di Franco Astengo |
Nelle elezioni spagnole del 23 luglio le dichiarazioni di maternità, cristianità, nazionalità non hanno portato fortuna all’estrema destra di Vox, già indicata dai sondaggi come il futuro partner di governo di una coalizione con il PP.
Vox è scesa da 3.656.979 voti ottenuti nel 2019 ai 3.033.744 del 2023 cedendo 19 seggi e fermando la propria rappresentanza al Congreso a 33 deputati.
E’ questo il dato di sicuro maggior rilievo della competizione elettorale del 23 luglio, al di là della prospettiva di governo che si presenta quanto mai complessa con l’evidente rischio di un ritorno alle urne.
Almeno dal nostro punto di vista rispetto alle previsioni della vigilia il risultato spagnolo è sicuramente migliore anche di quanto in queste ore non stiano facendo rilevare dagli analisti.
E’ il caso allora di verificare che cosa è capitato in quest’occasione analizzando specificatamente la particolarità spagnola della formula elettorale: il meccanismo di traduzione dei voti in seggi.
Sotto quest’aspetto la formula elettorale spagnola presenta caratteristiche molto particolari: il “Congreso” (erede delle antiche Cortes) viene eletto, infatti, attraverso collegi di diversa (e in gran parte ridotta) dimensione.
All’interno del collegio i seggi in palio sono attribuiti con il metodo d’Hondt, dei quozienti successivi, senza utilizzo dei resti e senza riporto a un collegio unico nazionale.
In questo modo oltre a favorire i partiti più grandi risultano privilegiate le concentrazioni locali.
Il dato più interessante da esaminare diventa allora quello del “costo” di ogni seggio per ciascun partito, comparando questo elemento con quanto accaduto nelle elezioni precedenti per comprendere meglio la “localizzazione” o l’eventuale (per i grandi partiti) estensione o riduzione nel “peso nazionale” del voto.
E’ evidente che un’analisi ancor più approfondita in questo senso dovrà essere svolta nei prossimi giorni esaminando i dati collegio per collegio: adesso, però, a poche ore di distanza dall’esito del voto ci si dovrà accontentare di una valutazione di carattere generale.
Prima di tutto dovrà essere fatto rilevare un ulteriore aumento nella partecipazione al voto: la presenza alla urne è salita da 24.041.001(2019) a 24.743.612 elettrici ed elettori con un incremento di oltre 700.000 presenze alle urne (le/gli aventi diritto erano 35.606.532 esclusi gli iscritti all’estero).
Come primo dato registriamo il cambio nel ruolo di partito di maggioranza relativa tra il PP e il PSOE.
Il PP “sorpassa” il PSOE con 8.091. 840 voti: nel 2019 5.047.040. Un incremento di oltre 3 milioni di voti che va però analizzato tenendo presente la “sparizione” di Ciudadanos: i voti già appartenenti al gruppo centrista -liberale hanno sicuramente rappresentato la maggior riserva di caccia del PP. avendo messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel 2019; se sommiamo questi voti ai 623.235 perduti da Vox otteniamo un totale di 2.273.553 voti la maggior parte dei quali presumibilmente andati al PP che ha -complessivamente – aumentato il proprio bottino di 3.044.800 voti. Il netto tra sparizione di Ciudadanos e perdite di Vox per il PP diventa di 771.247 voti : una crescita inferiore a quella ottenuta dal PSOE. In sostanza lo spostamento a destra dell’elettorato spagnolo è risultato alla fine abbastanza contenuto. Proseguendo nell’analisi della formula elettorale spagnola si segnala come il “prezzo” unitario dei seggi per il PP sia stato di 59.498 voti per deputato.
IL PSOE ha ottenuto 7.760.970 voti con un incremento di 968.122 voti (i socialisti hanno avuto la maggioranza relativa a Girona, Barcellona con il 35,74% e 18 seggi, Tarragona, Huesca, Navarra, Araba, Burgos, Siviglia, Badajoz e Caceres). Per ogni deputato il PSOE ha dovuto ottenere 63.614 voti.
Esaminiamo il comportamento di SUMAR che ha raccolto l’eredità a sinistra dopo le difficoltà e le divisioni di Podemos. Nel 2019 Podemos alleata con Izquerda Unida ebbe 3.118.191 voti e 35 deputati: passata sotto le forche caudine del governo SUMAR esce dalle elezioni 2023 con 3.014.006 voti e 31 deputati, una flessione di 104.185 suffragi e 4 deputati. Un risultato che deve essere considerato come positivo nei numeri e nella prospettiva politica unitaria a sinistra. Per ogni deputato ci sono voluti 97.226 voti (1 deputato a Girona, 1 a Coruna, 1 Alicante, 1 Asturie, 5 Barcellona, 1 Cadice, 1 Cordoba, 1 Granada, 1 Baleari, 1 Las Palmas, 6 Madrid, 1 Malaga, 1 Murcia, 1 Pontevedra,1 Tarragona,2 Siviglia, 3 Valencia, 1 Vyzcaia, 1 Saragozza).
Esaminiamo allora il comportamento delle principali liste rappresentative delle nazionalità.
L’Esquerra Repubblicana di Catalogna ha perso 6 seggi scendendo da 13 a 7 con 462.883 voti (874.859 nel 2019: in pratica un dimezzamento: con circa 300.000 voti persi a Barcellona, più o meno l’incremento avuto nella regione dal PSOE). 66.126 voti per ogni deputato (se si guarda ai dati di SUMAR – 97.226 voti a deputato – risalta immediatamente la distorsione provocata dalla formula elettorale spagnola sull’attribuzione degli “scagno”).
Jxcat Junts, partito catalano indipendentista, ha perso un solo deputato scendendo da 8 a 7 con 392.634 voti (2019: 530.225). Voti per deputato: 56.090: 3 eletti a Barcellona, 2 a Girona, 1 a Lleida, 1 a Tarragona.
I due partiti baschi il PNV e Bildu si scambiano un seggio: Bildu sale da 5 a 6 (333.662 voti) e il PNV scende 6 a 5 (275.582). In sostanza i due partiti baschi assommano 11 seggi per 609.244 voti, con una flessione rispetto al 2019 quando ebbero 807.846 voti ( 55.385 voti a seggio ottenuti in sole 4 province: Alava, Guizpucoa, Vizcaya e Navarra).
Hanno ottenuto seggi anche il Blocco Nazionale Gallego (1 seggio 152.327 voti) la Coalicion Canaria ( 1 seggio 114.718 voti, perdendo 10.000 voti e 1 seggio rispetto al 2019), l’unione del Popolo Navarro (1 seggio 51.674 voti).
Perde i 2 seggi la CUP catalana scendendo da 246.971 voti a 98.794 nel 2023 (determinante la flessione a Barcellona da 179.041 voti a 66.656 nel 2023). Perdono il seggio le rappresentanza di Cantabria e Turuel.
Si è così esaminato in modo molto sommario l’esito delle elezioni spagnole per quel che riguarda i principali partiti sottolineando, com’era nello scopo di questo lavoro, il tipo di distorsione che la formula elettorale realizza oggettivamente nella sua capacità di tradurre i voti in seggi.
Ne esce un sistema politico abbastanza frammentato soprattutto sul versante della faglia localistica pur apparendo i partiti che la rappresentano in sostanziale stallo con una accentuazione del carattere nazionale della competizione.
Ed è questo un dato su cui riflettere quando si esaminano le formule elettorali nei diversi Paesi, seguendo le particolari conformazioni geografiche, etniche, sociali e politiche.
Nel “caso spagnolo” comunque nelle 24 ore seguenti il voto la sottolineatura non può che essere rivolta allo stop subito dell’estrema destra: una indicazione per le prossime elezioni europee e per la vicenda italiana, nella quale – rispetto alla Spagna – rimane da discutere il tema unitario (e sempre in riferimento alle prossime europee) la necessità di sviluppare una campagna elettorale in forma e dimensione tali da mettere in discussione il conseguimento della maggioranza relativa.
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