di Davide Passamonti |
La situazione sociale in Italia, come negli altri Paesi europei, è sempre più allarmante; soprattutto se, al centro dell’attenzione, consideriamo la situazione giovanile. A questo riguardo, a preoccupare sono i dati della disoccupazione, in crescita, al 13.9% nella zona Euro (dati Eurostat). Preoccupano altrettanto le condizioni lavorative di coloro che riescono a trovare un’occupazione. Infatti, spesso si tratta di un lavoro a tempo determinato (in media il 47%) o part-time, quindi precario, e non retribuito adeguatamente.
Le trasformazioni socio-economiche in atto, con il passaggio alla società post-industriale, generano ciò che può essere definita una disoccupazione “strutturale”. Questa situazione frena lo sviluppo economico e continuerà finché non si attiveranno processi di redistribuzione dei redditi che sosterranno la domanda globale.
Nel corso degli ultimi anni si è individuato nel reddito di base (o reddito garantito) una possibile soluzione al non più equilibrato avanzamento della redditività personale rispetto alla produttività del lavoro. Il reddito di base consiste in un pagamento periodico che viene erogato incondizionatamente a tutti su base individuale, senza criteri di erogazione o requisiti lavorativi. I principi essenziali del reddito sono: periodicità, pagamento monetario, base individuale, universalità e incondizionalità
Un significativo effetto di un reddito di base universalistico lo si avrebbe sul mondo del lavoro. Con la sua introduzione, infatti, si potrebbero tradurre i benefici della produttività nella riduzione della durata del lavoro. Keynes nel 1930 scriveva in proposito: «[Il compito del futuro sarà] fare in modo che il lavoro che rimane da fare sia il più ampiamente condiviso»[1]. Questo significa garantire inclusione e sicurezza sociale senza doversi affidare alla creazione di posti di lavoro, ormai sempre più difficilmente garantibili. Di conseguenza, si dovrà ristrutturare il Welfare, il sistema educativo e il mercato del lavoro, così da garantire una redistribuzione dell’occupazione tra le persone e tra le varie fasce d’età. E il reddito di base diviene il meccanismo stabilizzatore del processo redistributivo e strumento di vera giustizia sociale.
La società capitalistica ha abituato all’idea che l’accesso al reddito e, di conseguenza, al consumo potesse avvenire solo se disposti a contribuire alla produzione. Nella società industriale questo era vero e necessario, ma oggi – in una società post-industriale – questo non è più scontato. I deficit strutturali e le condizioni economiche e tecnologiche odierne fanno sì che non è necessario fare del contributo alla produttività, dunque del lavoro, una condizione di accesso al reddito. L’introduzione del reddito, quindi, ha l’intenzione di combattere non solo la povertà ma anche l’esclusione[2].
Il reddito di base non rappresenta un’alternativa al diritto del lavoro ma, semmai, una possibilità ulteriore alla sua realizzazione, data la situazione strutturale deficitaria odierna.
Più in generale, la questione del reddito non la si affronta solo in termini di giustizia ma anche di potere. Ovvero della libertà reale di fare, nel lavoro e al di fuori del lavoro.
«Anche se parliamo di reddito i benefici non si limitano a considerazioni sul benessere materiale degli individui, ma investono anche l’uso che possiamo fare del nostro tempo. Il reddito di base, o reddito minimo universale, ci consente di accedere al lavoro, di svolgere attività al di fuori del lavoro, ci dà maggior potere di consumo, essendo universale contribuisce a combattere l’esclusione dal lavoro, in quanto incondizionato ci permette di scegliere tra lavori diversi e tra differenti attività non lavorative. Grazie a tutti questi elementi può celebrare un “matrimonio” tra giustizia ed efficienza[3]».
[1] Vedasi il capitolo di Van Parijs Ph., Reddito di Base, in Battiston G. – Marcon G. (2018), La Sinistra che verrà, le parole chiave per cambiare, Roma, minimum fax. p.206.
[2] Vedasi il capitolo di Van Parijs Ph., Reddito di Base, in Battiston G. – Marcon G. (2018), La Sinistra che verrà, le parole chiave per cambiare, Roma, minimum fax.
[3] Ibidem.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.