RIFLESSIONI INTORNO ALLA PERDURANTE CRISI ECONOMICA

di Davide Passamonti|

Riflettendo sulla situazione economica italiana mi pare evidente che i problemi hanno radici profonde. Mi pare, altresì, chiaro che non è possibile far ricadere tutte le colpe sulle politiche dell’Unione europea o della Banca Centrale Europea.

Una cosa è certa: le politiche neo-liberiste di austerità ideologica per contenere il debito, pareggio di bilancio e tagli lineari alla spesa pubblica, hanno completamente fallito. Imposte in seguito alla crisi dei debiti sovrani nel corso del 2008/2009 si sono rivelate una “cura peggiore della malattia”.

Appresa la lezione, sia le istituzioni europee che i governi nazionali, hanno adottato la politica contraria, di keynesiana memoria: politiche di deficit-spending e di massiccia erogazione di liquidità nell’economia. Ma ancora una volta si è andati “fuori strada”.

Il Quantitative easing è stata una politica messa in atto dalla BCE per “creare moneta” mediante l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni sul mercato. Aumentando la quantità di denaro prestata agli istituti di credito la BCE fornisce liquidità al sistema per i prestiti a famiglie e imprese. Il q.e. è una politica monetaria aggressiva, i cui effetti in termini di inflazione sono pericolosi. Dal 2016 al 2020 sono stati stanziati dalla BCE, su base mensile, tra i 40/50 miliardi di euro al mese. Inoltre, con la pandemia è stato lanciato un ulteriore q.e., dal 2020 al 2022, per una somma di circa 1850 miliardi di euro[1].

Dato che questa iniezione di liquidità “non è bastata”, le istituzioni europee hanno promosso il programma Next Generation EU (NGEU), pacchetto da 750 miliardi di euro. La principale componente del programma NGEU è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, ha una durata di sei anni (dal 2021 al 2026), e una dimensione totale di 672,5 miliardi di euro[2].

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si inserisce all’interno del NGUE. Per l’Italia ammonta a 191.5 miliardi di euro, al quale il Governo italiano ha stanziato un ulteriore Piano Nazionale Complementare (PNC) pari a 30,6 miliardi di euro[3].

Mi pare evidente che è un miope errore pensare che la crisi economica e sociale, in Italia e negli altri paesi europei, si possa guarire con una iniezione generosa di liquidità.

Quali sono stati gli effetti benefici di tutti questi soldi? Si sa dire “dove sono finiti”? In concreto quali politiche, industriali o sociali o fiscali o ambientali o infrastrutturali, sono state messe in campo?

La certezza è la perdurante situazione di crisi in cui versano l’Italia e gli altri paesi europei nonostante la Commissione preveda una crescita della zona euro dell’1,1% (l’Italia dell’ 1,2%) nel 2023. Il tasso dell’inflazione nella zona Euro è al 5,5%, con gli alimentari all’ 11,7%. Il tasso di disoccupazione per l’Eurozona è al 6,5%; quella giovanile al 13,9%. Rispetto ad aprile 2023 quest’ultima è aumentata di 11 mila unità nella zona euro. Rispetto a maggio 2022, invece, è aumentata di 46 mila unità nella zona euro[4].

Ecco cosa hanno prodotto le politiche economiche e monetarie “novecentesche” di questi ultimi decenni: inflazione, disoccupazione, debito pubblico e bassi tassi di crescita.

Il contesto italiano, però, è aggravato da storture interne che mettono il nostro paese in condizioni di “inferiorità” strutturale rispetto agli altri paesi dell’Unione.

Il male ha radici profonde. E’ la crisi di un’economia pilotata da una imprenditorialità che si affida, ancora oggi, a salari tra i più bassi d’Europa[5].

E’ la crisi di un’economia in cui sono troppo largamente perseguite scorciatoie speculative e parassitarie alla formazione di fortune che hanno poi poca propensione a trasformarsi in capitale applicato alla produzione e molta, invece, a fuggire e nascondersi all’estero di fronte alla minaccia dei normali obblighi fiscali. Con quest’altro grave risultato negativo: di creare costi crescenti, in termini fisici e monetari, per i lavoratori e di annullare, così, gran parte di quegli stessi benefici che questi riescono a ottenere con la loro azione sindacale[6].

Esempi tipici di questi costi si ritrovano: in un sistema di trasporti arretrato, costoso, inquinante; un sistema mafioso che occupa un’ampia fetta dell’economia; un sistema sanitario sempre più privatizzato, meno efficiente ma più costoso per la collettività; un’organizzazione scolastica sovraffollata e mal distribuita sul territorio.

Da tutto questo deriva l’estrema lentezza con la quale la condizione del lavoratore, da noi, stenta tanto ad allinearsi con quella dei paesi confinanti. Da tutto questo deriva anche, però, nelle masse lavoratrici, una insofferenza crescente per tali ritardi, una sempre minore disponibilità a tollerare e attendere. [Giolitti, 1992]

Ciò che serve, quindi, all’Italia è un “nuovo metodo di governare”. Cioè una politica austera, eliminazione dei privilegi e degli sperperi, non fine a se stessa ma come condizione di scelte coerenti, che comportano rinunce, per perseguire e raggiungere obiettivi pianificati.


[1]             Dati tratti da Enciclopedia Treccani e Wikipedia.

[2]             Dati Ministero dell’Economia e delle Finanze.

[3]             Dati tratti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

[4]             Dati Eurostat.

[5]             Conflavoro, Piccole Medie imprese (2022), Salari, in Italia sono fra i più bassi d’Europa. Resta alto il costo del lavoro.

[6]             Giolitti A. (1992), Lettere a Marta, Ricordi e riflessioni, Bologna, Il Mulino.