20 AGOSTO 1968, L’INVASIONE DELLA CECOSLOVACCHIA

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |

Ricordo di un grosso triste evento e di un piccolo dettaglio al suo interno.

Il triste evento fu l’invasione della Cecoslovacchia la notte del 20 agosto 1968; il dettaglio fu la posizione del PSIUP

Il mattino del 21 agosto 1968 i radiogiornali informarono il mondo che circa 250.000 armati sovietici, bulgari, ungheresi e polacchi avevano invaso la Cecoslovacchia nella notte. Tutti paesi comunisti. L’Unione sovietica ne decise l’invasione per bloccare la cosiddetta “primavera di Praga”, cioè lo sviluppo di un comunismo locale che cominciasse ad essere ispirato ad alcuni valori sociali e diritti richiesti dal popolo cecoslovacco, ma non voluti dai dirigenti sovietici. I partiti politici italiani emisero immediate dichiarazioni critiche e nette contro l’intervento. Il PSIUP non emise comunicati. L’unico!

Sessanta anni possono bastare per leggere con distacco anche i fatti minori della storia. Mi riferisco al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria nato il 12 gennaio 1964 e morto il 13 luglio 1972. Otto anni di vita non lasciarono traccia significativa; furono un momento di passaggio del gruppo che guidò l’operazione di scissione dal PSI e di costituzione del PSIUP da un massimalismo dogmatico, metodologicamente religioso, all’interno del Partito Socialista ad un proseguimento di attività politica nel Partito Comunista su linee e sviluppi esattamente opposti alle motivazioni di fondo che portarono alla nascita di quel partito. Non riguardò tutti i dirigenti, ma la maggioranza di essi. Alcuni di loro, in minoranza, tra i quali anche personalità con storie politiche di spessore e rispetto, vissero problematicamente la loro scelta e tentarono distinzioni che non ebbero affermazione. Qualche dettaglio può aiutare a capire meglio.

Il gruppo dirigente della forte minoranza del Partito Socialista Italiano – cosiddetta “sinistra” – si era caratterizzato per posizioni politiche di un socialismo filocomunista, molto teorico. In politica estera manteneva una preferenza internazionalista (un po’ declamatoria, da indovinare tuttavia nel significato reale della politica concreta) e un appoggio alle scelte dell’Unione Sovietica, sia politiche che militari. Infatti quel gruppo dirigente era già stato definito “carrista” (pro carro armato, per chiarezza) perché nel 1956 aveva mostrato comprensione e approvazione per l’intervento militare dell’Unione Sovietica in Ungheria che represse nel sangue la sommossa popolare che era sorta per le sofferenze economiche e sociali che il popolo subiva dal regime comunista al governo e al potere.

Quando in Italia si prospettò la possibilità per mezzo dell’azione politica del PSI, condivisa da socialdemocratici e repubblicani, di un nuovo cammino politico, parlamentare e governativo per lo sviluppo nazionale con una possibile maggioranza parlamentare comprendente socialisti e democristiani, socialdemocratici e repubblicani, quel gruppo dirigente si arroccò contro lo spostamento a sinistra della politica economica e sociale. Non era bastato a convincerlo uno dei prezzi che il PSI aveva chiesto alla DC – e ottenuto nel 1962 – per preparare credibilmente la svolta a sinistra, cioè la legge di nazionalizzazione delle aziende elettriche private e pubbliche in un unico ente preposto ad assecondare programmazione economica, superamento delle disuguaglianze di servizio elettrico tra le zone del Paese ed altro. Fu ed è ancora l’unico atto veramente rivoluzionario e pacifico fatto nell’ industria italiana deciso dal Parlamento dalla fine della seconda guerra mondiale. Non bastò, benché la legge fosse stata promulgata prima del centro-sinistra organico, così fu definito quello con la partecipazione anche dei socialisti. Non bastarono gli impegni della nuova maggioranza di governo di centro-sinistra – poi mantenuti, era il 1970 – dello Statuto dei diritti dei lavoratori e della costituzione delle Regioni.

La dichiarazione (qui interamente riportata e interessante anche per il linguaggio) del gruppo cosiddetto di “sinistra” pronunciata il 26 novembre 1963 al Comitato Centrale del Partito Socialista Italiano è esemplare per affermazioni generali e spiccano due riferimenti di portata ideologica massima: il contrasto “con i principi e con le prospettive del socialismo” e la negazione della “collocazione classista del partito”.

Avanti! 21 Agosto 1968Edizione Straordinaria

I componenti di quel gruppo dirigente sarebbero poi confluiti in maggioranza e prestissimo nel Partito Comunista Italiano nel 1972 approvando il “compromesso storico” che il Segretario di quel Partito Enrico Berlinguer propose appena un anno dopo, nel 1973. Il “compromesso storico” non era certo una tappa verso il socialismo e sulla natura classista del partito ognuno sa fare di conto con la storia del PCI-PDS-DS-PD. Subito prima di confluire nel PCI sostennero la candidatura a Presidente della Repubblica del democristiano Fanfani contro quella del socialdemocratico Saragat, poi eletto. E’ difficile collegare quel comportamento col rigore coi suddetti principi sostenuti.

Conclusivamente mi rimane incompreso il filone di pensiero di coloro che guidarono il PSIUP. Con le dichiarazioni astratte si compilerebbe un libro, ma l’ispirazione, la linea di azione, la fattibilità delle proposte non sono accessibili a mente normale come la mia. Diversi furono generosi nell’impegno sociale e nel tentativo di elaborare prospettive per una diversa sinistra, talvolta anche in posizione di contestazione da sinistra del PCI, molto gradita ai dirigenti del Partito Comunista sovietico in funzione di richiamo all’ortodossia filo moscovita che volevano far risuonare ripetutamente per mezzo del PSIUP nelle orecchie dei dirigenti italiani del PCI. Credo che gli elettori che lo votarono (solo alla Camera il 4,4% nel 1968; scesi all’1,9% nel 1972) fossero sinceramente antidemocristiani, forse romanticamente aggrappati ad un sogno semirivoluzionario da realizzare in qualche modo pacifico e comunque ad un rivolgimento velleitariamente invocato. La stessa cosa non mi sento di dire per tutti i dirigenti.

Mi raccontò l’ex tesoriere del PSIUP – divenuto poi editore dopo il 1972, che conobbi per la pubblicazione del mio primo libro senza sapere chi fosse stato prima – un episodio di mercoledì 21 agosto 1968, appena conosciuta l’invasione della Cecoslovacchia. Il PSIUP non emise comunicati. Il suo Segretario Tullio Vecchietti partì al mattino per Formia, in vacanza marina. Lui, il tesoriere, fu chiamato al telefono dall’Ambasciatore sovietico Nikita Riyov e invitato a recarsi a Villa Abamelek a Roma, residenza dell’ Ambasciatore, e gli fece trovare una borsa con cinquanta milioni di lire. Il giorno dopo, in ritardo rispetto a tutti gli altri comunicati di partito, il segretario del PSIUP emise una nota di stampa comprensiva verso l’intervento sovietico.

Un brutto episodio, tenuto conto che perfino i partiti comunisti più consistenti dei vari paesi europei si dissociarono pubblicamente dalla posizione dell’Unione Sovietica. I Partiti Comunisti spagnolo, italiano e francese denunciarono l’occupazione. Il Partito Comunista greco si era già scisso da poco e il neo partito non filosovietico si associò alla condanna. Il PSIUP ebbe comprensione e scrisse che era in corso una “strumentalizzazione anticomunista”!

Un ex esponente del PSIUP, Mario Albano, commentò successivamente la sigla del suo partito: “PSIUP – Partito Scomparso In Un Pomeriggio”. Un’esperienza di dettaglio che non ha lasciato alcun utile effetto nella storia del movimento socialista.

Dichiarazione in Comitato Centrale della sinistra interna del Partito Socialista Italiano. 26/11/1963

«I compagni eletti a far parte del comitato centrale per la sinistra e i rappresentanti della maggioranza della F.G.S. in C.C. ravvisano nell’accordo di governo sottoposto al C.C. un sostanziale rovesciamento delle tradizionali posizioni ideologiche e politiche del PSI. Non si tratta soltanto di un accordo volto alla realizzazione di determinati punti programmatici che nelle condizioni attuali si possono proporre ad un governo, ma di una piattaforma generale di azione politica comune ai quattro partiti, contrastante con i principi e con le prospettive del socialismo. Mancano elementi programmatici idonei a realizzare una svolta nella politica economica e ad incidere nelle strutture del sistema. Si accetta una linea di stabilizzazione il cui costo finisce per ricadere sui lavoratori. Sui grandi temi dello Stato ci si attiene a una linea di continuità col passato e in più si accentua una preminenza dell’Esecutivo aprendo la via a pericolose deformazioni antidemocratiche.

Non si stabiliscono impegni precisi né scadenze per i provvedimenti di attuazione della Costituzione, e in particolare dell’ordinamento regionale.

L’accettazione della politica atlantica con tutti gli obblighi politici e militari che ne derivano, e l’adesione politica all’armamento nucleare multilaterale della NATO, costituiscono l’abbandono dell’impegno socialista per la neutralità per l’internazionalismo, per il disarmo.

La piattaforma adottata, e in particolare gli impegni e le motivazioni per la delimitazione della maggioranza negano la collocazione classista del Partito. Tutto ciò va al di là degli stessi deliberati e delle indicazioni del XXXV Congresso: sia negli elementi concreti, sia nella impostazione generale, che non fu sottoposta né prospettata al Congresso.

In queste condizioni, non soltanto la sinistra non può accettare la ratifica dell’accordo di governo, ma essa ritiene che la maggioranza stessa non sia abilitata ad approvarla. Diviene perciò necessaria la convocazione di un Congresso straordinario, nel quale questo accordo sia sottoposto al giudizio di tutti i compagni. Spetta frattanto alla maggioranza porre in essere condizioni politiche che non la conducano ad assumersi la grave responsabilità di determinare una frattura nel Partito, ed evitino che i compagni parlamentari di sinistra si vedano costretti a recare questa posizione in Parlamento, rifiutando il loro voto in favore di tale governo».