungo. Recentemente il bravissimo Luciano Taborchi ha scritto un libro che riassume il lavoro politico di quegli anni. Aver dissipato quella cultura politica a mio avviso ha reso più povera la sinistra umbra e ha indebolito le prospettive di crescita della regione. Lei è stato assessore regionale al Turismo, crede le potenzialità dell’Umbria vengano sfruttate fino in fondo? C’è a suo parere una promozione unitaria della regione? Purtroppo con le vicende politiche del 1994 si è arrestata anche l’opera condotta in campo turistico. I progetti erano tanti e molto impegnativi. Riguardavano la promozione in Italia e all’estero.A questo proposito ricordo Umbria Fiction che permise non solo di far convogliare ingenti capitali di varia provenienza in Umbria, di promuovere l’immagine regionale negli Usa, in Ue e nel modo, ma aveva anche l’ambizione di spingere l’Europa a diventare un luogo di promozione di prodotti culturali autonomi e concorrenziali a quelli americani. Ricordo, ma solo per citare alcune iniziative, l’azione svolta in Giappone con la Morozof interamente finanziata da quella società, che riguardava la promozione dell’Umbria con i sentieri medioevali dell’amore. Fu un successo che ebbe il riconoscimento persino del ministero degli Affari esteri italiano. L’azione svolta sul versante organizzativo regionale. Ricordo il Gote di Gubbio. Fu il primo riuscito esperimento di collaborazione pubblico e privata tesa a migliorare i servizi di accoglienza dei turisti. L’idea è che se la promozione del prodotto turistico umbro non si accompagna con una coordinata offerta di servizi locali adeguati alle domande dei turisti il rischio è di creare attese che non sono adeguate all’offerta. Il discorso sarebbe molto interessante e impegnativo e non è questa la sede adeguata a svolgerlo. Altro argomento fu la creazione di un centro di formazione turistica e di elaborazione di piani di investimento turistici ad Assisi a cui parteciparono le università di Perugia, statale e degli stranieri, l’Alitalia, ovviamente la Regione Umbria, l’Enit… Le pubblicazioni che seguirono sono state di aiuto a molti studenti. Ricordo che ad Assisi fu commissionato il piano di sviluppo turistico della Puglia. L’argomento è vasto e non posso affrontarlo in modo esaustivo. Voglio solo amaramente concludere che molte iniziative sono state abbandonate e non c’è più stata una elaborazione programmatica poliennale di ampio respiro. Nella sua attività istituzionale ha presieduto l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese: come stanno le aziende umbre? Un giudizio sintentico sulla giunta regionale? E sull’opposizione? Negli anni ’70 il governo avverti l’urgenza di dotare le regioni di strumenti capaci di affiancare L’Ice nel compito di preparare le piccole e medie imprese ad affrontare i mercati esteri. Era il tempo in cui al nascente istituto regionale non si riconobbe alcuna competenza in materia. Furono quindi promossi i Centri operativi esteri con sede presso le Camere di commercio. Anche in Umbria a partire dal 1971 si istitui un organismo con questa funzione. Io fui assunto il primo aprile, data significativa, di quell’anno al centro operativo dell’Umbria, senza telefono, con una dattilografa a mezzo servizio. L’inizio è emblematico e aiuta a capire l’ambiente in cui fu accolto il compito di lavorare per aiutare le imprese ad affrontare i mercati esteri. Con il tempo poi qualcosa è cambiata, ma il compito di decidere lo sviluppo del centro, che cambiò denominazione diventando centro regionale …

SETTANT’ANNI FA: LA LEGGE TRUFFA

di Franco Astengo | 7 giugno settant’anni fa: gli italiani furono chiamati al voto per le elezioni della II legislatura repubblicana. E’ il caso di ricordare quel passaggio proprio adesso mentre è vigente una formula elettorale dai profili incostituzionali (dopo che altre due sono state bocciate dalla Corte grazie all’iniziativa di singoli coraggiosi nel silenzio delle forze politiche): un tema ormai abbandonato quello della formula elettorale (anzi il tema abbandonato riguarda l’insieme delle norme che regolano il diritto di voto che presentano ormai rilevanti “discrepanze democratiche” non soltanto sul punto della formula che dovrebbe tradurre i voti in seggi parlamentari ma anche, ad esempio, come nel caso del voto all’estero). Effetto “rappresentatività del voto” del resto violentato con la stupida riduzione del numero dei parlamentari avvenuta nel 2020. Andando per ordine: il 18 aprile 1948 nelle elezioni per la I legislatura repubblicana la DC aveva ottenuto il 49,8% dei voti e la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, formando un governo quadripartito presieduto da De Gasperi e comprendente i rappresentanti di Unità Socialista che poi nel corso della legislatura avrebbero formato il PSDI, il PRI e il PLI. Prima dell’inizio della II legislatura si svolsero in Italia, in due tornate, tra il 1951 e il 1952, le elezioni amministrative e si compì, tra De Gasperi e il Vaticano uno “strappo” circa la proposta, rifiutata dal Presidente del Consiglio, per la formazione di un “listone” alle elezioni comunali di Roma comprendente anche i neo-fascisti del MSI. L’esito complessivo della tornata amministrativa ’51-’52 mise in allarme la maggioranza di governo. Infatti, la DC vide diminuire il suo consenso di ben 13 punti percentuali rispetto al 1948. Questo significava che, se lo stesso fenomeno si fosse riprodotto al momento delle elezioni politiche, la geografia politica del Parlamento sarebbe stata profondamente modificata. Inoltre, il dato che emergeva in modo chiaro dai risultati elettorali era quello della tendenza di un sistema che nella sua prima manifestazione era apparso fortemente bipolare (il Fronte Democratico Popolare aveva ottenuto il 31%, quindi i due primi partiti assommavano circa all’80% dei voti su di una partecipazione complessiva del 92,23%), a diventare almeno tripolare a causa della forte legittimazione ottenuta nella competizione, soprattutto al Sud, dal Partito Monarchico e dal MSI. Questo risultato produsse nella classe politica di governo e in particolare all’interno della DC quella che viene comunemente definita come “sindrome di Weimar”: ovvero il timore che i partiti posti ai due estremi dell’arco parlamentare possano strategicamente unire le loro due opposizioni contro il governo e rendere, di fatto, il sistema ingovernabile. In questo clima maturò, alimentata anche dal timore che lo scontro Est-Ovest potesse travalicare i confini della guerra fredda e portare il mondo verso un terzo conflitto mondiale, la decisione di “blindare la democrazia”. Scelta fortemente sostenuta dagli Stati Uniti attraverso l’ambasciatrice Clara Boothe Luce, un esempio di vera e propria “ferocia” anticomunista. Il metodo seguito per ottenere questo risultato fu quello di realizzare un cambio del sistema elettorale in modo da permettere alla formula degasperiana del centrismo di mantenere e consolidare la guida del Paese. Si avviò così, sul finire della I legislatura un acceso dibattito in Parlamento e nel Paese. Dibattito avviato attorno al progetto di riforma elettorale presentato dal ministro dell’interno Scelba nell’ottobre del ’52. Il “progetto Scelba” intendeva promuovere l’assegnazione di un premio d maggioranza del 65% dei seggi al partito o alla coalizione di partiti apparentati che avessero ottenuto un consenso pari almeno al 50% più uno del totale dei voti validi (come si può osservare si trattava, comunque, di un vero e proprio premio di maggioranza). La determinazione con cui il governo perseguì l’approvazione del progetto, dimostrata dall’aver posto la “fiducia” in entrambi i rami del Parlamento (come poi sarebbe accaduto nel 2015 nell’occasione dell’Italikum poi bocciato dalla Corte Costituzionale), l’anomalia delle procedure (in particolare nell’occasione del voto finale al Senato) e le accuse di volontà di manipolazione del risultato elettorale che le opposizioni lanciarono a più riprese alla Democrazia Cristiana restarono nella memoria collettiva attraverso l’epiteto appunto – di “legge truffa”, inventato dalla fertile mente propagandistica di Giancarlo Pajetta. Un dibattito arroventato che ebbe anche importanti conseguenze politiche sui partiti che appoggiavano la DC e all’interno dei quali non mancarono le voci di distinguo fino a provare vere e proprie scissioni che sfociarono nella formazione di liste schierate contro l’apparentamento centrista: da PSDI e PRI, Parri e Calamandrei formarono “Unità Popolare”, dal PLI l’ex-ministro Epicarmo Corbino (che aveva sostituito al ministero dell’Economia Luigi Einaudi, quando questi era stato eletto alla Presidenza della Repubblica) fondò l’Alleanza Democratica Nazionale e si schierò contro la nuova legge anche un’altra piccola formazione di ex-PCI usciti dal partito a causa dello “scisma” jugoslavo e guidata dai deputati Cucchi e Magnani formando l’Unione Socialista Indipendente (USI). Tre gruppi che, alla fine, non ottennero seggi al Parlamento ma le cui percentuali ebbero indubbiamente un peso sull’esito finale della vicenda. Anche la campagna elettorale risultò particolarmente “calda”: il responsabile della propaganda del PCI, Giancarlo Pajetta, inventò anche dopo quello della “legge truffa” il celebre motto dei “forchettoni” rivolto ai notabili democristiani e la stessa DC; o meglio un suo giovane astro emergente Umberto Tupini incappò in un clamoroso infortunio, organizzando a Roma una mostra fotografica sulla “Chiesa del Silenzio” per dimostrare le condizioni di vessazione in cui versava la Chiesa Cattolica nel Paesi dell’Est al “socialismo reale”. Fu, però, dimostrato, che la mostra era composta di fotomontaggi e che i sacerdoti ritratti dietro il filo spinato o stretti dalla guardia dei “vopos” se ne stavano tranquillamente a Roma e si erano prestati come comparse. I risultati elettorali non furono quelli auspicati dal Governo. Rispetto ai risultati delle amministrative la DC dimostrò notevoli doti di recupero (perdendo però rispetto al 1948 circa due milioni di voti), ma alla fine i partiti apparentati non ottennero la maggioranza assoluta per uno scarto minimo di 34.000 voti. Come era già avvenuto per il referendum istituzionale si parlò di brogli. De Gasperi, però, non rivendicò il riconteggio delle schede accettando il risultato …

LA STORICA BANDIERA DEI SOCIALISTI ADRIESI DONATA ALLA CASA MUSEO GIACOMO MATTEOTTI

Conservata per oltre un secolo ora sarà esposta a Fratta Polesine ADRIA (ROVIGO) – L’hanno conservata gelosamente per oltre un secolo ed ora che l’ex circolo socialista Dante Gallani non esiste più, gli ultimi socialisti adriesi hanno deciso di donare uno dei loro simboli più cari e preziosi, la loro storica bandiera, alla Casa Museo Giacomo Matteotti di Fratta Polesine. La cerimonia di consegna del prezioso cimelio avverrà mercoledì alle 17 in sala Cordella alla presenza dei sindaci di Adria e Fratta, Massimo Barbujani e Giuseppe Tasso. Sarà presente alla cerimonia, cui prenderà parte una delegazione di socialisti adriesi, anche la direttrice della casa museo di Matteotti, Lodovica Mutterle. La bandiera sarà consegnata al sindaco di Fratta che successivamente, indicativamente alle 18.10, con una solenne cerimonia, la consegnerà alla casa museo Matteotti. La consegna «Questa – spiega Giovanni Gianni Giribuola – è probabilmente la più antica bandiera socialista del Polesine. Appartiene alla sezione del Psi di Adria. Risale al 1919. Dal 5 all’8 ottobre 1919 a Bologna, nella sala del Bibbiena del teatro comunale, si tenne il XVI Congresso del Psi. I delegati partecipanti decisero in grandissima maggioranza la partecipazione del partito alle elezioni politiche del successivo 16 novembre, sotto il nuovo simbolo della falce e del martello, circondati da una spiga». Era il simbolo della Repubblica russa dei soviet. «Si scontravano – ricorda Giribuola – la mozione massimalista elezionista di Giacinto Menotti Serrati contro quella astensionista di Amadeo Bordiga». Bordiga fu a capo della principale corrente che portò poi alla fondazione del Partito Comunista d’Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso di Livorno del Psi nel 1921. Menotti Serrati invece fu colui che nel 1914 sostituì Benito Mussolini alla direzione dell’Avanti!, conducendo sul quotidiano socialista una forte campagna contro l’intervento italiano nella prima guerra mondiale. Continuò in seguito, dalle colonne dell’Avanti! a condurre una forte polemica contro il nascente movimento fascista. La storia Pur essendo stato contrario alla scissione comunista nel 1921, vi aderì infine nel 1924. «Nonostante la tensione e gli incidenti della vigilia – conclude Giribuola – le consultazioni si svolsero in tutta regolarità. L’affluenza alle urne fu ridotta, 56,6% contro il 60,4% del 1913. Il Psi risultò il primo partito ottenendo 1.835.000 voti, pari al 32,3%, circa il doppio che nelle precedenti elezioni. I deputati socialisti eletti furono 156, triplicando i precedenti. I Popolari, che si presentarono per la prima volta, ottennero 1.167.000 voti, pari al 20,6% e 100 deputati. I gruppi democratici-liberali ebbero tutti insieme 179 seggi, contro i 310 delle elezioni precedenti. Gli altri seggi furono divisi fra radicali, repubblicani, socialriformisti e combattenti.  FONTE: www.ilgazzettino.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIACOMO MATTEOTTI

2004 – COMMEMORAZIONE DI GIACOMO MATTEOTTI in occasione nell’ottantesimo anniversario della morte. Giacomo Matteotti fu figura poliedrica – e davvero si potrebbe dire “dalle molte vite” – che tutte consumò in un gran fuoco di passione e di abnegazione nello studio, nella ricerca giuridica, sociale e politica, nel lavoro diurno e notturno, nella propaganda, nell’organizzazione, nell’amministrazione, nell’impegno nei consigli comunali e provinciali e nel Parlamento nazionale. Sempre consapevole delle proprie scelte e delle rinunce che esse comportavano, sempre pronto anche al sacrificio, sino a quello supremo, e tuttavia animato, quasi sino alla fine, della speranza di potere un giorno trovare la possibilità di conciliare i propri interessi culturali con la strenua difesa degli interessi del proletariato e la non meno strenua difesa della libertà.Matteotti fu studioso di diritto, di diritto penale prima e di pubblica finanza poi; fu organizzatore di leghe bracciantili per il collocamento della mano d’opera in un zona d’Italia devastata dalla miseria, dalle malattie, dall’emigrazione, dalla prepotenza degli agrari; fu amministratore delle pubbliche cose nei comuni e nella provincia del suo Polesine, fu uomo di partito combattivo e coraggioso, fu deputato per ben tre legislature, la terza delle quali fu ahimè ben breve perché la vita gli fu subito tolta. A questo aspetto del Matteotti parlamentare ha prevalentemente indirizzato il nobile suo intervento, in questa Camera dove altre volte Giacomo Matteotti fu degnamente commemorato, il presidente Pierferdinando Casini: perché qui furono dati da Matteotti alcuni dei suoi contributi più impegnati e più significativi, perché qui egli ebbe negli ultimi anni di vita una delle sue sedi preferite, forse la preferita tra tutte, perché qui intese portare parole di protesta, di monito, di preveggenza che fossero intese in tutta la nazione e non solo nel suo collegio elettorale, perché da qui partì il suo esempio in una dimensione che doveva divenire mondiale, perché qui, dal contegno coraggiosamente tenuto contro la dittatura, ebbe origine la sua drammatica fine.Di questa dimensione di Matteotti le parole del presidente Casini hanno dato alta testimonianza, sì che la nostra commemorazione, nell’80° anniversario di quella morte, potrebbe finire qui. Tuttavia, incaricato di qualche contributo più specifico sulle attività di Giacomo Matteotti, cercherò di assolvere il compito, reso ad un tempo più facile e più difficile per la molteplicità e la ricchezza delle biografie su di lui esistenti e degli altri studi che alla sua figura sono stati negli scorsi decenni e fino ad oggi dedicati.Dunque, anzitutto, Matteotti penalista, perché fu negli studi del diritto e della procedura penale che ebbe inizio la sua giovinezza operosa e fu alla loro diligente e informata coltivazione che sembrarono, in un primo momento, unicamente indirizzarsi la sua vita e la sua carriera. Del contenuto di detti studi ho avuto modo di occuparmi, presentando or è poco più di un anno i due volumi di Scritti giuridici, curati con sapienza e con amore dal professore Stefano Caretti, dalle cui pluriennali indagini su ogni aspetto della vita di Matteotti fatalmente trarrò molti riferimenti: in particolare, anche dalle sue raccolte delle commoventi Lettere a Giacomo e delle tenerissime Lettere a Velia, la moglie fidata ed amata che dopo pochi anni di gioia familiare con Giacomo e i tre bambini fu costretta a vivere in una permanente e trepidante lettera causata dalle assenze del marito travolto dagli impegni politici, e non di rado in grave ansietà per la stessa sorte di lui. Gli scritti penalistici di Matteotti vertono sia sul diritto sostanziale che sul diritto processuale (le due materie furono sino al 1938 oggetto di insegnamento congiunto) e non è questa la sede per soffermarvisi. Vorrei invece ricordare brevemente il contesto in cui quegli studi si svolsero. Matteotti apparteneva a famiglia che traeva umili origini da un paesino del Trentino, nella Val di Pejo, donde s’era spostata con il nonno di Giacomo, Matteo, a Fratta Polesine in quel di Rovigo. Il padre di Giacomo, Girolamo, sposatosi ad Isabella Garzarolo, donna di forti capacità e di grandi virtù, con il solerte lavoro di calderaio (lavoratore del rame e venditore diretto dei risultati del proprio lavoro) e con una vita tutta di risparmio ed estremamente oculata, era riuscito a diventare proprietario di vari terreni e fabbricati sparsi nel Polesine, conseguendo così quella media agiatezza che gli consentì di avviare i figli maggiori agli studi superiori, per i quali si dimostravano particolarmente dotati. Girolamo venne a morte assai giovane, nel 1902, quando Giacomo non aveva che diciassette anni. Nell’azienda paterna, accanto alla madre, subentrò per qualche tempo il giovanissimo Silvio, mentre gli altri due figli, Matteo e Giacomo, proseguivano con grande alacrità nei loro studi. Matteo, il maggiore, divenne cultore di economia politica, studiando prima a Venezia e poi a Torino, e pubblicando importanti scritti in materia di lavoro e previdenza sociale, alcuni nella “Riforma sociale” di Luigi Einaudi ed altro in un importante volume, del 1900, dedicato all’assicurazione contro la disoccupazione con particolare riguardo alla Germania e alla Svizzera. Giacomo si volse invece alla criminologia, ai sistemi penitenziari e al diritto penale. Scriverà Luigi Einaudi nel 1925, commemorando Giacomo e ricordando il suo amico Matteo, venuto a morte per etisia sin dal gennaio 1909, che “l’abito scientifico doveva essere in quella famiglia quasi una seconda natura”. Nel gennaio 1919 Giacomo perdette, sempre a causa di etisia, anche l’altro fratello, il minore, Silvio. Addolorato e avvilito da queste premature morti familiari, si allontanò per vari mesi dall’Italia per proseguire i suoi studi in Inghilterra. La sua prima produzione scientifica si svolge appunto in quel biennio che abbraccia il 1910 e il 1911, quando si recò anche in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, in Francia , in Austria e ripetutamente in Germania, sempre a fini di apprendimento delle lingue e di studio; ed il suo libro sulla “Recidiva”, (approfondimento della tesi di laurea svolta con Alessandro Stoppato nel novembre 1907 presso l’Università di Bologna riportando il massimo dei voti e la lode) attesta quanto frutto egli avesse tratto dalla disamina degli ordinamenti e degli scritti d’altri paesi d’Europa. Sennonché la politica, nell’ambito del partito socialista …

L’ALTERNATIVA ALLA DESTRA IN ITALIA SI COSTRUISCE CON I VALORI DEL SOCIALISMO 

L’ultima tornata elettorale in ordine di tempo ha confermato l’ascesa prevedibile in termini di consenso della destra oggi al governo e la non meno prevedibile sconfitta del centro-sinistra. Inutile esprimere giudizi su una debacle annunciata. Il dato politico però rilevante è che coloro che si erano illusi di un effetto Schlein sono rimasti particolarmente delusi. Il PD non ha svoltato con la nuova segreteria, e soprattutto, cosa ben più grave, ha abbandonato quel percorso costituente per costruire qualcosa di nuovo e di dirompente nel panorama politico italiano. Se fosse stata una vera costituente! Cambiare per non cambiare. Ovvero, l’elezione di un nuovo segretario non produce dei passi in avanti, quella necessaria discontinuità, se non è accompagnata da una linea politica chiara, condivisa e coerente, e non dettata da scelte prese in perfetta solitudine. Trasformare un partito non è cosa semplice, si intenda, ma il percorso intrapreso possiamo definirlo errato. Il voto alle amministrative rappresenta un riscontro inequivocabile, formidabile, che in un sol colpo ha cancellato le illusioni di taluni dopo l’elezione di Elly a segretaria del PD, mandando in soffitta le velleità di un PD a vocazione maggioritaria.  Ma i problemi del PD sono quelli della sinistra italiana. Un’area politica senza identità, ancor prima dell’assenza di un vero leader, senza idee e progetti di trasformazione della società. Evocare in queste settimane un certo ”passato” non paga ed è alla lunga penalizzante, se manca un progetto politico per il Paese che guardi al futuro, che abbia una visione del futuro. E che parli alle nuove generazioni. Una crisi, quella dei partiti di sinistra, che in maniera preoccupante coincide con la crisi della democrazia.  La mancanza di una proposta politica e di conseguenza di una alternativa alla destra che si costruisce con le idee e non con gli slogan, pena la marginalizzazione della sinistra, oggi arroccata su sé stessa, autoreferenziale, spocchiosa, lontana dalla società e dai bisogni reali dei cittadini, consegneranno per molto tempo ancora alla destra la guida del Paese senza una svolta.  La soluzione, ritengo, è da ricercarsi nelle diverse dimensioni del nostro vivere e agire.  Il primo passo da compiere è la centralità della persona contro il relativismo neoliberista dettato dall’egoismo. Il secondo passo è la lotta alle disuguaglianze e alle ingiustizie sociali e ambientali. Il terzo passo è il tema della partecipazione democratica riferita non solo alle istituzioni del nostro Paese, ma in special modo ai partiti perché attraverso il confronto aperto, informato, acceso, razionale, si ristabilisce quel riequilibrio, oggi saltato, con le persone. Il quarto passo riguarda il contrasto alla sistematica concentrazione del controllo della conoscenza promuovendo la concorrenza dei mercati e la rimozione di barriere monopolistiche, e considerando la conoscenza o il sapere, un bene primario dell’umanità che ci rende tutti liberi. Il quinto passo riguarda la lotta al precariato per garantire il futuro e il lavoro come strumento di dignità e di emancipazione. Il sesto passo è la giustizia sociale. Il settimo passo la tutela dei diritti politici e civili.  Questi sono i valori del socialismo per ripartire. Su questo terreno siamo tutti impegnati per costruire una società giusta e libera. Per costruire un futuro libero e prospero.  SOCIALISMO XXI è in prima linea da anni nella costruzione di una vera alternativa a sinistra che non prescinda dai valori del socialismo.  L’alternativa alla destra si progetta su solide basi valoriali che rappresentano i capisaldi del socialismo e che devono assurgere a linguaggio universale della sinistra, ancora alla ricerca del paradigma perduto. Ciò non vale evidentemente per Noi. Ed è questo che ci differenzia dall’essere di destra. Quel senso di appartenenza che si identifica in un’idea della società e del mondo volta al cambiamento, allo sviluppo, al progresso, al benessere, senza dimenticare nessuno. Il linguaggio da adoperare per non rincorrere quel mondo neoliberista che ha generato solo differenze sociali, solitudine, confusione, smarrimento.  Di qui si passa, avrebbe detto Bissolati. E da qui si deve ripartire, ma molti ancora una volta fingono di non comprendere, di non ascoltare, e i risultati elettorali sono sotto gli occhi di tutti. Il partito che intendiamo costruire, non da soli ovviamente, ha queste finalità e procederemo speditamente affinchè il tavolo nazionale di concertazione avviato a Roma lo scorso 21 gennaio, possa conseguire il risultato politico che auspichiamo.  Una grande organizzazione, autonoma, indipendente, forte, europeista, di orientamento e/o ispirazione socialista, senza tentazioni reduciste, di sinistra, capace di concorrere al cambiamento nella giusta direzione per costruire un vero consenso attorno agli obiettivi di giustizia sociale, ambientale, del lavoro.  Un partito, non un cespuglietto, fatto di donne e di uomini, insieme responsabilmente per il bene comune, con una prospettiva, con solide basi valoriali, in grado di trasformare la nostra società, di dare risposte e di rappresentare la vera alternativa alla destra di governo. Pronta a lanciare la sfida sul piano politico.  Un obiettivo ambizioso, ma che abbiamo il dovere di raggiungere. A qualunque costo.  Le considerazioni fin qui esplicitate, sono note, anche a quel mondo politico di sinistra, non pienamente consapevole che la svolta è quella propugnata da SOCIALISMO XXI.  Ma il profondo senso di responsabilità verso il Paese, ci impone una reiterazione dei concetti e delle soluzioni politiche fino alla noia a quelli ancora recalcitranti, in attesa di un Messia che non arriverà, fermamente convinti che è l’unica via d’uscita per rilanciare la sinistra in Italia, per costruire una opposizione in Parlamento e nel Paese che ai “NO” avanzi proposte di cambiamento e di soluzione dei problemi.  Sui valori del socialismo è possibile sconfiggere una destra conservatrice, con una visione del mondo settaria, divisiva e con velleità di modifica dell’architettura costituzionale esponendo il nostro Paese al rischio di torsioni autoritarie passando dall’autonomia differenziata alla riforma in senso presidenziale.  “…su fratelli, su compagne, venite in fitta schiera, sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenire”.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare …