di Aldo Potenza – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |
Ripropongo pensando di fare cosa utile, la sintesi, con qualche integrazione, di un mio intervento svolto a Milano nel 2017.
Sono convinto che ogni azione politica è sempre riconducibile a una matrice culturale che ne condiziona l’orientamento e traccia la strada da percorrere. Anche nella confusione che caratterizza l’emergere di nuovi movimenti o partiti, che apparentemente possono indurre a credere che le categorie concettuali tra destra e sinistra siano superate dagli eventi della storia contemporanea, se non ci si fermasse alla superficie, ma si valutassero le conseguenze delle azioni compiute si potrebbe facilmente capire da quale matrice culturale queste sono ispirate. Aggiungo che alla sinistra italiana, e non solo, servirebbe una sorta di Bad Godesgerg capace di rigenerare la sinistra. I socialisti italiani fecero in due tempi la loro Bad Godesberg. Prima con il famoso saggio craxiano che rivalutò Proudhon, successivamente a Rimini dove si indicò l’obiettivo di promuovere i meriti e di sostenere i bisogni, insomma una società che non fa dell’egualitarismo una condizione che comprime e trascura le potenzialità di chi può rappresentare una grande risorsa per lo sviluppo della società in tutti i campi, ma anche una società solidaristica capace di porre al centro del suo impegno il sostegno dei più deboli.
Oggi per unire la sinistra italiana occorre che i post comunisti che scelsero il PD evitando di fare i conti con la loro storia non si rinchiudano nell’adorazione degli antenati in un Pantheon dove figurano Berlinguer o Gramsci, ovviamente la stessa raccomandazione riguarda i socialisti che non possono vivere solo di ricordi, ma sappiano entrambi mettere in discussione il proprio passato per ritrovare le ragioni di una nuova unità che ponga alla base i diritti dell’uomo e sappia guardare al futuro senza nostalgie e con l’ambizione di chi sa che la sconfitta dei populismi di destra e sinistra passa anche attraverso una sinistra capace di non essere sconfitta dalle proprie antiche storie fatte di risentimenti e di anacronistiche nostalgie di un passato che appartiene nel bene e nel male alla storia. E’ frequente ascoltare interventi che sostengono superate le divisioni fra destra e sinistra.
Ovviamente le caratteristiche della destra e sinistra del ‘900 oggi si presentano in forme diverse rispetto al passato, ma questa condizione non può indurci a credere che le questioni di quel tempo siano superate e tutto si risolva in un tecnicismo che non abbia alcun riferimento alle categorie destra e sinistra. La liberalizzazione dei capitali, la pressante spinta verso le privatizzazioni in ogni campo, la richiesta di sempre meno tutele per il lavoro etc, sono tutte riconducibili a precise culture di riferimento ed in particolare alla scuola di pensiero di Milton Friedman e George Stigler che hanno posto il mercato e la libera concorrenza (libera da “interferenze” della politica) come naturale regolatore dell’economia, della finanza e infine delle condizioni dell’uomo. I primi sostegni a tale politica vennero in Italia da Gianni Agnelli, che in una intervista concessa il 30 gennaio 1975 al Corriere della Sera sostenne che “Probabilmente dovremo avere governi molto forti che siano in grado di far rispettare i piani a cui avranno contribuito altre forze oltre a quelle rappresentate in Parlamento; probabilmente il potere si sposterà dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina economica; probabilmente i REGIMI tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libertà personali. Ma non sempre tutto ciò sarà un male.”
Forse è il caso di ricordare che in precedenza fu pubblicato a cura della Trilateral Committee un rapporto il cui titolo era “The Crisis of Democraticy” A questo proposito forse è opportuno ricordare alcune osservazioni che emersero dalla Trilaterale. Nel bel libro di Nadia Urbinati e David Ragazzoni della Columbia University si rivelano alcune “perle” del lavoro prodotto in quella occasione che dopo aver esaminato gli ordinamenti parlamentari di diversi Paesi l’attenzione della Trilaterale si sofferma anche su quello italiano. Il rapporto della Trilaterale dopo aver affermato che ” i democratici sono inclini a schierarsi con l’umanità invece che con l’autorità e le istituzioni” osserva che la governabilità è garantita solo dall’autorità e dalle istituzioni. A tal proposito aggiunge che “l’incapacità delle istituzioni democratiche di resistere alle pressioni che provengono dai cittadini organizzati” è dovuta “all’attivismo sociale che lo Stato alimenta facendosi dispensatore di servizi- il welfare state sortisce l’effetto di debilitare l’autorità dello Stato”. Dopo aver aggiunto che occorre spostare il baricentro delle decisioni dal Parlamento all’esecutivo aggiunge che è indispensabile correggere il sistema istituzionale rafforzando l’apparato repressivo. La governabilità (secondo la declinazione della Trilaterale) diventa quindi un “obiettivo ideale da imporre a una società recalcitrante, in nome di una buona democrazia contro la cattiva”. “La diagnostica si traduce pertanto nel suggerimento, rivolto ai governi quanto agli attori economici delle democrazie occidentali, di intervenire su due fronti: in relazione allo Stato (con la riduzione delle politiche sociali) e in relazione dei cittadini (per correggere l’eccesso di partecipazione e debilitare, scoraggiare o delegittimare i movimenti di protesta).
L’argomento esplicitamente usato è che il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma il segno della funzionalità del sistema: l’apatia è indice di buona salute delle istituzioni democratiche!” Che dire di più? Più recentemente sono poi venute allo scoperto le “cure al sistema democratico” sostenute con gran forza dal mondo dalla finanza ovvero la necessità, in particolare per l’Italia, di modificare la nostra Costituzione considerata a forte impronta socialista e pertanto da “riformare” in modo che la cultura neoliberista possa avere pieno riconoscimento costituzionale. Il recente referendum con la vittoria del no ha momentaneamente sconfitto questo disegno, ma sia l’orientamento dell’UE, sia l’incapacità del PSE che con le politiche presentate come modernizzazioni ha lentamente smarrito le tradizionali politiche socialdemocratiche e ha favorito l’affermarsi della cultura e dell’azione di governo ispirata al neoliberismo, rendono estremamente fragile la difesa rappresentata dalla Costituzione.
I socialisti e la sinistra democratica, al contrario dei neoliberisti, pur sostenendo la libera iniziativa, pongono al centro della loro azione le condizioni dell’uomo e non sono disponibili ad alienare i diritti dei cittadini e dei lavoratori in nome delle forze economiche e finanziarie che dominano il mercato. Appare in tutta evidenza che la difesa di quei diritti, oltre a rappresentare la linea di demarcazione fra destra e sinistra, riguarda anche la questione democratica, come l’intervento di Agnelli chiarisce oltre ogni dubbio.
Non siamo conservatori delle conquiste del ‘900, sappiamo che molte condizioni sono mutate, ma pensiamo che si possa e si debba cambiare mantenendo sempre al centro della nostra azione le condizioni di vita delle persone. Un esempio riguarda il job act. Pochi ricordano che Renzi prima di diventare presidente del consiglio tra le azioni di riforma del mondo del lavoro affrontò la questione dei comitati di sorveglianza dei lavoratori nelle grandi imprese. Una iniziativa che con caratteristiche diverse fu affrontata già nel lontano 1944 dai socialisti D’Aragona e successivamente, nel 1946, da Morandi con un disegno di legge elaborato dal socialista Massimo Severi Giannini. Evidentemente strada facendo Renzi si è reso conto che le forze economiche italiane hanno sposato la cultura politica neoliberista e non hanno intenzione di creare strutture che introducano forme avanzate di democrazia industriale. Vogliono libertà di licenziare trattando il lavoro alla stregua di merce sul mercato. Renzi li ha accontentati diventando, come Agnelli anticipò, il capo del governo al servizio delle tecnocrazie economiche e finanziarie.
Le conseguenze devastanti del neoliberismo, provocando un profondo malcontento che assume sempre di più un atteggiamento rancoroso verso la politica e spesso persino verso le Istituzioni, si traducono nell’elezione di Trump negli USA e nella nascita di tanti partiti e movimenti di protesta che rischiano di destabilizzare il disegno europeo che appare sempre più lontano dal progetto iniziale. Il deserto politico culturale che è stato prodotto dalla falsa rivoluzione del ’94 e dalla incapacità dei post comunisti è devastante. I comunisti, incapaci di fare i conti con la loro storia rifugiandosi in un contenitore che già nel 2002 Barbara Spinelli nel bel libro il “sonno della memoria” criticava nel seguente modo “Orbi della vecchia identità, finiranno col dimenticarla del tutto e non sapranno di conseguenza neppure metterla dawero in questione. Indossatana una nuova, non sapranno portarla con disinvoltura, dovendo fingere un patrimonio che comunque non possono amministrare perfettamente. Il destino che hanno di fronte, di partito senza storia nè fisionomia, si preannuncia triste”, oggi sono sconfitti nella casa che hanno contribuito a costruire e chi l’ha abbandonata rischia di apparire nostalgico di una storia non più riproponibile. Ai socialisti spetta un grande compito che non si risolve nel ricomporre il mosaico delle loro disperse forze, ma nel ricostruire una forza che contamini della loro cultura anche chi oggi ha scelto la strada dell’autonomia a sinistra del PD.
Milano, 25/05/2017
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.